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in copertina, foto via Twitter

L’attacco di Gramellini a Thunberg è l’esempio perfetto di quanto siano vuoti, e inefficaci, gli attacchi misogini e paternalisti contro l’attivista ambientalista. 

Dopo un viaggio in barca a vela di due settimane dall’Europa, l’attivista svedese Greta Thunberg è arrivata a New York in occasione del summit sul clima organizzato dall’ONU il 23 settembre. La fondatrice del movimento Fridays for Future ha scelto di viaggiare a vela, su uno yacht a emissioni zero messo a sua disposizione da parte del miliardario Pierre Casiraghi. Appena arrivata a New York ha punzecchiato il presidente statunitense Trump — “Tutti mi chiedono sempre di Donald Trump. Io dico ‘ascolta la scienza’ e lui ovviamente non lo fa.”

Com’è logico quando si parla di un’attivista sedicenne che sta cercando di sensibilizzare le persone contro l’apocalisse climatica, è iniziata una serie di attacchi ai suoi danni. In Italia ha brillato il predicozzo di Massimo Gramellini sulla prima pagina del Corriere della Sera, che ha messo in guardia Thunberg dal cosiddetto effetto Papeete. In sostanza, il brillante editorialista del Corriere paragona l’ego della ragazza a quello di Salvini, barbottandole contro critiche costruttive come “neanche fossi la pronipote vichinga di Cristoforo Colombo.” Il consiglio — non richiesto — di Gramellini, che pur dice di aver lodato e apprezzato Thunberg in passato, è questo: stai attenta all’egomania, non si sa mai che un giorno tu faccia cadere il governo per andare ad elezioni anticipate e poi rimanga con le pive nel sacco, “in minoranza persino con te stessa.” Sorvoliamo sulla completa mancanza di solidità nel parallelismo tra il sacrificio di fare un viaggio così lungo in barca, quando si poteva prendere un aereo, rispetto a quello che ha fatto l’ancora ministro, ovvero andare in vacanza al mare.

Gramellini, a dire il vero, ci ha abituato ai suoi editoriali pomposi e paternalistici, e questa volta non arriva nemmeno per primo. In Italia la psicosi anti-Thunberg, complice l’infelice situazione politica dell’ultimo anno, ha toccato livelli morbosi rispetto ad altri paesi, e francamente inquietanti: solo in Italia, ad esempio, si è provato a montare il caso di una presunta famosissima e rampante attivista svedese “anti-Greta,” una storia letteralmente inventata al solo scopo di aumentare il rumore mediatico contro l’attivista svedese. Ovviamente, poi, anche in Italia sono arrivate tutte le bufale e le fake news di estrema destra del caso

Una delle iniziative nostrane più stupefacenti sulla questione è quella del Codacons, il “Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori,” uno dei principali tutori dei consumatori italiani — che l’anno scorso si è lanciato in una campagna di fatto anti-vaccinista. Durante la traversata dell’attivista, il Codacons si è lanciato in una battaglia a spada tratta contro Thunberg, presentando un esposto alla corte europea “Contro Greta Thunberg e Casiraghi, chiediamo di indagare per pubblicità ingannevole di socialità inesistente. Chiarire tutti i punti oscuri della vicenda” — non vi mettiamo il link, dai.

Al pubblico del Corriere e in generale alla destra italiana, Thunberg deve sembrare una specie di mostro finale: prima di tutto è una donna, una tipologia di essere umano con cui apparentemente nessun editorialista italiano è in grado interagire, ma osa perfino essere una giovane studentessa, ovvero ancora al di fuori del sistema lavorativo ricattatorio con cui il capitalismo ha soffocato qualsiasi forma di protesta in Occidente dopo metà degli anni Settanta.

Il codice del paternalismo vuole far passare l’idea misogina che Thunberg, solo perché è una giovane donna, avrebbe un sacco di cose da imparare da editorialisti come Gramellini, che ogni paio di mesi scrivono una sparata per far ricordare a chi non li legge che esistono — va bene anche se la sparata è sfacciatamente razzista (backstory se non ricordate). Una buona parte dell’odio verso Thunberg è pura misoginia, e incapacità fisiologica di accettare una donna come proprio pari. Questo problema è grave in tutto il paese, e lo è ancora di più quando si manifesta nell’ambiente politico o editoriale — in cui il sessismo abbonda. Quando si può, si tratta la donna in questione come un oggetto; quando per motivi di età e di decenza questa strada non è praticabile si sceglie la via del paternalismo, ben esemplificata da Gramellini e dal Corriere.

Per capire la ferocia con cui viene trattata, è importante rendersi conto che Thunberg costituisce una minaccia vitale a come il sistema era riuscito a domare l’ambientalismo.

Negli ultimi anni, prima di FFF, si era infatti riusciti a far passare un’idea di “consumismo dal volto umano”, raccontando a tutto il mondo sviluppato che la colpa dell’inquinamento, della plastica negli oceani, del cambiamento climatico era dei consumatori e non dell’industria. Un’idea che l’attivismo di Greta Thunberg, e dei milioni di giovani che stanno dalla sua parte in tutto il mondo, sono riusciti a sbriciolare in pochi mesi.

Al sessismo paternalista si unisce dunque la tutela di determinati interessi: quelli di chi non ha nessuna voglia che le persone vengano sensibilizzate sui temi ambientali, interessi del resto ben rappresentati in governi come quello americano, italiano o australiano. Complice la giovane età e l’ovvia mancanza di interessi, Thunberg è difficilmente attaccabile o ricattabile con efficacia: non resta che darle addosso con metodi pensati su misura per una sedicenne schietta e decisa, e provare a smontarla con armi di infimo livello.

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