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in copertina, foto CC di Caitriana Nicholson

Si rischia infatti un effetto di “rimbalzo,” dovuto a una ripresa delle attività produttive per recuperare le perdite dovute all’epidemia. E questo potrebbe vanificare gli sforzi intrapresi dalla Cina per la tutela dell’ambiente.

La diffusione del nuovo coronavirus in Cina sembra aver abbattuto di oltre cento milioni di tonnellate metriche le emissioni di CO2 nelle ultime tre settimane, qualcosa di abbastanza vicino al totale di emissioni prodotte in un anno da uno stato del Nord America come quello di New York (ca. 150 t. eq.).

L’analisi, pubblicata da un analista del Centre for Research on Energy and Clean Air e ormai nota a livello globale, ha messo in luce tutti i notevoli effetti positivi sul breve periodo provocati dal blocco delle attività seguito alla diffusione del contagio. Tra questi spicca il dato sugli inquinanti veri e propri (la CO2 è piuttosto un climalterante) come l’NO2, prodotto in larga parte dai motori diesel ed estremamente pericoloso per la salute.

Anche questi effetti positivi possono però nascondere un risvolto negativo. La Cina negli ultimi anni sta infatti facendo grandi sforzi per recuperare cultura e azione contro l’emergenza climatica e ambientale, non sempre coronati da successo. L’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del nuovo coronavirus può comportare quindi un rischio ancora maggiore per la salute del pianeta: quello di una ripresa indiscriminata delle attività produttive, per le quali l’agenda ambientale potrebbe retrocedere di parecchie posizioni rispetto all’urgenza di recuperare i livelli di crescita economica pre-virus.

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È questa l’analisi di Li Shuo, senior policy advisor di Greenpeace China, diffusa da Bloomberg. Li Shuo ha avvertito che l’epidemia potrebbe persino ostacolare i continui sforzi ambientali della Cina, nello sforzo di riacquistare il tempo perduto per colpa del nuovo coronavirus.

Una parte dell’inquinamento non emesso resterà sicuramente nel conto, come quello degli spostamenti casa-lavoro in automobile non effettuati. In altri casi, le fabbriche potrebbero aumentare la produzione per compensare le perdite economiche subite durante il periodo di chiusura, in un processo che Shuo ha definito “inquinamento ritorsivo.” Secondo British Petroleum, citata da Bloomberg, lo scorso anno la Cina è stata la principale responsabile delle emissioni di CO2 da combustibili, più di Usa e Unione Europea messi insieme, per un totale di 9,4 miliardi di tonnellate. Quest’anno il governo cinese ha fissato obiettivi ambiziosi per la crescita economica e ora dovrà rincorrere il tempo perso.

La triangolazione UE – Cina – USA in quanto a politiche per la riduzione delle emissioni climalteranti ha già perso una ruota, ha detto Li Shuo al Bangkok Post. La politica dei repubblicani statunitensi in materia di ambiente prescinderà infatti da una concreta riduzione dei combustibili fossili. L’Europa, da parte sua, fa fatica a tenere il passo della propria economia, e il Green New Deal nei prossimi mesi potrebbe subire una battuta d’arresto, se non rivelarsi addirittura un flop.

Dando ormai per persi gli Stati Uniti, gli attivisti per il clima e per l’ambiente di Europa e Cina attendono il 14 settembre, data del Summit Ue-Cina di Lipsia voluto da Angela Merkel, dove sarà presente Xi Jinping. Per quella data il semestre di presidenza Ue sarà tedesco, e i lavori decreteranno l’avvento della Cina come maggior partner economico della UE. Il summit di Lipsia dimostrerà se è il clima a trovarsi subordinato alla politica, o viceversa: è un tema economico anche questo, dagli effetti tutt’altro che trascurabili.