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Una sezione fuori concorso di Filmmaker è interamente dedicata alle sperimentazioni con le realtà estese: VR, AR, XR. Ne parliamo con Luca Mosso, direttore del Festival, e Barbara Grespi del progetto di ricerca AN-ICON

Le nuove tecniche dei media immersivi ci permettono oggi di mettere da parte la visione statica dei vecchi media e di abbracciare un campo di possibilità più ampio. L’edizione di quest’anno di Filmmaker Festival prova a inquadrare queste possibilità con la sezione fuori concorso Filmmaker Expanded, in collaborazione con AN-ICON, un progetto di ricerca ospitato dall’Università Statale di Milano.

Come ci hanno spiegato Barbara Grespi, professoressa associata del gruppo AN-ICON e Luca Mosso, direttore del Festival, entrambi ideatori della sezione dedicata, le sperimentazioni con la realtà virtuale “coronano un desiderio ancestrale, ma anche molto malinconico, di abbandonare il nostro mondo e sperimentarne un altro virtuale.

In attesa della tavola rotonda  Abitare le immagini: le forme dell’immagine ambientale, che si terrà oggi alle 17:30 presso l’Università Statale di Milano – al termine delle proiezioni di Filmmaker Expanded – abbiamo quindi chiacchierato con Barbara Grespi e Luca Mosso per abbandonare Milano e immergerci nella comprensione della Virtual Reality.

Perché Filmmaker ha sentito il bisogno di integrare nella programmazione una sezione dedicata alla Virtual Reality? 

LM: Non è un’integrazione ma una nuova linea di ricerca per un festival che da quasi dieci anni indaga i confini e gli scambi del cinema con altre forme artistiche. L’analisi critica del nuovo è da sempre il progetto di Filmmaker e siamo contenti che quest’anno insieme a AN-ICON siamo riusciti a organizzare due programmi – uno a Meet e uno all’Università degli Studi – e una ricerca sulla VR italiana indipendente. 

BG: AN-ICON (History, Theory, and Practice of Environmental Image) è un progetto di ricerca ERC che si dedica agli ambienti immersivi, cioè alle realtà estese (realtà virtuale, aumentata, mista: VR, AR, MR ndr). È ospitato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Milano e guidato dal professore Andrea Pinotti, che dal 2016 riflette sulle potenzialità della svolta virtuale e sulle molte implicazioni che avrebbe avuto tanto nel commercio delle immagini quanto nelle professioni. A un certo punto la collaborazione con Filmmaker è diventata per noi un obiettivo primario, e in particolare per me che coordino le attività di AN-ICON legate al cinema. Non credo debba esistere la distinzione tra chi realizza opere, chi si impegna a promuovere la cultura mediale e chi la investiga anche a livello internazionale nella rete delle università. Chiamerei tranquillamente ricerca tutte e tre queste operazioni.

Le premesse legate alla VR sono tante e alte, la domanda allora è cosa trova lo spettatore di oggi nell’esperienza in VR e cosa invece troverà lo spettatore-fruitore di domani? 

LM: Oggi credo prevalga la curiosità dei neofiti e la disponibilità degli entusiasti. Ma, a fronte dell’articolazione che la produzione sta elaborando in questi anni, assisteremo presto a una maggiore definizione delle domande dei fruitori nei confronti del mezzo in generale e delle opere in particolare. 

BG: Quanto al motivo più profondo, va detto che i media tendono da tempo all’immersività, cioè a rendere abitabili le immagini simulando il nostro ingresso nel mondo rappresentato. Si dice che nel cinema questa spinta sia iniziata già alla fine degli anni Settanta, con un uso sempre più frequente della carrellata in avanti, la ricerca di un suono avvolgente, l’uso di un particolare tipo di effetti speciali. Le realtà virtuali coronano questo desiderio ancestrale, ma anche molto malinconico, di abbandonare il nostro mondo e sperimentarne un altro “virtuale”, cioè che si offre come un campo di possibilità, in tutti i sensi del possibile. Fra questi, l’impressione di vivere un sogno lucido, un sogno allucinatorio e cosciente, del quale non si è meri spettatori o spettatrici, ma si è insieme l’origine e la destinazione, l’attore e l’autore, il grand imagier e la cavia di un esperimento. AN-ICON sta lavorando su queste “spiegazioni” possibili. 

