Non c’è bisogno che il paese di provenienza sia dilaniato dalla guerra perché sia evidente che si tratti di una pretesa praticamente impossibile da avanzare senza avere secondi fini.
L’odissea tragicomica — ma per molti solo tragica — del reddito di cittadinanza “vietato agli stranieri” ha raggiunto la propria naturale conclusione con la presentazione al Senato di un emendamento al Decretone da parte della Lega che pretende da parte dei cittadini extra–europei la presentazione di una certificazione di reddito e del patrimonio del nucleo familiare rilasciata dal paese di provenienza.
Le persone “straniere” come vengono etichettate dal governo Conte dovranno documentare il valore complessivo del loro patrimonio, compreso quello immobiliare se vorranno accedere al reddito di cittadinanza. In caso contrario, non potranno accedere al reddito di disoccupazione voluto dal Movimento 5 Stelle.
Non c’è bisogno che un paese sia dilaniato dalla guerra perché sia evidente che si tratti di una pretesa praticamente impossibile da avanzare senza avere secondi fini: al di fuori dell’Unione Europea gli standard su dichiarazioni dei redditi e catasti sono organizzate in modi radicalmente diversi — non è poi una rivelazione così sorprendente.
Se la pretesa dello Stato fosse onesta, la burocrazia si starebbe mobilitando per creare modelli e canali per lo meno semplificati per entrare in contatto con paesi di provenienza e ottenere le certificazioni necessarie per accedere al sussidio — si tratterebbe di un lavoro complesso, ma non diverso da tanti altri di cui uno stato funzionante si fa carico. La mancanza di qualsiasi tipo di organizzazione statale testimonia che l’obiettivo sia in realtà l’esatto opposto di quello di facciata: non una più precisa categorizzazione del patrimonio dei cittadini extra-europei, ma la creazione di un muro burocratico per limitare artificialmente i diritti senza metterlo nero su bianco in legge.
Lo ripetiamo da mesi: questo modo di discriminare da parte della Lega non è casuale o fatto di singoli episodi non collegati tra loro, bensì frutto di un consapevole progetto politico. Contro gli stranieri è in atto una forma di razzismo sottile e burocratica — molto pericolosa in quanto subdola e istituzionale.
Basta unire i puntini degli ultimi nove mesi per tracciare un disegno chiaro, disseminato di quelli che sono stati veri e propri campanelli di allarme. Il caso più lampante è stato forse quello di Lodi, dove la sindaca della città aveva deciso di escludere dalla mensa i ragazzini stranieri se le loro famiglie non fossero state in grado di dimostrare l’ammontare del proprio patrimonio in patria.
In quello stesso periodo, la regione veneto aveva iniziato un progetto per una discriminazione simile, prendendo di mira le agevolazioni ai libri di testo.
Non si tratta di casi unici. L’anno scorso avevamo fatto un campionario delle peggiori iniziative del potere locale leghista, di cui facciamo un breve riassunto — giusto per dimostrare che quello di Lodi non è un episodio:
- nel 2008, il comune di Brescia decise di elargire un “bonus bebè” di 1000 euro, a patto che almeno uno dei due genitori fosse italiano. Nel 2009 il bonus venne esteso a tutte le famiglie, in seguito a notevoli proteste.
- Nel 1997, il sindaco-sceriffo Gentilini di Treviso fece togliere le panchine dalla città, perché “le usano gli immigrati.”
- Il divieto di usare altre lingue che non fossero l’italiano per gli eventi pubblici nel comune di Trenzano (BS).
- L’organizzazione di un White Christmas in cui i vigili urbani andavano durante le feste a suonare alle case degli stranieri e se li trovavano sprovvisti del permesso di soggiorno ne revocavano la residenza (sì).
- Il divieto a Como di chiedere l’elemosina, anche e soprattutto per i numerosi migranti in transito verso il Nord-Europa.
La sistematicità con cui la burocrazia viene armata per diventare strumento di razzismo istituzionale rende completamente trasparente la decisione da parte del governo con il dl “sicurezza” di voler biforcare l’accesso al welfare secondario per le persone in possesso di permesso di soggiorno per richiesta d’asilo.
La fissazione del governo per escludere gli “stranieri” dal reddito di cittadinanza è vecchia quanto il governo stesso — quando la maggioranza ha dovuto fare i conti con la dissonanza tra la propria (falsa) retorica di assistenza verso i più poveri e la propria (vera) volontà di discriminare verso gli stranieri. Quasi come se fosse una sorpresa che tanti poveri sono anche non italiani.
È così che, sotto scacco dalla Lega, il Movimento 5 Stelle si è fatto strappare la propria misura icona, quella da sbandierare in nome di un nuovo presunto egualitarismo — e si rende complice di trasformarla in un meccanismo che cementa come no, i cittadini non sono tutti uguali davanti a questo Stato.