L’artista ha realizzato otto nuove opere per la prima volta a Parigi pochi giorni fa: partendo dalla rive gauche e salendo verso nord, siamo andati a cercarle.
“Stai cercando Banksy?” domanda Guido con un mezzo sorriso e una reflex in mano. “Non monsieur, je cherche le passage Saint-Germain” — “Ah non, celui-ci est le passage de la Main d’Or, ce n’est pas ici.”
Non tutti sono alla ricerca degli ultimi lavori che lo street-artist di Bristol ha deciso di realizzare a Parigi qualche giorno fa, per la prima volta nella capitale francese. Ne sono stati rivendicati otto dal suo profilo Instagram, che insieme al sito internet è l’unico canale ufficiale dell’artista, ma in giro se ne trovano nove. L’artista era già passato dalla Francia nel 2015 lasciando quattro (forti) lavori tra la città di Calais e la sua famosa “giungla.”
Banksy (o chi per lui, da tempo si pensa che siano altre le persone che realizzano materialmente le sue opere a causa del rischio di essere scoperto) ha iniziato probabilmente il 20 giugno, la giornata mondiale del Rifugiato, con il ritratto di una bambina che copre una svastica con un pattern rosa disegnato a Porte de la Chapelle:
Il richiamo qui è chiaro, almeno per chi vive a Parigi, al grande numero di rifugiati e migranti che popolano il quartiere dal 2016, da quando venne installata “la bulle,” la bolla, un’immensa struttura di accoglienza gonfiabile gialla e bianca grande 900 m2 che ha registrato 60mila passaggi nei suoi 17 mesi di vita. Il quartiere, da sempre popolare e multietnico, non ha forse colto il senso del disegno e la vista di una bambina di colore associata ad un simbolo nazista ha preso il sopravvento. Poco dopo la sua comparsa il disegno è stato coperto e praticamente cancellato:
En attendant, courez voir ces œuvres dont il est difficile de dire combien de temps elles resteront visibles…#banksyparis #streetart pic.twitter.com/pnvK9gB8hs
— Yoni Winogradsky (@yowino) June 26, 2018
Come succede in molte parti del mondo, è iniziata una guerra tra chi non vede perché un’opera di Banksy non dovrebbe essere trattata come una qualunque opera di street-art (e quindi che possa venire coperta da un altro lavoro), e chi invece si prodiga in un’opera di protezione e compra placche di plexiglass per ricoprire tutti i suoi lavori (nel nostro caso Baptiste Ozenne, “protettore” di Banksy al punto da partire ogni anno nel suo albergo-opera di Betlemme per restaurarlo).
Partendo dalla rive gauche e salendo verso nord abbiamo visti (quasi) tutti i lavori. Su alcuni ci siamo lungamente interrogati, partendo da quello apparso davanti alla Sorbona:
Intorno a noi si sono radunate almeno 10 persone nel giro di qualche minuto e l’opera è stata presa d’assalto dai flash. La zona da cui partiamo è centrale e turistica e il lavoro di Banksy è letteralmente davanti all’entrata principale dell’università.
Mentre ci spostiamo a piedi, non concordiamo sul senso del disegno: per me, l’uomo cerca di attirare il cane verso di sé con la promessa dell’osso ma le sue intenzioni non sono delle migliori. Per Guido, l’osso altro non è che la zampa mancante del cane che il suo padrone ha “spolpato” per poi offrirgliela senza che l’animale se ne rendesse conto. Inizio a concordare anch’io alla sua versione, mentre ci avviamo sul boulevard Saint Germain verso rue Maître Albert dove è apparso l’unico stencil non rivendicato dai profili ufficiali:
È molto simile, ma non identico, a quello che invece è stato riconosciuto da Bansky e che siamo andati a scoprire in un passaggio vicino a Bastille:
Il concept è sempre lo stesso: il numero 8 di 1968 viene “staccato” e messo a mo’ di orecchie di Minnie su un topolino che non ha proprio niente del magico mondo americano. A 50 anni dalla rivoluzione ciò che rimane è forse solo un numero e qualche slogan, mentre Disneyland e i suoi personaggi rendono Parigi una città piena di turisti e bambine con delle enormi orecchie nere (probabilmente uno dei gadget più venduti nel parco divertimenti). I due disegni sono simili ma non identici: i colori cambiano, i topi non sono gli stessi e la scritta della prima foto sembra quasi fosse già presente. Oltre al fatto che non è stato rivendicato, il primo disegno sembra più una bozza del secondo nel quale ci sono stati vari miglioramenti:
Ad un paio di fermate di métro si trova il lavoro forse più emozionante della serie, realizzato sopra una delle porte di uscita di sicurezza del Bataclan dalla quale molte persone si sono messe in salvo la notte del 13 novembre 2015.
Questa bambina sembra quasi evanescente, irreale: le sue gambe sono incompiute e il velo che le copre la faccia la colloca in una sorta di perenne lutto in memoria delle vite perse oltre quella porta.
Per l’ultimo lavoro del nostro tour ci spostiamo nel 19esimo, quasi sul bordo del Bassin de la Villette:
Le dimensioni sono importanti e questa rivisitazione del Bonaparte franchissant le Grand-Saint-Bernard di Jacques-Louis David è il più grande tra i lavori realizzati nelle notti di giugno.
Subito descritto come “Napoleone che porta un burqa,” la cappa rossa attorcigliata intorno al corpo dell’imperatore a noi ricorda invece la faccenda (tutta italiana) delle statue di nudi dei Musei Capitolini coperte per la visita ufficiale di Rouhani nel 2016.
In questa proliferazione notturna di opere certamente salta all’occhio che i quartieri scelti siano turistici o molto conosciuti, dal quartiere latino a Oberkampf, passando per il Marais e il Centre Pompidou, una scelta che ha tagliato fuori due quartieri molto importanti per la street-art: Belleville e la Butte-aux-Cailles. Il primo diventa famoso grazie ai Malaussène di Pennac e alla sua aria da Parigi-non-turistica-piena-di-giovani-e-di-bar e ha da sempre attirato l’arte sulle sue strade, ma la Butte-aux-Cailles è forse uno dei luoghi più conosciuti a livello internazionale nel mondo dei graffiti. Quasi un parco giochi regolamentato, un museo illegale dove tutti sanno cosa trovare e dove, anche grazie all’associazione Lézarts de la Bièvre che preserva le opere più importanti grazie ad una targa impedendo al comune di cancellarli.
Inoltre, il quartiere ha una storia interessante sotto molti punti di vista: letteralmente “la collina dei Cailles,” la famiglia proprietaria del terreno, dal 1600 quartiere popolare e operaio che vive intorno alla Bièvre, un affluente della Senna. A causa del terreno argilloso è impossibile costruirci sopra grandi edifici e le sue vie piccole e strette sono perfette per degli attacchi d’arte notturne. Oltretutto, era il quartier generale della Comune di Parigi nel 1871. Un luogo quindi che sarebbe stato propizio ad un intervento dell’artista ma che per ragioni sconosciute è stato ignorato.
Quello che è certo è che, ancora dopo anni, il caso Banksy riesce a mobilitare le folle e ad interrogarci sotto vari punti di vista, forse più sul senso delle opere che sulla sua identità.
Per dovere di cronaca, ecco le altre opere che sono rimaste fuori dal nostro tour:
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