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Legambiente Lombardia ha denunciato che da ieri Milano è “fuori legge” per aver superato i 35 giorni sopra le soglie europee di PM10. Contro molti luoghi comuni, un modello per contrastare l’inquinamento potrebbe essere proprio una delle città più inquinate del mondo, Pechino.

Con 36 giorni sopra la soglia di PM10 europea — l’anno è iniziato da 48 giorni — Milano da oggi è ufficialmente fuori legge per lo smog. Negli ultimi dieci anni, solo nel 2011 si è oltrepassato questo livello più in fretta, e solo di un giorno. Con l’eccezione del 2014 e del 2016, dal 2011 ad oggi la città è arrivata a questo “traguardo” sempre a cavallo tra la seconda metà di febbraio e la prima settimana di marzo, confermando che non è stato fatto niente di sostanziale nella lotta contro l’inquinamento in città.

Le norme europee prevedono una soglia di 50 microgrammi per metrocubo di PM10 al giorno, e un totale massimo di 35 giornate all’anno in cui questo limite può essere superato. Il problema, per altro, non riguarda solo Milano, una città con un problema grave di traffico — che rappresenta una delle fonti principali del grande inquinamento —, ma anche centri più piccoli, come Pavia e Cremona, che la seguono da vicino. Dall’inizio dell’anno si è superata la soglia giornaliera 34 volte a Pavia e 32 a Cremona. In entrambi i casi, specificamente, i livelli di inquinamento fuori scala sono dovuti alla combinazione delle emissioni di ammoniaca da parte degli allevamenti intensivi con gli NOx prodotti dai motori diesel.

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un risveglio della coscienza di massa rispetto ai cambiamenti climatici che sta coinvolgendo non solo scienziati e ambientalisti, ma un numero sempre maggiore di attivisti. La richiesta è quella di abbandonare una crescita economica e un’idea di progresso che non rispettano l’ambiente e che in primis interessano le politiche dei centri industrializzati  — nel caso dell’inquinamento anche le metropoli.

Secondo uno studio del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente del 2019, è possibile raggiungere questo obiettivo e allo stesso tempo diminuire drasticamente l’inquinamento nelle grandi città. 

Tra i casi più emblematici c’è quello di Pechino, che da anni si trova nella top 10 delle città più inquinate del mondo, e che rappresenta un esempio lampante di come sia possibile ridurre concretamente l’inquinamento all’interno delle metropoli. La gran parte dell’opinione pubblica occidentale è ancora poco aggiornata a riguardo e rimane per lo più aggrappata a vecchie convinzioni prese “per sentito dire.” Da anni la Cina si trascina dietro come un fardello la reputazione di essere uno dei Paesi più inquinati ed inquinanti al mondo. E a dire il vero non è neanche del tutto sbagliato pensarlo. Alla conferenza stampa dello scorso 3 gennaio l’Ufficio Municipale per l’Ecologia e l’Ambiente pechinese ha annunciato che nel 2019 la qualità dell’aria della capitale cinese e dei centri circostanti ha raggiunto picchi circa quattro volte superiori rispetto al livello annuo raccomandato dall’OMS. Ma a differenza di molti altri Paesi, la Cina sta affrontando l’emergenza con convinzione: l’Ufficio comunica che la concentrazione media di PM2,5 è calata del 53% rispetto al 2013. In totale, la percentuale di giorni con aria pulita nel corso del 2019 è stata del 65,8%.

Proprio per il suo altissimo tasso di emissioni di polveri sottili, smog e sostanze inquinanti, la capitale cinese ha messo in atto una politica ecologista più attenta ai propri cittadini. È dal 1998 che la città ha lanciato una guerra contro l’inquinamento, e nei cinque anni compresi tra il 2013 ed il 2017 si sono registrati i risultati migliori.  Le polveri sottili sono diminuite del 35% nel 2013 e ancora del 25% nel 2017 — nessun’altra città al mondo è riuscita, per ora, a raggiungere questi risultati.

Questo cambiamento non è stato gratuito. È stata investita una grande somma di denaro per un progetto complessivo e generale su tutte le attività della metropoli, a partire dai riscaldamenti a metano e a gasolio.

È interessante notare che in Italia l’attività domestica è in parte sottovalutata e accantonata nella ricerca dei fattori responsabili delle emissioni: lo dimostrano le continue misure sporadiche di blocco del traffico come rimedio ai picchi di smog. In realtà, il riscaldamento delle case è responsabile del 56% delle emissioni di particolato primario nelle zone del bacino del Po. Nonostante ciò, è importante ricordare che i riscaldamenti non sono gli unici responsabili delle polveri sottili perché, come sottolinea un articolo dell’SNPA, il contributo maggiore delle sostanze inquinanti nelle aree urbanizzate rimane quello del traffico di veicoli, che in particolare a Milano è responsabile del 70% delle emissioni di NOx.

