in copertina: Milano, Liceo classico Virgilio, gennaio 2021. L’escalation di proteste per il diritto all’istruzione aveva portato in pochi giorni all’occupazione di più di dieci istituti superiori nel milanese. Foto Marta Clinco
La scuola italiana ha vissuto un 2021 in costante agitazione. Con le proteste e le occupazioni in tutta Italia, studenti e studentesse respingono la cultura del “decoro” e chiedono di riconoscere le identità di genere e di affrontare una riforma strutturale del sistema scuola
Nelle ultime settimane del 2021 la scuola si è trovata nel mezzo di un’ondata di proteste. Gli studenti e le studentesse lamentano una scuola che non prende in considerazione le loro esigenze e che propone valori e criteri lontani dalla loro esperienza di vita. L’istituzione scolastica sembra essere un terreno di scontro contro i diritti delle minoranze di genere e a difesa della cosiddetta cultura del decoro. Dalle proteste emergono episodi che rivelano una progressiva radicalizzazione di alcuni docenti e altri membri del personale scolastico, che si allineano apertamente alla retorica discriminatoria che ha caratterizzato la discussione sul Ddl Zan e sul riconoscimento dell’identità di genere.
Vietati capelli blu e piercing
A inizio dicembre il Liceo Satta di Nuoro è stato bloccato da una protesta durata diversi giorni, per contestare le regole proposte dalla dirigente scolastica Carla Rita Marchetti in favore di ciò che viene ritenuto “il decoro”. Le norme prevedevano lo stop a piercing e unghie lunghe. Questi vincoli sono stati giustificati dalla dirigenza perché legati alla sicurezza e sono pensati dal dipartimento di Scienze motorie. Tra i motivi della protesta vanno ricordate, però, anche la richiesta di ripristinare la ricreazione — soppressa per ragioni sanitarie — e la volontà di non consegnare i cellulari a inizio giornata, come invece aveva richiesto la dirigente.
Naturalmente non è il primo caso simile. A febbraio 2021 l’Istituto alberghiero Carlo Porta di Milano aveva intimato a uno studente di cambiare il colore dei capelli perché tinti di blu. I compagni e le compagne avevano risposto con una protesta, presentandosi indossando delle parrucche. E ancora a settembre 2020 la vicepreside del Liceo Socrate di Roma aveva vietato le minigonne perché sosteneva che con esse “ai prof caschi l’occhio”.
In generale si vede come l’istituzione scolastica continui a proporre a chi la frequenta canoni di comportamento e addirittura estetici lontani da quelli degli studenti uniti nelle proteste. Con la troppo comune scusa del “decoro”, questi istituti vogliono controllare e anche fisicamente coprire i corpi delle persone, ignorandone la volontà personale e le scelte culturali.
Non solo decoro
Recentemente le scuole superiori di Roma — dove da settembre sono stati occupati 40 plessi — sono state le protagoniste di proteste e occupazioni.
Per contenere e frenare questo fenomeno, è intervenuto Rocco Pinneri, capo dell’ufficio scolastico regionale del Lazio. Il dirigente ha infatti inviato un documento agli istituti chiedendo di denunciare il reato di interruzione del pubblico servizio e richiedere lo sgombero dell’edificio, identificando i manifestanti coinvolti. Una presa di posizione molto dura, accompagnata poi con un messaggio dai toni più morbidi in cui si invitano studentesse e studenti al dialogo. “Una parte degli studenti sta esprimendo, ciò malgrado, disagio, anche attraverso le occupazioni”, ha scritto il dirigente, “a questi segnali il mio Ufficio risponde con l’ascolto (…) Dialogo sempre assicurato anche dalle altre istituzioni che si occupano della scuola: Regione e Prefetture. È in quelle sedi che, democraticamente, si possono approfondire le difficoltà, per cercare soluzioni condivise. Soluzioni che non possono arrivare dalle occupazioni, poiché ogni azione di forza interrompe, per sua natura, il dialogo. (…) Chiederei, quindi, a chi sta occupando la propria scuola di interrompere questa azione”.
Per mesi il corpo studentesco ha occupato gli edifici e li ha autogestiti anche in altre città italiane. Nel caso delle autogestioni, si tratta di una protesta per chiedere al governo Draghi di prendere in considerazione le richieste e le necessità della scuola nell’esecuzione del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il programma di finanziamento per il mondo dell’istruzione prevede lo stanziamento di circa 17 miliardi di euro fino al 2024: tra le priorità avanzate dal governo ci sono la messa in sicurezza dei vecchi edifici, la creazione di scuole 4.0 e l’assunzione di 70 mila nuovi docenti con un “nuovo metodo”, di cui esistono solo ipotesi. Tra le richieste del corpo studentesco, gli investimenti strutturali nell’edilizia scolastica e l’aumento del personale docente dovrebbero avere l’assoluta priorità. Tutti obiettivi portati in piazza dalla manifestazione della scuola dello scorso 10 dicembre, che ha visto studenti e studentesse manifestare a fianco di docenti e personale ATA dei sindacati Flc Cgil, Uil Scuola, Gilda e Snals.
La scuola che si mobilita per i diritti delle persone trans
Sempre nelle scorse settimane è stato adottato l’asterisco al Liceo Cavour di Torino, sia per le comunicazioni interne che per quelle esterne. Non più ragazzi, quindi, ma ragazz*, in modo da includere tutti i generi. L’asterisco è una delle soluzioni diffuse – insieme allo schwa (ə), al vocoide u, etc. – per arrivare a un linguaggio ampio e inclusivo. Più recentemente anche il liceo scientifico di Copertino, in provincia di Lecce, ha adottato delle linee guida per garantire la carriera alias a chi si identifica come non binario o è in transizione.
