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in copertina, un flash mob di FREE, a Vienna

Come si insegna la storia della Shoah a giovani che crescono in una società che ha sdoganato xenofobia e antisemitismo? Ne abbiamo parlato con Emanuele Edallo, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano.

Un anno fa presentavamo il progetto FREE, “Non c’è futuro senza memoria.” Un progetto ambizioso e internazionale, nato con l’obiettivo di comunicare ai più giovani non solo l’importanza della memoria, ma per insegnare a non essere indifferenti, cercando di offrire esperienze di crescita che possano trasformare lo stare e vivere il presente con uno sguardo cosciente e consapevole.

Dodici mesi e più di 20 iniziative dopo, per FREE è il momento di trarre le proprie conclusioni, in una due giorni che si apre oggi con un seminario in Università degli Studi di Milano e continuerà con nuovo nuovo flash mob nel corso della giornata di ieri e una festa finale in Santeria Toscana. Attraverso il progetto si è costruita una rete istituzionale e umana tra Milano e diversi paesi europei, per costruire un dialogo con i giovani sul tema della memoria.

Meccanismi come quelli di FREE sono sempre più importanti per preservare la memoria della Shoah ed educare i giovani agli orrori del nazifascismo, in una società dove antisemitismo e razzismo sono problemi dilaganti, ed è in atto una violenta normalizzazione di neofascismo e neonazismo.

in foto, un corteo durante un viaggio della Memoria in Austria, di FREE

Abbiamo raggiunto via email Emanuele Edallo, docente di Storia contemporanea e co-organizzatore di uno degli interventi di oggi in Università degli Studi, per ragionare sulla condizione attuale della didattica della Shoah e delle deportazioni.

Il come della didattica resta un problema centrale nell’educare e istruire i giovani in materia, ci ha spiegato Edallo: Conoscere gli avvenimenti storici, dal mio punto di vista, è la base da cui partire; si deve studiare e ci si deve aggiornare. Molto spesso lo studio di questi avvenimenti viene fatto in modo superficiale anche dagli insegnanti stessi, che privilegiano la sola memoria o che affidano ad un film il compito di ricostruire i fatti storici, con tutti i problemi che poi tale approccio porta con sé.” 

Edallo sottolinea l’importanza del lavoro svolto dalla Rete universitaria per il Giorno della Memoria, “che organizza corsi di formazione per insegnanti, al fine di dar loro gli strumenti — storici in primis, ma offrendo anche esempi concreti di didattica — utili affinché possano poi costruire delle azioni pedagogiche adatte ai propri studenti.” 

Nonostante siano stati fatti passi avanti enormi grazie all’istituzione del Giorno della Memoria, nel 2000, c’è ancora molto lavoro da fare: “la stragrande maggioranza dei ragazzi è portata a conoscere in modo vago e assai limitato cosa sia stata la Shoah, ad identificarla solo ed esclusivamente con Auschwitz e con i tedeschi. Purtroppo la Shoah è stata molto di più,” spiega Edallo.

Che si parli di Shoah un giorno all’anno, però, resta un problema centrale e insormontabile. Se si può dire che per fortuna, almeno se ne parla almeno un giorno all’anno, la deriva del dibattito pubblico — non solo in Italia, ma in molti altri paesi europei — verso gli argomenti dell’estrema destra e del razzismo, agita anche spettri di esplicito e violento antisemitismo. “Storicamente si possono ritrovare alcune motivazioni che possono, almeno in parte, spiegare le motivazioni di questi rigurgiti razzisti e antisemiti, che dovrebbero far risuonare più di un campanello di pericolo,” dice Edallo. 

L’avanzata del neofascismo e neonazismo è un problema che riguarda particolarmente da vicino la didattica, perché la battaglia per il cervello dei più giovani è una delle frontiere che le nuove destre hanno riconosciuto e stanno combattendo con più aggressività. Dalla diffusione di teorie del complotto con funzione iniziatica al neofascismo al puro linguaggio d’odio sdoganato come “goliardia,” la didattica della Shoah non può ignorare un contesto che è drasticamente più antagonista di quello che si immaginava nei primi anni Duemila. “Le teorie complottistiche non nascono ora,” specifica Edallo; “il complotto giudaico è una delle teorie classiche dell’antisemitismo, che ha nei Protocolli dei savi anziani di Sion (provato falso storico) uno dei capisaldi dell’antisemitismo.” 

Parallelo al ritorno del discorso d’odio e all’ascesa in popolarità dei nuovi fascismi, la didattica della Shoah deve far fronte anche al negazionismo, che smonta la premessa stessa del Giorno della Memoria. Edallo spiega come il negazionismo “tecnico” di Robert Faurisson è cavalcato da una frangia minima della destra storica. Sono più pericolose, invece “altre forme, meno secche del negazionismo ma più pericolose, come il riduzionismo e la banalizzazione della Shoah, che non arrivano a negare la Shoah e l’esistenza delle camere a gas, ma cercano di ridurne la portata attraverso il confronto con altre violenze perpetrate nel XX secolo, oppure banalizzandola attraverso prodotti — prevalentemente cinematografici o letterari — in cui la Shoah fa da sfondo ad altre vicende. Si tratta di atteggiamenti meno gravi rispetto alla negazione tout court, ma decisamente più pericolosi perchè, mentre la negazione implica, fortunatamente, nella maggior parte dei casi, il rifiuto di tale tesi, riduzionismo e banalizzazioni appaiono, ai più, più ‘potabili,’ più accettabili.”

Ma come si vince la battaglia per difendere non solo la memoria della Shoah, ma anche l’empatia stessa tra i più giovani? “Il giorno della memoria, per come è stato pensato e strutturato, oggi è visto come una giornata noiosa o l’occasione per non fare lezione; i viaggi stessi, da molti studenti, sono presi come una gita. Tutto ciò rappresenta un problema molto grande, in una fase storica in cui sta prendendo piede un nazionalismo sempre più marcato, che porta con sé xenofobia e razzismo.” 

Un primo rimedio è, necessariamente, un maggiore approfondimento e interiorizzazione della storia del Novecento, spiega Edallo: “il mio auspicio è che nei manuali di storia si trovi sempre maggior spazio per spiegarne tutti gli aspetti e che a scuola la storia, in particolare del Novecento, diventi una materia fondamentale e non rilegata alla miseria di un’ora settimanale. Conoscere la storia è essenziale per comprendere i risvolti sociali, economici, politici e culturali della società in cui si vive, rendendo possibile sviluppare sensibilità ed empatia.”

contenuto sponsorizzato da FREE — No future without remembrance

 

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.