35DC398F-850D-4A57-AD34-545AFFC08812

Tra meme kawaii e indici di gradimento in salita, il presidente del Consiglio sembra il personaggio pubblico più amato in Italia. Ma tutta questa devozione è meritata?

La versione breve di questo articolo è a cura di Chef Rubio su Twitter

Da circa metà marzo, Giuseppe Conte è protagonista di un fenomeno di fandom che l’ha reso inaspettatamente popolare sui social network, specialmente presso una platea di utenti molto giovani. L’esposizione mediatica dovuta all’emergenza sanitaria, con le ormai classiche conferenze stampa serali, non prive di picchi retorici memorabili (e quindi memabili), ha trasformato in un eroe di internet il grigio professore universitario prestato alla politica. Le sue quotazioni sono salite nuovamente alle stelle dopo l’exploit della conferenza stampa di venerdì 10 aprile, quando Conte ha attaccato direttamente — facendo “nomi e cognomi” — Giorgia Meloni e Matteo Salvini, accusandoli di diffondere falsità sul MES e portandosi dietro una lunga coda di polemiche.

Come ha spiegato Vincenzo Marino nella sua newsletter zio, le manifestazioni di devozione al presidente del Consiglio sono partite da una base di utenti piuttosto ristretta — quella della comunità k-pop italiana — per poi tracimare nella normosfera dei meme che potrebbero finire tranquillamente anche nella vostra chat di famiglia su WhatsApp. Il fenomeno non è da intendersi come completamente serio, anzi: alla base c’è una buona dose di ironia, che gioca sul contrasto tra la sobria serietà del personaggio e il ruolo improbabile di teen idol in cui viene calato. Ma dopo il 2016 non siamo più così ingenui da credere che ogni fenomeno ironico e post-ironico su internet resti confinato in quest’ambito, senza esercitare una forma di influenza sulla realtà

D’altra parte, è normale che in tempi di crisi il consenso dell’opinione pubblica si raccolga attorno alle uniche figure politiche capaci di trasmettere un senso di stabilità. I memer saranno pure ironici nella propria esaltazione di Conte, ma molti cittadini sono serissimi, come dimostrano i suoi indici di gradimento in salita — 17 punti percentuali in più dall’inizio dell’epidemia, secondo l’ultimo sondaggio dell’Istituto Ixé.

Ma Giuseppe Conte si merita tutta questa devozione? Al netto delle convinzioni politiche di ciascuno — per cui il presidente del Consiglio può sembrarvi, legittimamente, il più grande statista dalla fine della Prima repubblica o l’ultimo degli scemi — ci sono delle buone ragioni per sostenere che, anche nella commozione causata da una crisi sanitaria senza precedenti, la sua statura politica vada perlomeno messa in prospettiva. Come scrive Ovidio nei Remedia amoris (vv. 299 e ss.), uno dei modi migliori per liberarsi di un amore indesiderato è soffermarsi a ricordare i difetti della persona amata. Conviene, allora, ripercorrere i motivi per cui, se nelle ultime settimane ti sei riconosciut* come bimba di Giuseppe Conte, dovresti smetterla subito.

1) Matteo Salvini

Sì, proprio lui, l’ex ministro dell’Interno. Il duro discorso pronunciato da Conte in Senato lo scorso 20 agosto, dopo la rottura con la Lega, è stato visto da molti come un colpo di spugna sufficiente e definitivo sulla precedente esperienza di governo. La conferenza stampa di venerdì è servita come una sorta di sequel, a rafforzare la convinzione che Conte è “uno che non le manda a dire” a Matteo Salvini e Giorgia Meloni. 

Eppure, per un anno intero a Palazzo Chigi Giuseppe Conte ha fatto sostanzialmente il passacarte del leader leghista — vero motore di quell’esecutivo — accettando di mettersi a capo di uno dei governi più sbilanciati a destra dell’intera storia repubblicana. Se la Lega di Salvini è passata dal 17% delle elezioni del 4 marzo 2018 a percentuali di consenso virtualmente superiori al 30% è merito soprattutto della posizione di strapotere, politico e mediatico, assunta da Salvini nel corso del suo anno al Viminale. E, quindi, di chi ha reso possibile la nascita e la sopravvivenza di quella scellerata alleanza di governo: Giuseppe Conte. Specialmente sotto il profilo mediatico, gli effetti di quella posizione di potere continuano a fare danni: un complottista di estrema destra come Marcello Foa è ancora presidente della Rai, e il TG2 plasmato dall’alleanza sovranista è ancora così assurdo da sembrare uscito dalla Corea del Nord.  

È Salvini ad essere cambiato, nel frattempo? No di certo: il segretario della Lega è uguale a se stesso da più di dieci anni. Sembra piuttosto Conte a non essersene accorto, o ad esserselo fatto andare bene finché rendeva possibile la sua sopravvivenza al governo.

2) I provvedimenti del governo giallo-verde ancora in vigore

Giuseppe Conte non ha mai apertamente rinnegato il governo con la Lega. Durante il già citato discorso del 20 agosto, anzi, aveva detto che la rottura di Salvini andava a interrompere prematuramente “un’azione di governo che procedeva operosamente e già nel primo anno aveva realizzato molti risultati e molti ne stava realizzando.” Non stupisce, quindi, che a dispetto della parola d’ordine ripetuta più volte dopo il capovolgimento di alleanze — “discontinuità” — il governo giallo-rosso abbia operato, su molti fronti, in sostanziale continuità con il precedente. 

