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in copertina, foto dal presidio di solidarietà con i resistenti curdi, contro l’invasione turca del Rojava, a Milano

La pagina Facebook di Milano InMovimento è stata cancellata questa mattina, come molte altre tra ieri e oggi. Le accuse sono di “terrorismo”, ma la vera causa è la solidarietà verso la causa curda e l’opposizione all’invasione turca.

EDIT 19/10: Alcune delle pagine Facebook menzionate dall’articolo, incluse quelle di Milano InMovimento e InfoAut, sono tornate online nella giornata di ieri 18/10. Altre pagine, come quella dell’ex OPG Je’ So Pazzo di Napoli, sono state invece rimosse. A Roma, nella sede della Federazione nazionale della stampa, si è tenuta ieri una conferenza stampa sulla vicenda, organizzata da alcuni dei siti di informazione interessati dal ban di Facebook.

Tra il 15 e il 16 ottobre Facebook ha oscurato diverse pagine di informazione impegnate nel sostegno della causa curda; tra le ultime ci sono Ya Basta Êdî Bese e Globalproject.info, due spazi di informazione che da molto tempo si occupano di documentare e riportare i fatti riguardanti il popolo curdo, gli attacchi dell’esercito turco e la guerra in Siria in generale. Queste due pagine non sono le uniche a essere state cancellate dalla piattaforma, è dal 2015 che contenuti, tra cui documentari e fumetti, proposti ad esempio da Rojava Calling e Rete Kurdistan vengono costantemente rimossi. La caccia ai contenuti ha raggiunto stamattina anche la pagina di Milano InMovimento che, dopo varie segnalazioni fatte ai loro post, è stata chiusa in seguito a diversi contenuti di solidarietà verso il popolo curdo.

Abbiamo sentito uno degli amministratori, Andrea, per capire meglio come è avvenuta la cancellazione e se ci sono margini per recuperare i contenuti che MiM negli anni ha diffuso ai suoi lettori. “Durante la notte è arrivato un primo avviso che definiva la pagina come “a rischio,” e alle 10:39 di questa mattina un’altra notifica che comunicava la vera e propria cancellazione.” Le motivazioni date sono vaghe e fumose, e cioè che non vengono rispettati i “Community Standards” adottati da Facebook. Andrea e tutti gli altri ragazzi di Milano InMovimento però sanno perfettamente che le motivazioni sono la loro esplicita solidarietà verso il popolo curdo, il supporto manifestato verso la rivoluzione Rojava, e, forse primo fra tutti, il fatto di essere una pagina dichiaratamente di parte.

Facebook da sempre usa la completa mancanza di trasparenza per schermarsi da qualsiasi critica, invocando il mancato rispetto di policy costantemente in cambiamento e di cui nessun utente — e nemmeno la stragrande maggioranza delle aziende — che posta su Facebook conosce davvero i dettagli. Da quanto riportato dal sito di Ya Basta Êdî Bese, le accuse sono di “terrorismo” e “odio organizzato” e sembrano porre le pagine in sostegno alla battaglia curda sullo stesso piano di tante pagine che diffondono odio e meme razzisti contro cui l’azienda dice di stare combattendo: di recente sono state rimosse dalla piattaforma le pagine di gruppi “politici” come CasaPound e Forza Nuova additando le stesse motivazioni, o comunque utilizzando costrutti come “incitazione all’odio” che, riferiti a gruppi organizzati di estrema destra che incitano (e spesso praticano) violenza e inneggiano al fascismo, risultano quasi un eufemismo. Impedire la circolazione di post violenti o che inneggiano all’odio non è un diritto ma un dovere dell’azienda, ma quando si tratta di spazi d’informazione, o gruppi di solidarietà, viene da chiedersi se sia davvero giusto che una società privata abbia il potere di censurare deliberatamente e senza apparenti criteri logici, e nello specifico, se Facebook come organizzazione sia all’altezza del ruolo che svolge nella società. 

Quella di questi giorni è vera e propria censura, è l’eliminazione di contenuti che migliaia di persone utilizzavano per informarsi o semplicemente manifestare la propria opinione. Qualsiasi tentativo di paragonare i due casi è una evidente forzatura: gli amministratori di CasaPound non esprimevano un loro parere e la rimozione non costituisce una restrizione della democrazia del nostro paese, perché l’apologia al fascismo in qualunque sua declinazione è reato. Nello stesso periodo della rimozione delle pagine legate ai due partiti italiani sono state chiuse anche svariate pagine d’informazione cubane

Facebook da anni ormai è impegnato nel limitare la diffusione di contenuti d’odio e violenti — i cui effetti dannosi sono provati — senza rinunciare all’amicizia e soprattutto alle decine di milioni di dollari investiti da partiti e organizzazioni di conservatori e iper–conservatori, anche in Italia. Il risultato è una politica del compromesso che rende impossibile una vera gestione del contenuto, proteggendo contenuti di odio che vengono da fonti di politica parlamentare e perseguendo realtà più piccole che non hanno al contrario niente a che fare con il linguaggio d’odio.

La moderazione dei contenuti che non rispettano le linee guida è data in mano ad aziende terze con migliaia di lavoratori che ogni giorno scandagliano tutto ciò che viene segnalato da altri utenti, a ritmi insostenibili, costantemente sommersi da contenuti violenti. Sono innumerevoli persone davanti a due o tre computer che, una volta appresi i “Community Standards,” decidono se ciò che viene pubblicato sia lecito o da rimuovere, spesso senza nessun contesto, in condizioni emotive difficilissime, prendendo decisioni complicate in un pugno di secondi. 

L’esempio della pulizia fatta con le pagine pro curdi di questi due giorni fa chiaramente emergere problemi più gravi e oscuri dei vari sentimenti ideologici che caratterizzano gli utenti Facebook. Questa riflessione non vuole essere un rimprovero a quel gruppo di moderatori che ieri pomeriggio ha deciso di chiudere qualche account, mandando come spiegazione una semplice notifica blu. Quello che fa paura e che crea incomprensioni è il potere spropositato e delicato che viene dato in mano a queste persone; se in casi come quello di CasaPound, gli operatori hanno dati tangibili e leggi a supporto delle decisioni che prendono, davanti a questioni come quella cubana o curda, come possono basarsi su un semplice regolamento amministrativo?