Ha colpito l’attenzione dei media la protesta al Liceo Bottoni di Milano, dove la classe 4D ha scelto di non partecipare alle lezioni dopo che un insegnante si era rifiutato di rimanere in aula perché alcuni studenti avevano indossato una gonna come gesto di solidarietà per le vittime di violenza di genere, nel giorno della giornata dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne. Pochi giorni dopo è diventata virale la testimonianza di Andrea, uno studente trans del Liceo Cavour di Roma a cui è stata negata la carriera alias. Si tratta della pratica per riconoscere l’identità di genere delle persone trans all’interno della scuola, che vanno quindi chiamate con il nome d’elezione e i pronomi adatti anche nei documenti ufficiali come il registro o i compiti in classe.
Fare una stima di quante siano le persone trans nelle scuole è molto difficile, perché al momento esistono solo dati relativi, senza contare l’impossibilità di definire sotto una categoria specifica le persone gender fluid. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, osservando le statistiche internazionali, le persone trans in Italia dovrebbero essere tra lo 0,5% e l’1,2% del totale della popolazione, cioè circa 400 mila. Con riferimento al contesto scolastico in particolare, l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere afferma che dal 2005 al 2018, sono 251 famiglie italiane che si sono rivolte ai centri specialistici per bambini e adolescenti transgender.
La testimonianza di Andrea
Di come vivono la scuola le persone trans abbiamo parlato direttamente con Andrea, per cercare di capire quali siano le sue esigenze e quelle della sua generazione. La scuola è un luogo accogliente, capace di ascoltare i bisogni di chi segue un percorso di formazione oppure li respinge? Andrea ha un pensiero chiaro a riguardo: “Sono dell’opinione che per fortuna esistono delle persone all’interno del sistema scolastico che riescono a renderlo vivibile, ma che in generale è un sistema fatto su misura per un’altra generazione. Nell’ultimo periodo si sono attivati più sul tema ambientale, ma per il resto non sento una grande attenzione.”
“Naturalmente ci sono delle eccezioni, ma in linea generale non è che tutti i prof stanno attenti a queste tematiche. Non vengono toccate e di solito non si sbilanciano. Non c’è una reale discussione avviata dall’insegnante, che solitamente dimostra disinteresse. Ci sono professori che hanno a cuore queste tematiche e cercano di essere inclusivi con chiunque, ma in linea generale non c’è attenzione per le scelte linguistiche. La maggior parte fa commenti velatamente razzisti e sul tema transessualità non sta attenta.”
Oltre al corpo docente, sono le classi ad avere un ruolo fondamentale le comunità ristrette con cui chi vive la marginalizzazione si deve confrontare ogni giorno. “C’è voluto del tempo e dello sforzo per ottenere solidarietà e rispetto,” spiega Andrea. ”C’è chi mi sostiene di più, ma in linea generale non sento un grande supporto dall’ambiente circostante. Con il tempo i membri della mia classe hanno imparato a usare i pronomi adatti per rivolgersi o parlare di me. Eppure spesso fanno degli errori e li devo correggere.”
Il “Cantiere dei generi” e le iniziative del Gruppo Trans
Eppure un dialogo con le scuole c’è. L’associazione Gruppo trans incontra le classi attraverso il laboratorio “Cantiere dei generi”, in cui i membri dell’associazione raccontano la propria esperienza e si mettono all’ascolto di dubbi, curiosità, riflessioni di chi sta vivendo l’adolescenza e maturando una propria esperienza sull’identità, il senso di inclusione o di esclusione sociale, l’impatto con tematiche come il sessismo, l’omolesbobitransfobia, la discriminazione e il bullismo.
Gruppo Trans dialoga spesso con dirigenti e insegnanti affinché comprendano l’importanza di rendere la scuola un ambiente sicuro, supportivo e accogliente per le soggettività che lo attraversano. Il tutto, racconta il referente delle attività di formazione Davide Ruggiero, “mettendo a loro disposizione le nostre testimonianze, raccontando le difficoltà, le necessità e le sfide che viviamo ogni giorno come persone trans, allo scopo di aiutare il personale scolastico ad adottare buone prassi che siano di supporto a studenti transgender e che non ne ostacolino una serena vita scolastica.”
C’è un fattore comune che lega i diversi istituti secondo Ruggiero: “La mancanza di informazioni, che rende molto difficile per gli insegnanti essere competenti nel relazionarsi con le minoranze. Chi diventa insegnante non ha quasi nessuna occasione di ricevere un’adeguata formazione in tema di identità di genere e di tematiche LGBT+. Questa è una grave carenza di percorsi universitari che sappiamo essere troppo spesso non aggiornati e ancorati a un’idea di società che non è al passo con i tempi.”
Grazie alle iniziative di studentesse, studenti e associazioni esterne competenti, la scuola è costretta a confrontarsi con la necessità della convivenza delle differenze. Una serie di proposte che non partono dai vertici, dalle dirigenze e dal corpo docente, ma dai reali bisogni di chi siede tra i banchi, frequenta le aule e chiede a gran voce ascolto e validazione. “La serenità degli studenti dovrebbe essere l’interesse principale di chi lavora in ambito educativo, così come la loro salute psicofisica, il loro senso di appartenenza ad un ambiente in cui possano sentirsi al sicuro, protetti, tutelati,” sottolinea Ruggiero.
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