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L’accordo trapelato tra Francia e Germania sembra essere il punto d’arrivo per la trattativa, e rischia di tradursi in una direttiva ancora peggiore del previsto.

Nelle puntate precedenti: lo scorso autunno la direttiva sembrava tragicamente destinata a essere approvata. Nei mesi successivi la discussione ha preso una piega inaspettata quando i lavori sembravano essersi fermati perché, a detta dei detentori di diritti, il testo era diventato troppo moderato, e non valeva piú il disturbo. All’epoca, tutti avevamo commentato la notizia con relativo ottimismo. Della direttiva si sarebbe dovuto riparlare questo gennaio, e con le elezioni imminenti sembrava impossibile che la politica europea si esponesse su un fronte così sfacciatamente impopolare.

Qual è il problema: la direttiva europea sul diritto d’autore, un testo estremamente necessario per il futuro digitale del continente, è stato deformato sotto pressione delle richieste della lobby dei detentori del diritto d’autore, e presenta molti passaggi altamente problematici — in particolare gli articoli 11 e 13 del testo.

L’articolo 11 prevede obblighi artificiosi alla possibilità di pubblicare link di contenuti di terze parti: viene presentato come garanzia di compenso “consono” per i creatori di contenuti.

L’articolo 13 prevede che ogni proprietario di piattaforma implementi un sistema di Filtro di Upload che impedisca la ripubblicazione di contenuti di cui non si è detentori di copyright. Il suo funzionamento dovrebbe essere simile al Content ID di YouTube.

Dietro la pretesa di essere norme a favore dei “creatori di contenuti,” se applicata la direttiva si tradurrà in alcune drastiche conseguenze per la forma e il funzionamento di internet.

La combinazione delle due leggi rischia di tradursi in un costo operativo semplicemente insostenibile per qualunque start up che voglia competere con Facebook, YouTube e gli altri giganti già affermati: Google ha speso finora piú di 60 milioni di dollari nello sviluppare il proprio sistema di riconoscimento contenuti, in uno sforzo economico che è semplicemente irriproducibile per qualsiasi altra azienda.

Solo due settimane dopo quella che sembrava l’ultima corsa della direttiva, l’accordo ha ritrovato, all’improvviso, élan vital.

Ora: È evidente, commenta l’europarlamentare pirata Julia Reda, che la mancanza di un accordo non fosse sull’Articolo 13 in sé, ma esclusivamente sui dettagli di questo. L’accordo porta la direttiva nella sua forma finora piú estremista.

Precedentemente, la Francia si era fatta capofila della posizione di gran parte dei governi europei — ovvero che tutte le piattaforme, anche il forum di una piccola comunità montana, dovessero impedire in qualsiasi modo l’upload di materiali protetti da copyright.

La Germania, al contrario difendeva la posizione del Parlamento europeo, pretendendo un minimo di buon senso nella stesura della direttiva. La proposta consisteva nell’esclusione delle aziende con un giro d’affari inferiore ai 10 milioni di euro e con meno di cinquanta dipendenti.

In un nuovo documento trapelato ieri, emerge che i due fronti avrebbero trovato una sintesi improbabile, che appunto, riesce a peggiorare ulteriormente l’articolo 13.

La nuova proposta ammette che alcune piattaforme possano essere escluse dall’obbligo di filtri — ma impone paletti durissimi, che rendono internet in Europa una piattaforma illiberale e nella quale è impossibile pensare di costruire piattaforme di comunicazione o meno ancora, commerciali.

Per essere esclusi dall’obbligo di imporre filtri, secondo l’accordo franco–tedesco, una piattaforma deve:

– essere online da meno di tre anni;
– avere un giro d’affari inferiore ai 10 milioni di euro;
– essere visitato da meno di 5 milioni di persone al mese.

È evidente a chiunque non faccia un’analisi faziosa che questi paletti siano stati costruiti ad arte per poter dire che non si è completamente oppressivi senza però limitare in nessun modo l’oppressività dei filtri.

L’intrinseca inadeguatezza dei filtri a riconoscere contenuti “pirata” si tradurrà in meccanismi di censura ubiqui. Non solo, la direttiva così come si dovrebbe presentare ora stroncherebbe tutte le piccole piattaforme — che hanno più di 3 anni e se non hanno avuto successo rischiano la chiusura immediata — sia per qualsiasi nuova impresa europea o che si affacci sull’Europa. Chi mai vorrebbe operare con un conto alla rovescia sulla testa, che ogni giorno ticchetta verso una scadenza oppressiva e costosissima?

L’accordo prevede che ogni realtà debba dimostrare di aver fatto “del proprio meglio” — citiamo testualmente — per rispettare il diritto d’autore di ogni detentore. Questo significa che ogni sito e applicazione che opererà in Europa sarà costretta ad accettare qualsiasi licenza gli verrà proposta dai detentori di diritti, a prescindere dai termini della licenza stessa.

Il risultato sarebbe un internet definitivamente in mano alle grandi piattaforme, dove solo gigantesche aziende hanno speranza di poter operare al di sopra della legge — dove la censura, mascherata da burocrazia, impedisce la pubblicazione di qualsiasi tipo di contenuto da parte degli utenti e qualsiasi nuovo servizio digitale lanciato nel resto del mondo sarà inaccessibile dall’interno dell’Unione Europea.

Il lavoro per l’approvazione della direttiva torna a proseguire di corsa, perché le elezioni si avvicinano. La prossima data sarà quella del trilogo con il Parlamento europeo lunedì prossimo, 11 febbraio.

Poi, a marzo o inizio aprile, la direttiva sarà definitivamente votata, e, sospese le divergenze tra stati europei e Parlamento, è difficile immaginare che il voto non confermi il via libera dato lo scorso settembre.

Al momento della stesura di questo articolo 4 milioni 580 mila persone hanno firmato la petizione su Change.org () per fermare la direttiva sul diritto d’autore, ma sembra non sia servito a niente. Nel dubbio, se non l’avete già fatto, firmate anche voi.

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.