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Nel 2019 su 1227 certificazioni assegnate finora ai singoli più venduti in Italia, solo il 20,53% sono andate ad artiste. Per gli album la percentuale scende all’8,67%. Anche nella musica, così come negli altri ambiti lavorativi, le donne continuano a essere fortemente sottorappresentate.

In Italia il problema della disparità di genere è concreto, tangibile, si traduce in differenze sostanziali di salario, in tasse discriminanti nei confronti delle donne come quelle sugli assorbenti, in offerte di lavoro selettive, “per donne” e “per uomini.” Scivola nel linguaggio informale della dialettica quotidiana riducendosi a una questione di battutine infelici e libere interpretazioni. Scivola e risale, come un riflusso, finendo nei format che del linguaggio informale, dell’abbattimento sempre più consistente delle complessità linguistiche e delle barriere tra ascoltatori e conduttori fanno una bandiera identitaria. Così si finisce per ascoltare in diretta Fabio Volo dire: “non è possibile che sia legale che una per cantare una canzone si mette a quattro zampe vestita da mignotta.” Parlava di Ariana Grande — una popstar — e questa frase, che non ha mai avuto reali conseguenze sul lavoro del conduttore, ha provocato invece l’indignazione di chi non ne può veramente più delle deroghe speciali concesse a persone alle prese con il complesso della mezza età, che evidentemente possono permettersi di dire tutto quello che gli passa per la testa, nei termini che preferiscono, al pubblico che desiderano.

Negli ultimi anni però — anche in Italia — la sensibilità nei confronti dei diritti delle donne e più in generale del femminismo e dei suoi argomenti cardine è lentamente cresciuta. Sui giornali italiani, con le solite eccezioni, è stata finalmente sdoganata la parola femminicidio per indicare l’uccisione di una donna in quanto tale. Atteggiamenti sgradevoli o aggressivi, fino a una decina di anni fa largamente tollerati, anche grazie al Me Too e a tutto quello che è seguito, vengono oggi giustamente stigmatizzati — lo stesso Fabio Volo, che non si è mai scusato pubblicamente per ciò che ha detto, è stato poi ampiamente ripreso e contestato, tra gli altri anche da Michela Murgia e Daria Bignardi.

Tra i cliché, i luoghi comuni difficili da abbattere e i tanti obiettivi non ancora raggiunti, bisogna però sottolineare come ci sia ancora un gap profondo di rappresentatività tra donne e uomini in molti ambiti sociali. La musica — si, proprio l’arte di Ariana Grande — è uno di questi.

fonte: the Submarine
fonte: the Submarine

Il gender gap nel mercato discografico italiano

Uno dei settori in cui le donne faticano ancora a emergere è il mercato discografico. Ne abbiamo parlato più volte, sottolineando come le artiste siano ancora troppo poco presenti nei festival musicali italiani. Nel 2018 era anche emerso un grave caso di molestie che coinvolgeva l’organizzatore di un festival ligure. Ma la dimensione live è solo un aspetto secondario e risalendo la catena di cause che producono questa distorsione sociale è evidente come le donne siano in generale sottorappresentate nel mercato musicale. I dati pubblicati settimanalmente da FIMI — la federazione che rappresenta imprese produttrici e distributrici in campo discografico e che si occupa di stilare le classifiche di vendita dei dischi in Italia — confermano questo sospetto. Nel 2019, finora, sono state distribuite 1227 certificazioni per singoli multiplatino (brani che hanno venduto più di 100 mila copie), platino (sopra le 50 mila copie vendute) e oro (25 mila copie vendute). Di queste solo 252 vanno ad artiste donne, il 20,53%. Su 173 certificazioni rilasciate dalla Federazione Industria Musicale Italiana per gli album più venduti in Italia nel 2019, invece, solo 15 sono andate alle artiste. L’8,67%.

