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Una campagna referendaria a Berlino sogna la statalizzazione di 200 mila appartamenti. Cosa si può fare a Milano?

Gli affitti di Milano sono cari. Questa notizia probabilmente non è nuova per nessuno che abiti o abbia pensato di trasferirsi nel capoluogo lombardo, ma le proporzioni del fenomeno — che pure ha raggiunto un livello spropositato — non sono chiare. Né, ad esempio, è ben chiaro cosa si possa fare per fermarlo, nonostante alcuni proclami a riguardo durante la campagna elettorale delle scorse comunali. Chi ci va maggiormente di mezzo sono i giovani, e in particolare gli studenti, costretti a pagare affitti esorbitanti rispetto alle proprie possibilità.

Partiamo dai dati. Uno studio di Housing Anywhere che prende in esame i dati fino all’ultimo gennaio ha mostrato come, in una rosa di prestigiose città europee, gli affitti di Milano siano molto costosi anche su scala continentale.

In questa sfida, con 825,12€ al mese la città lombarda è risultata più cara di Madrid, Vienna, Rotterdam, Bruxelles e Berlino per quanto riguarda gli affitti di monolocali, fermandosi solo 5€ dietro a Barcellona. Se si parla di camere, invece, Milano è di gran lunga la più cara del campione con 594€ al mese — quasi 50€ in più della seconda più costosa, Berlino.

Del resto, la ricerca di Housing Anywhere è l’ultima a riguardo, non certo la prima. Secondo Statista, nel 2018 Milano è stata la nona città con gli affitti più cari d’Europa:

Il trend, peraltro, è in ascesa. Secondo il portale Idealista, nel 2018 gli affitti in città sono aumentati in media del 5,8% rispetto al 2017, e in alcune zone hanno conosciuto un vero e proprio parossismo: ad esempio a Lorenteggio, dove sono cresciuti addirittura del 14,2% — fatto che dà non poco credito a chi sostiene che la zona sia un obiettivo a forte rischio di gentrificazione. Altri quartieri sono cresciuti a doppia cifra: come il centro storico, con l’11%, o Certosa, con il 10,3%.

Anche altre città europee negli ultimi anni hanno visto una crescita sproporzionata rispetto al normale: ad esempio Berlino, che nel corso degli ultimi decenni era stata meta di una consistente immigrazione giovanile anche grazie al costo relativamente basso degli affitti, dovuto alla particolare storia della città. Nella capitale tedesca però, dal basso, si è deciso di provare a prendere in mano la situazione.

È stata infatti proposta una campagna referendaria che ha come scopo ultimo la statalizzazione di 200.000 appartamenti. L’idea è semplice: visto che alcune aziende sono proprietarie di grandi quantità di immobili — ad esempio Deutsche Wöhnen, che in città ne possiede addirittura poco meno di 100.000 — si creerebbe una legge per cui le case diventerebbero di proprietà di un’apposita agenzia comunale.

Anche Milano ha a disposizione un’agenzia comunale con la quale cercare di tamponare l’emergenza abitativa della città: è Milano Abitare, un’agenzia sociale per la locazione controllata dall’autorItà municipale e da Welfare Ambrosiano, una fondazione che ha tra i soci fondatori il comune stesso. La fondazione è attiva dal 2011, ma finora non sembra aver dato i risultati sperati. Aprendo il sito si può capire subito come la fondazione si rivolga in realtà soprattutto ai proprietari di immobili — fin dalla prima riga, in cui la parola “proprietario” viene prima di “inquilino.” Nella logica di questo intervento, l’obiettivo è convincere i proprietari ad accettare le proposte del comune con varie agevolazioni pratiche e fiscali.

Abbiamo parlato con la consigliera comunale Simonetta D’Amico, che si è occupata a più riprese di emergenza abitativa a Milano, per capire meglio quali sono le strategie del comune per combattere il caro affitti.

“È stato rinnovato il contratto a canone concordato, con riduzione del 30% rispetto al canone libero,” ci riporta D’Amico. “Il tema comunque verrà affrontato nel PGT, ad esempio con l’obbligo di edilizia sociale. Sulle case popolari c’è una richiesta gigantesca. È chiaro che bisognerebbe agire su più fronti: bisogna aumentare l’edilizia sociale e pubblica.”

“Sulle case popolari c’è una richiesta gigantesca. È chiaro che bisognerebbe agire su più fronti: bisogna aumentare l’edilizia sociale e pubblica.”

C’è una necessaria distinzione da fare: l’edilizia sociale è diversa dall’edilizia pubblica. L’edilizia pubblica sono ad esempio le case popolari, costruite dalla collettività e messe a disposizioni di chiunque soddisfi particolari requisiti. L’edilizia sociale, o social housing, è una forma di edilizia privata a cui prendono parte soggetti pubblici per dare al progetto un indirizzo preciso.

