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Il reato di tortura non è pensato come forma di ricatto o minacciaverso gli agenti, come asseriscono Meloni e i suoi colleghi, ma semplicemente per prevenire e eventualmente contrastare fatti atroci come quelli di Genova.

Ieri pomeriggio Giorgia Meloni, sentendosi evidentemente rimasta indietro nella gara a chi è più crudele in cui si sono lanciate le forze politiche italiane negli ultimi due mesi, ha deciso di provare a fare la cattiva della giornata con un tweet sull’abolizione del reato di tortura.

Insomma, ha detto davvero che il reato di tortura impedisce alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro. Forse rendendosi conto dell’espressione a dir poco infelice, nelle risposte al tweet — molta gente ha commentato stupita o indignata, tra cui Laura Boldrini — ha provato a raddrizzare il tiro e al tempo stesso mantenere la facciata di durezza.

il tweet, poi cancellato
il tweet, poi cancellato

Dopo che Meloni stessa ci ha confortato sul fatto che non sia per la tortura libera e per tutti, ci si può chiedere: qual è il problema della destra italiana con la tortura? Rispondere “il fascismo” è troppo facile: importanti movimenti di tradizione neofascista sono presenti anche in vari stati esteri, ma l’Italia è stata l’ultimo paese Ue ad approvare una legge che codificasse e punisse il reato di tortura.

L’impulso a questa normativa è arrivato nell’ormai lontano 1988 direttamente dalla Commissione Europea, ma il Parlamento italiano ha approvato la legge sul reato di tortura solo il 5 luglio del 2017, con quasi trent’anni di ritardo. La conseguenza pratica di questo interminabile gestazione politica è che il reato di tortura non c’era ancora quando invece sarebbe servito, soprattutto nel 2001, durante il rigurgito fascista della polizia al G8 e alla scuola Diaz. I torturatori di quei giorni tragici non solo non vennero puniti, visto che mancavano gli strumenti per farlo, ma addirittura fecero carriera.

Corso Gastaldi, Genova. 22 luglio 2001
Corso Gastaldi, Genova. 22 luglio 2001

Per approfondire ? Giornata internazionale contro la tortura: l’Italia impresentabile

Anche l’approvazione del reato di tortura, l’anno scorso, è stata segnata da polemiche e intoppi, che l’hanno quasi fatta saltare — per l’ennesima volta. In parlamento la legge venne votata quasi esclusivamente dal Pd, che l’aveva proposta tramite il suo senatore Luigi Manconi. Le forze alla sua sinistra si astennero in quanto ritenevano la legge annacquata e debole; a destra si vide l’astensione del M5s e il voto contrario degli altri.

Fratelli d’Italia, in quest’anno, non ha evidentemente smesso di essere di fatto favorevole alla violenza di stato. Fratelli d’Italia è un partito diretto erede del fascismo del dopoguerra, nato sulle ceneri della Repubblica sociale italiana. Più che in altri paesi, evidentemente, si deve pensare che anche le forze di destra per così dire “istituzionalizzate” italiane siano legate a un culto della violenza che mette francamente i brividi.

Il reato di tortura infatti non è pensato come forma di ricatto o minacciaverso gli agenti, come asseriscono Meloni e i suoi colleghi, ma semplicemente per prevenire e eventualmente contrastare fatti atroci come quelli di Genova. E anche con quell’episodio, infatti, né la destra italiana né gli alti ranghi del corpo di polizia hanno ancora fatto i conti, nonostante un ricco corpo di testimonianze e di sentenze.

In Italia una parte del corpo di polizia e la destra sono ancora legate da uno stretto cordone ideologico e di rappresentanza. Ed è proprio questo cordone — che rasenta l’alleanza — che rende così difficile spezzare questa logica violenta, più che in altri paesi. Una che impedisce alla destra italiana di smuoversi da posizioni feroci e anacronistiche, e che è uno dei motivi per cui l’introduzione del reato di tortura è stata ritardata così a lungo. E per cui ancora oggi Giorgia Meloni inveisce contro di esso.


in copertina, Giorgia Meloni a Sanremo per la campagna elettorale per le Elezioni europee del 2014 foto cc Jose Antonio

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