Quante artiste venivano certificate nel 2009

Nel 2009 su 49 album certificati multiplatino, platino o oro, erano presenti solo 13 artiste. Il 26,5% del totale. Il 2009 è il primo anno per cui sono disponibili online i numeri sulle certificazioni rilasciate da FIMI. Se si dà un’occhiata alla composizione di questa classifica e si fa un paragone con la situazione attuale è facile notare come allora fossero molte di più le artiste soliste rappresentate. Alcuni esempi: il disco di Gianna Nannini Dream: Solo i sogni sono veri aveva collezionato all’epoca due dischi di platino. Senza Nuvole, l’album di debutto di Alessandra Amoroso, veniva certificato triplo disco di platino. Poi, tra gli altri, c’era un triplo disco di platino di Laura Pausini (Laura Live World Tour 09), Elettra di Carmen Consoli (disco d’oro) ma anche Amy MacDonald con This is the life o Whitney Houston. E Giusy Ferreri con Gaetana — ebbene si, se vi ricordate quello era proprio l’anno in cui Giusy Ferreri debuttava con almeno un paio di singoli diventati famosi. 

I dati degli ultimi dieci anni

Nel 2009 meno di un terzo della musica che vendeva di più in Italia era prodotta da donne. E se già non eravamo messi troppo bene allora, negli ultimi dieci anni il numero di album e singoli di successo delle artiste è gradualmente calato. La percentuale di album che hanno come autrice un’artista si è ridotta di due terzi e anche il trend dei singoli associati a un’artista è in calo da molti anni.

fonte: the Submarine
fonte: the Submarine

Alcune considerazioni importanti sui dati

I dati di vendita dei dischi (album e singoli) includono vendita fisica e digitale e così come vengono presentati da FIMI, oltre a essere complicati da utilizzare — di fatto quello che si vede consultandoli è un lungo elenco di certificazioni in ordine cronologico — sono molto aggregati e “sporchi.” 

Selezionando gli album certificati in un anno specifico si ottiene una lista che comprende alla voce artista gruppi, collaborazioni tra più artisti, ma anche diciture generiche come “artisti vari.” Nel nostro caso — è importante sottolinearlo — abbiamo deciso di contare un featuring che includeva una donna come un brano interamente realizzato da una donna. “Stay Open” di Diplo feat. Levante per noi è “Stay Open” di Levante. Nel caso di certificazioni assegnate a gruppi che includono nel loro organico almeno una donna, come i Coma Cose o i Baustelle, abbiamo scelto di contare quella certificazione come se fosse stata assegnata a una donna. Abbiamo fatto la stessa valutazione anche per i singoli che hanno per autrici due o più artiste. 

I numeri inoltre, descrivendo la vendita della musica, non considerano solo artisti recenti ma anche personalità molto famose in passato come Debbie Harry (Blondie) e artiste mondiali come Madonna. Dal calcolo delle certificazioni assegnate a un’artista abbiamo deciso inoltre di escludere le compilation — anche se queste includevano brani realizzati da artiste — e le raccolte che avevano come autore “artisti vari.”

Se avessimo fatto un calcolo ancora più scrupoloso decidendo di escludere dal conteggio delle artiste che hanno ottenuto una certificazione FIMI in un determinato anno anche i gruppi e le collaborazioni, descrivendo in sostanza solo il lavoro di soliste o cantanti, le percentuali sarebbero state ancora più basse di quelle calcolate e rappresentate nei grafici. 

Una nota sul grafico relativo ai singoli

Guardando il secondo grafico, che rappresenta i singoli certificati FIMI, si potrebbe pensare che nei primi tre anni disponibili — 2009, 2010, 2011 — non sia stata assegnata alcuna certificazione. In realtà sicuramente non è così. È probabile che alcuni singoli abbiano venduto abbastanza da meritare una certificazione — vedi “Novembre” di Giusy Ferreri che quando uscì andò fortissimo e venne passata per mesi dalle radio italiane. La motivazione più semplice è che i dati delle certificazioni di quei tre anni semplicemente non siano stati inseriti nel database online di FIMI. Di conseguenza non figurano nel nostro grafico. Questa precisazione torna utile anche nel momento in cui si considera il trend globale degli ultimi dieci anni. Considerando quei primi tre anni in cui le certificazioni assegnate appaiono nulle si correrebbe il rischio di pensare che il trend delle certificazioni assegnate alle artiste, complessivamente, sia crescente. Per questo bisogna valutarlo dal 2012, ovvero dal primo anno per cui sono disponibili i dati riguardanti le certificazioni. Da allora il numero dei singoli certificati che hanno come autrice un’artista sono gradualmente calati. 

