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“Abbiamo letto un articolo durante il primo lockdown in cui si parlava del concetto di famiglia allargata — dei congiunti, di chi non aveva nessuno, eccetera. Questa parola ci ha colpiti e abbiamo pensato che parlasse del nostro mondo.”

Il nuovo disco dei Tersø si intitola Iperfamiglia e arriva a due anni dal loro esordio Fuori dalla Giungla. Abbiamo raggiunto Marta e Alessandro per farci raccontare questo nuovo lavoro. Ovviamente via Skype. Ovviamente ognuno da casa sua. 

L’album vive dell’atmosfera sospesa degli ultimi mesi in cui fa strano parlare di locali, gente, emozioni e luoghi. La scrittura di Marta, che in questo album acquisisce elementi di maturità interessanti, (Aurelia e Oceani) è fatta di mondi nuovi da esplorare. Il contrasto con l’oggi e con quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno è al contempo straniante e rassicurante, come riguardare delle foto recenti che di colpo ci sembrano strane, distanti, ma allo stesso tempo così intime da sconvolgerci. La musica dei Tersø prosegue invece sul filone tracciato nei vecchi lavori e anche qui la voglia di uscire per andare a ballare — Eiger e Eastpack su tutte — si fa fortissima. Iperfamiglia aggiunge valore alla produzione dei Tersø, che sembrano proseguire il loro percorso artistico con coerenza, ma senza risultare mai ripetitivi. Il loro bisogno di comunicare fermando i momenti, come tante immagini è oggi più evidente che mai.

L’ultima volta che ci siamo visti eravamo al bancone dell’Hana Bi dopo un vostro concerto.

M: No no, l’ultima volta ci siamo visti al concerto di Fka Twigs a Milano!

Cazzo è vero! Uno degli ultimi concerti grossi. Cos’era? Novembre? 2019… Beh comunque il senso è quello. Da quando ci siamo visti l’ultima volta è cambiato un po’ tutto. Come la state vivendo umanamente? E come musicisti?

M: In generale… Male! No, scherzo ma neanche tanto. Il periodo è stato davvero difficile, è cambiato un po’ tutto. Sia a livello musicale che a livello personale. Mi manca quella normalità banale, della birretta, dei giri, gli amici i concerti, ecc. Il primo periodo è stato davvero brutto. Ora ovviamente è diverso.

A: Poi ci ha aiutato molto anche il fatto che stessimo finendo il disco. A marzo dell’anno scorso eravamo già a buon punto di scrittura, quindi eravamo proiettati verso l’uscita dell’album. C’è stato ovviamente uno stop, abbiamo pensato alle tempistiche di pubblicazione ma abbiamo lavorato molto e poi alla fine il primo pezzo è uscito a ottobre.

Ecco, esatto. Immagino che uscire con un disco di questi tempi, soprattutto se non sei una grande realtà, comporti una buona dose di coraggio e di incoscienza.

M: Come ti dicevo è un’uscita che comunque ha subito un ritardo. Però penso che questo disco sia giusto per questo momento. Racconta una parte di vita che c’è stata e questo è il momento giusto per raccontarla.
A: Sì, ne abbiamo parlato. In un momento in cui tutto si era spento, per noi era importante non subire la situazione ma reagire. Anche come forma di rispetto nei confronti del proprio lavoro e della propria passione. Anche per quello è importante comunque andare avanti. A noi ha aiutato.

Ok, entriamo dentro al disco. A proposito di confini e limitazioni, c’è molta Berlino in questi brani, Laser sembra proprio descrivere il Berghain. Cosa avete in sospeso con Berlino?

A: (ride) No qui lascio rispondere Marta.
M: Eh Berlino è una città che io amo molto. Questo pezzo, come altri, è vero che sembrano descrivere qualcosa di molto preciso. Se prendi le frasi sulle foto ecc. Rimanda proprio lì. Però è una scusa, quasi, un modo che io uso per descrivere situazioni partendo anche da cose molto vicine ma che non necessariamente rappresentano la realtà. Come in questo caso. Non è un racconto di quando siamo stati lì ma più un concetto che mi affascinava e che mi sembrava forte da usare.

Lo sapete, a me voi piacete molto, trovo che la vostra musica abbia un dono particolare. Non è solo ascoltare una canzone, con voi, è essere trasportati dentro un mondo, è vivere sentimenti complessi. Vedere quello di cui parlate, in qualche modo viverlo. Come se fosse una colonna sonora di un momento preciso che ti piomba sulla pelle quando ascolti la vostra musica. Non è un caso, ci lavorate su questo aspetto?

M: Ci fa molto piacere perché è una delle cose a cui teniamo molto e che ci piacerebbe arrivasse a chi ci ascolta. C’è molta cura da parte nostra.

Ok, però ora c’è il rovescio della medaglia. Cioè, questo è vero, ma quindi dove vi collocate? A cosa vi sentite più vicini, come scena, come senso di appartenenza rispetto alla musica italiana?

A: Eh questa è una bella domanda… Ci pensiamo un paio d’ore e ti rispondiamo

M: Non è facile. Vero. Ci sono tanti altri progetti che sentiamo vicini, ma che magari come estetica sono molto distanti da noi.
A: Poi si ovvio diciamo che rientriamo nel settore degli indipendenti, in senso stretto. L’attitudine è quella ma gli ascolti comunque non sono prettamente italiani, quindi è difficile.

Marta tu prima citavi Vasco Brondi e in effetti la sua tournée nei club di qualche anno fa era stata molto bella e con molta elettronica. In Italia alla fine ciò che vince è la parola e il cantato in italiano sposta la collocazione del genere. Forse quello che manca è una scena, dei riferimenti rispetto a un’elettronica suonata, cantata in italiano che non si presti per forza ad altre collocazioni.

A: Sì è vero, ma se ad esempio ascolti i pezzi di Han, che a me piace molto per quello che fa, un po’ ci rivedo del nostro. Se cantasse in italiano la sentirei quasi in un filone insieme a noi o alla stessa LIM. Di fatto a livello di suoni forse ci sono affinità, è lo step dell’italiano che poi spiazza. Ma è quello che noi abbiamo sempre voluto fare fin dall’inizio.

Domanda secca, perché Iperfamiglia?

M: Abbiamo letto questo articolo durante il primo lockdown, si parlava proprio del concetto di famiglia allargata. Il tema dei congiunti, di chi non aveva nessuno, etc. Questa parola ci ha colpiti e leggendo poi l’articolo abbiamo proprio pensato che parlasse del nostro mondo. Alla fine tutte le canzoni del disco hanno il titolo formato da una parola sola, ma raccontano sempre legami e parlano di pluralità sotto vari punti di vista. Per questo Iperfamiglia ci sembrava adatto.