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Sarebbe un po’ scontato parlare degli eccessi, seppur edulcorati, cantati in Rolls Royce dal rapper romano.

E va bene, è vero, Rolls Royce potrebbe anche ricordare in tutto e per tutto – auto-tune a parte – un brano di Vasco Rossi. Oppure, perché no, 1979 degli Smashing Pumpkins – ieri sera su Twitter si è parlato apertamente di plagio dopo che Frankie hi-nrg, ironicamente, ha fatto notare la somiglianza tra i due brani.

Ma tralasciando le polemiche via social la canzone di Achille Lauro, tra quelle in gara, è una delle poche capaci di rimanere a distanza di sicurezza dalla matrice polverosa del pezzo medio sanremese, suonando allo stesso tempo familiare ai suoi fan, presentabile all’Ariston e sfrontata quanto basta da non sembrare una carnevalata di cliché con l’orchestra in pompa magna. C’è l’immagine del Ferrari bianco, la parola in francese buttata lì come viene, il solito pittore, il nome di una rockstar accostato al calciatore disgraziato per eccellenza. Rolls Royce non è citazionismo fine a se stesso ma una versione potabile di Thoiry Remix, senza trap e disordine pubblico. Ascoltabile – ma probabilmente non (ancora) apprezzabile fino in fondo – anche dalla platea dell’Ariston, con Boss Doms quasi reinventato ma a proprio agio nelle vesti del chitarrista rock. Rolls Royce non vincerà il Festival di Sanremo, va bene, lo sappiamo tutti, ma almeno contribuirà per un secondo a incrinarne l’immagine iper-tradizionalista che da molto tempo lo identifica. E lo farà soprattutto per merito delle stonature esplicite nel cantato e dei passaggi sfacciati come “No, non è un drink, è Paul Gascoigne / No, non è amore, è un sexy shop” che in fondo, sotto sotto, raccontano un cambiamento partito dal basso che da qualche tempo sembra aver iniziato ad aggiornare le abitudini musicali dei più giovani e ora, mese dopo mese, sempre più spesso bussa alla porta del nazionàl-popolare.

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