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, ad esempio, è entusiasta della partecipazione del comune in progetti di edilizia sociale, ma si è sempre dichiarato contrario a progetti di edilizia pubblica — la questione dell’edilizia pubblica lombarda, del resto, è troppo lunga per essere trattata qui in modo esaustivo. La consigliera conferma che opere di edilizia pubblica “non sono in programma. Dovrebbe arrivare un impulso dal livello centrale.” Va ricordato comunque che la percentuale di alloggi sfitti di proprietà dell’azienda regionale ALER sono oltre il migliaio.

Le residenze per gli studenti, ad esempio, possono essere definite una forma di social housing. Negli ultimi decenni, a Milano, i progetti per gli studentati non sono stati direttamente statali, ma hanno visto la partecipazione di privati. Non sempre, però, tutto è andato nel verso giusto. “Bisognerebbe aumentare le residenze, essendo una città attrattiva: per dare risposta a costi allucinanti servono anche più studentati,” ci conferma la consigliera D’Amico. “Una decina d’anni fa il comune aveva fatto un piano di residenze studentesche, che però è naufragato. In via Oglio uno studentato è stato praticamente completato, ma con il fallimento della ditta non è mai stato aperto.” Un altro esempio è lo studentato di via Attendolo, alla Stadera, costruito da Ligresti, passato di mano ad ALER e da questi magicamente rivenduto nel 2016 dopo sei anni di abbandono.

Chiediamo alla consigliera se il comune ha il potere di finire queste opere: “No, il comune non può finirle, visto che sono opere private. Quello che può fare il comune è prevedere incentivi per nuove residenze nel PGT, il Piano di governo del territorio, che dovrebbe essere approvato prima dell’estate.” Chiediamo alla consigliera cosa ne pensa della proposta di Berlino. “È una proposta provocatoria, non so se riusciranno a metterla in atto sul piano legale. Noi stiamo cercando di rendere attrattiva la proposta di far mettere a disposizione, ai grandi proprietari, immobili a canone agevolato al 30%.”

Abbiamo chiamato Francesco Paladini, rappresentante degli studenti all’università Bicocca, per capire qualcosa in più sulla questione studentati e in generale sulle peripezie degli studenti che si ritrovano a dover pagare affitti impossibili anche per molte famiglie adulte.

“Negli ultimi anni il numero di studenti fuori sede a Milano è aumentato: non ai livelli di Bologna, vicina al 50% del totale, ma comunque un aumento rilevante. Bicocca, Politecnico e Unimi viaggiano intorno al 10, 15% di studenti fuori sede,” ci riferisce Paladini. “Le residenze universitarie a disposizione oggi non bastano a ospitare nemmeno un terzo degli studenti che ne avrebbero diritto — ragazzi con un ISEE familiare sotto i 23.000 euro. Questi ragazzi sono obbligati a cercarsi affitti presso privati. Con la loro borsa di studio in media si coprono 2 o 3 mesi di affitto.”

“Il comune in realtà si sta muovendo già da tempo. Il fatto è che tecnicamente ogni regione dovrebbe creare un organo con le università del suo territorio per il diritto allo studio. Ma Lombardia e Veneto non lo vogliono.” Bizzarro, visto che sono proprio le due regioni che negli scorsi mesi hanno avanzato richiesta di maggiori autonomie.

“Ogni università, dunque, gestisce il diritto allo studio per conto proprio: il CIDIS è stato chiuso nel 2017 e le sue residenze sono state ripartite tra Unimi e Bicocca.” Il comune, secondo Paladini, si sta muovendo bene, “ma è una lotta di Davide contro Golia. Non ci sono soldi per fare grandi cose. In Bicocca siamo in ballo da circa tre anni per racimolare fondi. È un processo lento e non adeguato, il diritto allo studio dovrebbe essere di competenza regionale.”

“Ci sono comunque stati diversi casi negli ultimi dieci anni di edifici che sarebbero dovuti diventare residenze studentesche e che poi sono stati cambiati d’uso,” ci riferisce Paladini. Un fatto che, se unito ai numerosi stop alle costruzioni di studentati riferitoci dalla consigliera D’Amico, ci consente di sollevare qualche dubbio: il meccanismo di finanziamenti e agevolazioni per proprietari e costruttori di immobili, che magari dovrebbero essere destinati agli studenti, è davvero efficace? È davvero la priorità? Forse sarebbe meglio davvero espropriare un certo numero di appartamenti appartenenti ad esempio a grandi compagnie bancarie e di assicurazione, che a Milano detengono patrimoni immobiliari ingentissimi.

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