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foto Fridays for Future Roma, via Instagram

In tutto il mondo sono tornate in strada le manifestazioni contro l’inazione della politica di fronte alla crisi climatica. In Italia si sono tenute manifestazioni in più di 50 città

A Milano una cinquantina di attivisti sono entrati nella sede del Comitato olimpico nazionale italiano per protestare contro le Olimpiadi di Milano Cortina, chiedendo di stabilire un comitato scientifico per valutare l’impatto climatico della manifestazione, di non accettare sponsorizzazioni da parte dell’industria fossile e soprattutto di non costruire nuovi impianti e utilizzare quelli già esistenti, per evitare ulteriore cementificazione. La manifestazione si è fermata anche davanti alla sede del Comune, accusato di essere il “paradiso del green washing,” e per lamentare i pochi investimenti nel trasporto pubblico.

A Genova la manifestazione si è fermata temporaneamente davanti al Comune, dove è stato organizzato un “die–in,” gettandosi per terra e fingendosi morti. Quando la manifestazione indica la luna, lo stolto guarda il dito: i manifestanti sono stati attaccati presidente della Regione Liguria Giovanni Toti che li ha accusati di aver “imbrattato” la fontana di piazza De Ferrari con “50 litri di vernice” — in realtà i manifestanti di Extinction Rebellion Liguria hanno usato un tracciante come quelli usati nelle tubature, a base di fluoresceina sodica, che si decompone spontaneamente nel giro di qualche ora. Come spesso accade, a Napoli la protesta ha abbracciato in modo trasversale molti altri temi del sociale, dalla lotta contro il 41-bis all’opposizione alla repressione del popolo palestinese in Cisgiordania.

foto Extinction Rebellion Liguria, via Instagram

A Roma il corteo è arrivato in piazza Repubblica dietro a uno striscione che riportava la frase “la nostra rabbia è energia rinnovabile.” Tra gli attivisti c’era anche Peppe De Cristofaro, capogruppo di Avs al Senato, che ha accusato il governo di essere “ambientalista solo a parole,” e ha portato il tema del no italiano al regolamento europeo per lo stop alla produzione delle automobili con motore a combustione interna entro il 2035.

Il governo Meloni è infatti responsabile, insieme a quello tedesco e quello polacco, di aver costretto le autorità europee a rimandare a data da destinarsi la decisione finale sullo stop alle automobili benzina e diesel. Italia e Polonia, in questo caso, fiancheggiano per ragioni politiche le pretese del governo tedesco, che vuole ottenere che oltre il 2035 sia possibile la vendita di automobili che usano carburanti sintetici che siano a impatto zero. Si tratta di una posizione antiscientifica: innanzitutto bisogna scartare i biocombustibili derivati da biomasse, che non sono ad impatto zero, e bisogna guardare con forte sospetto anche le opzioni a base di idrogeno, che sono estremamente costose, hanno un impatto ambientale minimo se non negativo. Secondo un’analisi di Transport & Environment i motori a e-Fuel non riusciranno comunque a superare il 2% del mercato europeo entro il 2035. La posizione dei governi di Berlino, Roma, e Varsavia, insomma, si basa sulla speranza fideistica che nei prossimi 12 anni ci sia uno sviluppo tecnologico oggi impossibile da prevedere nel settore dei carburanti sintetici, perché i carburanti che vorrebbero per rendere sostenibile la loro posizione, oggi, non esistono ancora nemmeno in laboratorio.

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