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Il volto della storica attivista abolizionista afroamericana potrebbe finalmente sostituire quello del presidente Andrew Jackson, ribaltando la volontà dell’amministrazione Trump

La parola chiave dell’amministrazione Biden finora è stata diversità. Per affermare questo principio, il nuovo presidente degli Stati Uniti si è servito di pratiche anti-discrimination, come l’affirmative action, una politica volta all’inclusione “forzata” di un determinato gruppo sociale o etnico. Questo metodo viene spesso adoperato dalla politica, con lo scopo dichiarato di garantire rappresentanza a tutte le componenti, in particolare quelle minoritarie, della società. Il caso dell’attivista afroamericana Harriet Tubman come nuovo volto da mettere sulle banconote da venti dollari è un esempio di affirmative action, e come tale si è purtroppo rivelato controverso ed è stato negli anni osteggiato dallo schieramento politico opposto a quello di Joe Biden. 

La nuova amministrazione vorrebbe invertire la traiettoria intrapresa durante l’era Trump e riprendere il lavoro che era già stato avviato negli ultimi mesi della presidenza Obama. La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha annunciato la volontà del Presidente Biden durante una conferenza stampa, aggiungendo: “I nostri soldi riflettono la storia e la diversità del nostro paese e l’immagine di Harriet Tubman che impreziosisce la nuova banconota da 20 dollari rifletterebbe certamente questo, quindi stiamo studiando dei modi per accelerare questo sforzo”. Un messaggio positivo che, però, già in passato è stato accolto con giudizi sfavorevoli.

Nel 2016, quando venne comunicata dall’allora Segretario al Tesoro Jacob Lew l’intenzione di stampare le nuove banconote da venti dollari, l’ex deputato repubblicano dell’Iowa Steve King definì la scelta dell’amministrazione Obama di onorare Tubman “razzista” e “sessista” e cercò di bloccarla, senza successo, con un emendamento alla Camera. Non dovrebbe stupire il fatto che un politico noto alle cronache per le sue posizioni estremiste trovi divisivo un cambiamento radicale come questo. Eppure, dopo Obama, alla Casa Bianca è arrivato Donald Trump, e il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti ha fatto di tutto per ritardare questa novità introdotta dal proprio predecessore. “È puramente una mossa del politicamente corretto” aveva detto poco prima delle elezioni. Per Trump, che non ha mai fatto segreta la sua ammirazione per Andrew Jackson, sarebbe stato un oltraggio cancellare il settimo presidente dalle banconote da venti dollari. Lo scorso giugno, in seguito alle proteste violente per cui è stata dispiegata la Guardia nazionale nella capitale, Trump ha urgentemente emanato un ordine esecutivo per preservare i monumenti dedicati agli eroi nazionali. La statua equestre di Andrew Jackson situata a Washington era stata da poco vandalizzata, dando inizio all’aspra lotta tra Trump e la cosiddetta cancel culture.

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Due presidenti, Jackson e Trump, con due personalità sorprendentemente simili: entrambi, dall’alto del proprio aplomb machista, suscitavano profondo disprezzo nei loro avversari. Il motivo per cui però i democratici esercitano pressione per mettere in circolazione il nuovo taglio di banconote non è dovuto esclusivamente alla rivalutazione negativa di Andrew Jackson. Se infatti l’eredità del fondatore del Partito Democratico, tristemente ricordato per la deportazione dei Nativi Americani, è diventata anacronistica per i progressisti, una storia di cui la società americana va profondamente orgogliosa è quella di Harriet Tubman.

Nata in schiavitù in una piantagione a sud del Maryland nel 1820, Harriet Tubman è stata la più importante figura femminile del movimento abolizionista statunitense. Come tanti altri schiavi del Maryland, tra cui Frederick Douglass, Tubman ebbe la fortuna di riuscire a fuggire dal suo padrone dopo essere stata separata dal padre, che era diventato un uomo libero. Negli anni successivi alla sua fuga Tubman, che portava sempre una pistola con sé per proteggersi dai mercanti di schiavi che rapivano gli afroamericani del nord per poi rivenderli al sud, fu in grado di liberare dalla schiavitù centinaia di persone. La sua vita prese una piega quasi epica quando venne impiegata come spia dall’esercito dell’Unione durante la guerra civile. Alla fine, pur rimanendo analfabeta fino alla morte, appoggiò attivamente l’incipiente movimento femminista delle suffragette. Una delle ultime frasi che le è stata attribuita prima di morire è: “Ho sofferto abbastanza per credere che noi donne possiamo votare”. 

Stampare delle nuove banconote con la faccia di Harriet Tubman non sarebbe soltanto un tributo a un personaggio simbolo della storia afroamericana e del femminismo statunitense. Si tratterebbe della prima persona di colore a ricevere un tale trattamento dal governo degli Stati Uniti. Un riconoscimento istituzionale che, insieme alla presidenza di Barack Obama, rimarrebbe obbligatoriamente scolpito nel patrimonio culturale di un paese che tutt’oggi — e le manifestazioni del 2020 lo dimostrano — risulta dilaniato da annose questioni sociali, economiche e politiche, come il razzismo sistemico, il redlining e la soppressione del voto nero

Joe Biden, che nel corso della sua lunghissima carriera politica è passato dalla difesa degli autobus segregati ad essere un campione dei diritti delle minoranze, è consapevole dell’importanza che riveste questa decisione e la sta difendendo con fierezza. L’evoluzione vissuta dall’attuale presidente degli Stati Uniti appartiene alla maggioranza degli americani bianchi che hanno rinnegato il passato suprematista della loro nazione. Non una scelta coraggiosa, ma un primo passo verso l’inevitabile transizione a una società multietnica che possa rappresentare una nuova normalità per un popolo travagliato come quello americano, che stenta, con alcune eccezioni, a riconoscere la propria identità passata e futura.

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