IMG_5662

Secondo uno studio pubblicato di recente, Bergamo e Brescia sono le due città con il più alto tasso di mortalità dovuta all’inquinamento atmosferico in Europa, seguite da vicino da Milano, Torino e Vicenza

In uno studio pubblicato due giorni fa su The Lancet Planetary Health sull’impatto dell’inquinamento atmosferico in 1000 città europee, spicca il drammatico primato italiano, e specificamente padano: Brescia e Bergamo hanno il tasso di mortalità da particolato fine più alto d’Europa, ma tra le prime dieci si trovano anche Vicenza e Saronno. Per la mortalità da biossido di azoto, invece, Torino e Milano si trovano al terzo e al quinto posto. I dati delle singole città sono consultabili in forma graficamente accessibile su questo sito. Secondo i ricercatori, ridurre i livelli di PM 2,5 e NO2 entro le linee guida raccomandate dall’Oms permetterebbe di prevenire più di 51 mila morti premature all’anno, numero che sale fino a 125 mila se i livelli di inquinanti fossero abbassati fino al livello minimo registrato nello studio. Per l’area metropolitana di Milano, parliamo di un numero variabile tra 3 mila e 5 mila morti all’anno che potrebbero essere evitate.

Secondo l’Oms, a livello mondiale l’inquinamento atmosferico è una delle principali cause di morte, con 7 milioni di decessi all’anno. Oltre alla pianura padana, le aree più inquinate d’Europa si trovano nell’est della Repubblica Ceca e in Polonia, mentre tutte le grandi città soffrono particolarmente per l’inquinamento da biossido di azoto (Madrid si trova al primo posto).

Lo studio, per quanto scioccante, non deve sorprendere: già da anni è noto che Milano e la rete urbana che la circonda sono tra le aree più inquinate del mondo. L’anno scorso, poco prima che tutti fossimo costretti ad indossare mascherine per motivi epidemici, avevamo svolto una breve indagine in città sull’opportunità di indossare una mascherina antismog — uno strumento di prevenzione molto efficace per difendersi dall’inquinamento atmosferico ma molto poco diffuso tra la popolazione.

Come nel caso della pandemia di Covid, anche per l’inquinamento i paesi orientali come la Cina — che ne sono stati negli anni passati gravemente affetti — hanno messo in campo misure più ambiziose ed efficaci per alleviare quella che è una vera e propria crisi sanitaria, oltre che ambientale. Un buon esempio è la città di Pechino, dove la concentrazione media di PM2,5 è calata del 53% rispetto al 2013. In totale, la percentuale di giorni con aria pulita nel corso del 2019 è stata del 65,8%. La città ha lanciato una guerra contro l’inquinamento nel 1998, e nei cinque anni compresi tra il 2013 ed il 2017 si sono registrati i risultati migliori: le polveri sottili sono diminuite del 35% nel 2013 e ancora del 25% nel 2017. Per quanto il modello di sviluppo cinese presenti indubbiamente notevoli criticità in vari campi, nessun’altra città al mondo è riuscita, per ora, a raggiungere questi risultati per quanto riguarda l’inquinamento.

Va detto che anche in Lombardia la qualità dell’aria è migliorata nel corso dell’ultimo trentennio: ma mentre i progressi cinesi sono stati direttamente causati da una serie di decisioni e investimenti politici, i miglioramenti lombardi sono stati soprattutto la conseguenza della deindustrializzazione che ha colpito tutta Italia dalla fine del Novecento. Il livello di inquinamento atmosferico si è, in tutta Italia, nettamente ridotto dalla fine del secolo scorso, per poi assestarsi su una media ancora grave, ma certamente più bassa rispetto al decennio precedente. A livello statale, il nostro paese ha condizioni peggiori rispetto agli altri stati europei, a causa di normative meno vincolanti che rendono più difficile ai settori terziario e secondario dei miglioramenti ecologici.

Secondo uno studio di Legambiente del 2019, in Italia c’è una carenza “ormai non più sostenibile” di misure strutturali pensate per abbattere in modo drastico i livelli di inquinamento e di riportare la qualità dell’aria a livelli accettabili. Le misure messe in atto dagli enti locali — almeno prima della pandemia — sono state prese soprattutto con un’ottica tappabuchi, utile a risolvere i problemi sul breve termine come blocchi stradali e divieti di circolazione. Non si è mai registrato, soprattutto in Lombardia, una politica di limitazione decisa e duratura del trasporto su gomma in favore di quello ferroviario — anzi: le varie giunte di destra hanno spesso privilegiato l’espansione della rete autostradale, con progetti controversi come quello di Pedemontana, a discapito della rete di trasporto regionale. La situazione di collasso economico e morale di Trenord, del resto, è sotto gli occhi di tutti.

Leggi anche: Dieci anni di inquinamento atmosferico in Lombardia

Proprio la pandemia e il lockdown però hanno dimostrato che con una limitazione della circolazione di mezzi individuali si può ridurre l’inquinamento anche sul medio termine: un risultato ancora più importante in questo momento se si pensa che la cattiva qualità atmosferica è un fattore di rischio per diverse malattie respiratorie. Uno studio dell’Eea, l’Agenzia europea per l’ambiente, mostra come nell’ultimo anno le misure restrittive abbiano avuto un impatto positivo anche sulla qualità dell’aria. Il che conferma la necessità di un’azione politica attiva da parte delle autorità nazionali e locali per evitare una vera e propria strage silenziosa, che si sceglie di non contrastare per non ledere l’interesse delle grandi aziende — che sono la principale causa di inquinamento non solo in Lombardia, ma nel mondo — e per una generale pigrizia ideologica che esalta il trasporto privato su quello pubblico, e che a volte si avvicina al negazionismo.

Quanto si avvicina? Be’, parecchio: basti pensare che il nuovo assessore allo sviluppo economico di regione Lombardia, Guido Guidesi, ha mostrato posizioni vicine al negazionismo climatico. O meglio, il timore di Guidesi non è tanto che il pianeta si stia generalmente riscaldando — anzi: Guidesi è intimorito dal possibile “raffreddamento climatico.” Nel 2016, insieme a un nutrito gruppo di deputati leghisti tra cui il governatore friulano Fedriga e l’eminenza grigia Giancarlo Giorgetti, ha presentato un emendamento per stornare i 50 milioni di euro di contributo italiano al Green Climate Fund, per finanziare con almeno 25 milioni così risparmiati un progetto molto ambizioso: “lo svolgimento di ricerche dedicate alla valutazione del rischio di un raffreddamento globale in conseguenza dell’alterazione dei cicli delle macchie solari.”


In copertina, foto via Flickr

Sostieni the Submarine, abbonati a Hello, World!