Inoltre, per valutare l’inquinamento nella pianura padana, va anche considerata una componente non gestibile, quella orografica, che non permette di avere un “corridoio d’aria” ampio, ma concede una sola “finestra” sull’Adriatico. Qualcosa si potrebbe fare, però, per migliorare la qualità dell’aria in questa zona, che nei primi venti giorni dell’anno ha raggiunto valori di US Aqi (concentrazione di polveri sottili in atmosfera) tra i 140 e i 180. Cosa dovremmo imparare, ad esempio, da Pechino? È bastato un cambio delle caldaie per dimezzare le emissioni della capitale cinese? Ovviamente no.

L’errore della politica italiana nel far fronte all’inquinamento consiste nell’intervenire su un singolo aspetto del problema come se questo fosse slegato dalle restanti attività, o nel mancato sostentamento economico dei cittadini: per il cambio delle caldaie, ad esempio, il Comune di Milano prevede un incentivo pari solo al 4%

Gli agenti inquinanti sono molteplici ed è impossibile, oltre che sbagliato, individuare chi sia l’unico colpevole. Secondo PrepAIR, un progetto guidato dall’Emilia-Romagna che mira a diminuire le emissioni inquinanti delle regioni che hanno sottoscritto l’accordo (Piemonte, Valle D’Aosta, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Trento, Comuni di Milano, Bologna e Torino), non bisogna additare come singoli responsabili i riscaldamenti domestici, i veicoli o l’agricoltura e l’allevamento intensivo, ma “è necessario sviluppare un approccio integrato che tenga in considerazione tutti questi aspetti.”

A Pechino è stato necessario mettere a punto un progetto di transizione energetica che coinvolgesse tutti i cittadini e tutte le attività umane, senza escludere alcun settore.

Per sostenere i pechinesi e i centri circostanti in questa lotta, lo Stato impone tasse e multe per eccesso di emissioni o per l’utilizzo di veicoli considerati troppo inquinanti; agevola la realizzazione di una vastissima rete di mezzi pubblici a basso consumo, diramata in tutta la città fino alla periferia e propone incentivi economici e sussidi per il cambio delle caldaie e delle automobili. La “soluzione” nel loro caso sembra esser stata l’investimento economico e i prestiti bancari: in questo modo, si è creato una sorta di “circolo virtuoso,” in cui ciò che si presta ai portafogli privati viene successivamente impiegato in attività pubbliche, ritornando poi in guadagno per la collettività.

Nonostante questo enorme dispendio di energia e denaro i risultati, a Pechino, si sono visti e sono stati soddisfacenti: lo studio del Programma delle Nazioni Unite conferma che dal 2017 le emissioni da combustione di carbone sono state ridotte di circa 11 milioni di tonnellate.

Ciò è dovuto anche al cambiamento dei veicoli: oltre ai mezzi pubblici, si sta lavorando su una graduale transizione a carburanti di qualità migliore e a bassissimo impatto ecologico. Il risultato? Dal 1998, i valori di CO, THC, Nox e PM2.5 riguardanti le emissioni di veicoli su strada sono stati ridotti rispettivamente dell’89%, 64%, 55% e 81%.

Pechino non si fermerà qui e sta già investendo e pianificando nuove strategie per ridurre al minimo il proprio impatto ambientale. Tra i primi obiettivi c’è quello di mitigare ulteriormente i valori di PM2.5 e di O3, estendendo il controllo dei composti organici volatili (VOCs) anche nelle industrie più importanti, come quelle petrolchimiche o fornitrici di tinture e vernici, fino ai ristoranti e ai negozi. Inoltre il Paese sta continuando a lavorare per avviare una completa decarbonizzazione entro il 2030 attuando una transizione verso  l’energia sostenibile, migliorando l’efficienza energetica delle industrie intensive, ma anche degli impianti di condizionamento e di riscaldamento di ogni edificio.

Sembra una realtà distante dalla nostra — in parte sicuramente lo è. Ma il loro modello di lotta all’inquinamento è un esempio da considerare e studiare, perché l’inquinamento è un problema risentito in modo particolare dall’Italia e, se non faremo nulla, gli effetti dell’inquinamento sulla salute delle persone saranno sempre più drammatici.