Il divario tra artisti e artiste

Rimanendo ai dati, le classifiche delle canzoni più trasmesse pubblicate dalle radio confermano che nella musica che ascoltiamo tutti i giorni le donne scarseggiano. Non è quindi solo una questione di vendita della musica. Nella 30 songs di Radio Deejay il 26 dicembre comparivano solo 7 canzoni che includevano artiste (Lizzo, Ariana Grande, Dua Lipa, Billie Eilish, Lous and the Yakuza, Katy Perry, Tones and I e Aya Nakamura) — peraltro tutte straniere. Sempre il 26 dicembre Radio 105 inseriva nelle 26 canzoni “selezionate” nella Radio 105 Playlist 8 canzoni che includevano un’artista donna (Billie Eilish, Dua Lipa, Lizzo, Meduza, Becky Hill & Goodboys, Lous and the Yakuza, Riton X Oliver Heldens, Tones and I) — anche qui tutte straniere. I dati pubblicati da Radio Airplay, un’azienda che monitora i passaggi radiofonici delle canzoni sulle principali radio italiane, confermano sostanzialmente questa tendenza. Dal 13 dicembre al 19 dicembre — le classifiche vengono stilate settimanalmente — le canzoni che includono un’artista più passate in radio sono solo 16 su 40. E 4 sono dei featuring su un brano di un collega maschio. In sostanza le artiste che vengono passate in radio sono poche, per lo più straniere e molto spesso collegate a un artista maschio che ospita la cantante in un suo brano. 

Ma girano veramente così poche artiste?

È complicato e sicuramente scorretto indicare i media e le major discografiche come i colpevoli unici di questo sbilanciamento, così come è probabilmente sbagliato pensare che ci sia un interesse specifico nell’escludere le artiste dal mercato discografico, semplicemente non avrebbe molto senso. Ma non si può nemmeno cedere al cliché secondo cui le artiste donne sarebbero molte meno degli artisti uomini. Non è così. E se anche fosse così, se veramente nella discografia italiana circolassero molte meno artiste donne, etichette e radio dovrebbero quantomeno chiedersi come mai accada questo fenomeno. Detto ciò, ve la ricordate ancora Myss Keta? Avete sentito “L’anima,” il pezzo con Madame nell’ultimo celebratissimo disco di Marracash? Del primo EP di Chadia Rodriguez cosa ne pensate? Forse non riuscite a rispondere perché non avete mai avuto veramente l’occasione di sentire un loro pezzo in radio. Però esistono, sono donne, tutte e tre fanno generi assolutamente contemporanei e numeri molto grossi nello streaming. E nonostante questo, ancora, non hanno la stessa visibilità di un loro coetaneo maschio. Però vengono ascoltate, hanno una fetta importante di pubblico, semplicemente non hanno ancora lo spazio che meritano.

Cosa si dice in Italia e all’estero della presenza femminile nella musica

A proposito di donne, nel suo ultimo libro intitolato “Rap. Una storia italiana” Paola Zukar, manager di Fabri Fibra, Marracash e Clementino, scriveva: 

“Fatevi avanti come manager se vi appassiona il campo musicale e fate esperienza con gli artisti emergenti, con i vostri amici… Ormai tutti conosciamo un vicino di casa, un compagno di scuola o un amico che cerca di lanciarsi nel rap, vero? Affiancatelo con la vostra passione e cercato di farlo ‘crescere’: sui social, con i contatti importanti per il suo percorso (come produttori che gli forniscano le strumentali o locali disposti a farlo suonare), giusto per fare due esempi semplici.” 

Purtroppo nessuna dritta utile alle artiste per farcela facendo la musica.

Nell’epoca delle collaborazioni, il numero di artiste che ascoltiamo in radio, in televisione o in streaming diminuisce sempre di più, in controtendenza con la quantità di musica che ascoltiamo, in crescita costante, disponibile ovunque per lo più gratuitamente. All’inizio del 2019 BBC aveva pubblicato un lungo articolo che mostrava quanto fosse consistente il gender gap nella musica pop che abbiamo nelle orecchie tutti i giorni. In Italia la situazione non è poi tanto diversa, il mercato discografico è estremamente conservatore, deriva per lo più da quello anglosassone e le artiste che bucano la bolla sono poche, e col passare degli anni sempre meno.

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Edit, 27/12/19, 19:39: in una versione precedente di questo articolo era scritto “è stata finalmente sdoganata la parola femminicidio per indicare l’uccisione di una donna da parte di un uomo.” Abbiamo corretto in “è stata finalmente sdoganata la parola femminicidio per indicare l’uccisione di una donna in quanto tale.”