L’esempio più lampante sono i decreti sicurezza, simbolo della politica xenofoba di Salvini e apice della criminalizzazione del soccorso in mare: nonostante le ripetute dichiarazioni di principio e le promesse di recepire, almeno, i rilievi espressi dal presidente della Repubblica al momento della firma, i due provvedimenti sono ancora in vigore e i timidi tentativi di revisione si sono arenati nel dibattito politico pre-pandemia. Allo stesso modo, l’attuale governo ha rinnovato senza battere ciglio gli accordi con la Libia, in base ai quali migliaia di persone continuano ad essere intercettate in mare dai miliziani equipaggiati dall’Italia — la “guardia costiera libica” — e rinchiusi in centri di detenzione dove la violazione dei diritti umani è il pane quotidiano. Anche qui, le modifiche che erano state promesse non si sono mai viste.

Poteva bastare? No, il governo giallo-rosso è riuscito a superare a destra perfino Salvini, sfruttando il pretesto dell’emergenza sanitaria per chiudere definitivamente i porti alle navi umanitarie battenti bandiera non italiana, con un provvedimento che inasprisce il decreto sicurezza bis e viola diverse convenzioni internazionali. Il tutto mentre centinaia di persone continuano a fuggire dalla Libia — dove l’emergenza sanitaria si somma alla guerra civile — e attraversano il Mediterraneo centrale scontrandosi con la criminale omissione di soccorso dei governi europei.

3) La gestione improvvisata della crisi

Trovarsi alle prese con una pandemia globale causata da un virus ancora poco conosciuto non dev’essere facile per nessun politico, e di fronte alla sequela di errori messi in fila, per esempio, dalla regione Lombardia, il governo Conte tutto sommato riesce a fare una figura quasi positiva. Tuttavia, se il virus in Italia ha avuto un impatto così devastante è anche per colpa di alcune decisioni — o mancate decisioni — che fanno capo al governo centrale. 

Per esempio, il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza con largo anticipo, il 31 gennaio, ma nel mese successivo non si è evidentemente preoccupato di preparare una risposta adeguata all’emergenza in arrivo, individuando ad esempio le strutture in cui isolare i pazienti infetti e assicurando a tutti gli operatori sanitari la fornitura di adeguati dispositivi di protezione individuale. Eppure, esisteva da quasi vent’anni un piano per la prevenzione delle pandemie influenzali che prescriveva esattamente questo, e la cui applicazione spettava in primis al ministero della Salute. 

Nelle settimane successive Conte si è mosso in ordine sparso, nominando commissari, comitati e task force, annunciando un Dpcm dopo l’altro nel corso di conferenze stampa o dirette Facebook notturne, ed esitando fino al 22 marzo prima di chiudere definitivamente le attività produttive non essenziali — peraltro con mille deroghe. Finora il presidente del Consiglio ha detto che si assumerà la responsabilità delle scelte fatte ma non ha mostrato cenni di autocritica, neppure per la mancata applicazione della “zona rossa” ad Alzano e Nembro, che avrebbe permesso probabilmente di arginare la strage in val Seriana

Il governo e la Lombardia sono andati avanti a rimbalzarsi le colpe per settimane, ma sono corresponsabili: entrambi avevano l’autorità di imporre un lockdown totale in provincia di Bergamo e Brescia, nessuno dei due l’ha fatto, per non scontentare troppo gli interessi degli industriali locali.

4) Lo spessore politico inesistente

Pensateci un attimo: che idea di società ha Giuseppe Conte? Dove lo collochereste all’interno di un political compass? Qual è il suo programma politico? Il suo manifesto? Rispondere a queste domande è praticamente impossibile, perché il compassato professore di diritto privato è riuscito in questi due anni a non far trasparire nessuna idea politica sostanziale. È questo che gli ha permesso di passare senza troppe difficoltà dal “contratto di governo” siglato tra Lega e M5S all’alleanza con il Pd, facendosi portavoce di proposte politiche spesso contraddittorie. Un esempio su tutti: la flat tax leghista, che evidentemente andava bene finché si era al governo con Salvini, ma poi è stata fortunatamente archiviata. 

Personaggio creato dal Movimento 5 Stelle, che l’aveva proposto come ministro della Pubblica amministrazione quando ancora nessuno lo conosceva, Giuseppe Conte in seguito ha dichiarato di aver avuto una formazione politica tendente a sinistra. Tuttavia, mantenere un profilo tecnico, insipido, democristiano, da esecutore materiale di volontà altrui, è il segreto del suo successo: Conte è l’uomo buono per tutte le stagioni, il trasformista capace di stare al governo tanto con i post-fascisti quanto con gli ex-ex-comunisti, in nome di un interesse nazionale che non si capisce bene in che direzione dovrebbe andare. Non c’è da stupirsi se i suoi indici di gradimento sono buoni: come si fa ad essere in disaccordo con chi non manifesta idee?

5) Rocco Casalino

Che è ancora il suo portavoce, quello che probabilmente gli scrive i discorsi e cura tutta la sua comunicazione pubblica, facendo il bello e il cattivo tempo con i giornalisti. Sul factotum della comunicazione del Movimento 5 Stelle e sui suoi rapporti con il presidente del Consiglio ci sarebbe molto da dire, ma basta ricordare questo video risalente ai primi giorni del governo gialloverde, quando Casalino allontanò di peso Conte che si era fermato a parlare con i giornalisti a margine del G7 in Canada. Se apprezzate Giuseppe Conte, in realtà apprezzate soprattutto Rocco Casalino.

Segui Sebastian su Twitter