Le direzioni sono tutte aperte e le frecce che puntano verso il futuro sono molteplici. Forse la spinta a rendere questi ambienti sempre più socializzabili, cioè abitabili da più persone insieme, è particolarmente evidente. Il metaverso assorbirà tutto? Non è detto, ma certo la distinzione fra media live come la televisione e media on demand come il cinema è sempre più sfumata.

Se il ruolo di spettatore cambia con la VR, chi diventa e come cambia il suo rapporto con le immagini? 

LM: Si deve tenere conto che il ruolo dello spettatore è già cambiato, e non per effetto della VR. La centralità della visione cinematografica dei film al cinema è da tempo superata e le pratiche di manipolazione del film – dai semplici blocchi, avanti veloci e rewind del flusso delle immagini fino al rimontaggio dei film con programmi di video editing – sempre più diffusi. E tutto questo non può non cambiare le attitudini degli spettatori e il loro orizzonte d’attesa. 

BG: Tuttavia, nei media immersivi non credo si possa più parlare di spettatore/rice, ma di utente o experiencer. Prima di tutto perché lo sguardo è solo una delle dimensioni in gioco. I media immersivi spingono verso la multisensorialità, ad esempio simulando il tatto, e sfruttando il senso vestibolare, in secondo luogo perché lo sguardo, se ancora di sguardo si può parlare, è sempre doppio. Lo user è osservatore e osservato, perché i sensori installati sui caschi lo tracciano per rilevare i suoi movimenti e accoglierla/o nel mondo che crea.  

Parlando del panorama italiano, nel catalogo del festival specificate che in Italia la VR non è un territorio nato al maschile. Come si compone dunque questo territorio e – per rimanere nella simbologia – quali frutti stanno nascendo? 

LM: Le discipline nuove sono più aperte di quelle consolidate, dove le stratificazioni istituzionali e di potere riflettono assetti ed equilibri oggi in via di superamento. Trovo la presenza femminile nelle produzioni di VR un elemento di grande importanza e mi auguro che verrà confermata anche dagli assestamenti che il settore sicuramente subirà nei prossimi anni. 

BG: Il dato davvero interessante è che, anche in Italia, le donne che fanno VR sono molte. Ciò prima di tutto contrasta lo stereotipo secondo cui le donne sarebbero meno versate per la tecnologia — la componente tecnologica è così importante nelle XR che si tende a ridefinire l’autore/rice creative technologist. In secondo luogo ci dice qualcosa della natura del medium, palese caso di falso oculocentrismo.

Alla Biennale di Venezia quest’anno l’unica opera italiana in XR era di un’autrice, Chiara Troisi (Mono, presente nella sezione Filmmaker Expanded, programma Gradi di libertà), e anche all’interno della nostra selezione – che non è stata in alcun modo basata su criteri di genere – siamo stati conquistati/e da lavori che erano stati realizzati da donne. Ad esempio Affiorare di Rossella Schillaci, che tratta della maternità in carcere mescolando documentazione e animazione, Gang Dance di Monica Mazzitelli, XRperformance che lavora sulla condizione di vulnerabilità dell’utente, che se è molto più coinvolto dello spettatore cinematografico, è anche molto meno protetto, e invaso dai personaggi delle immagini; infine Moondust, di Noemi Forti, che racconta la quarantena degli astronauti dell’Apollo 11, scavando sulla claustrofobia e sulla ambigua relazione fra apertura e chiusura nel medium stesso.


In apertura e all’interno dell’articolo: fotogrammi da All That Remains di Craig Quintero, inserito all’interno del programma Immersive Realities di Filmmaker Expanded.

Sullo stesso crinale di reale e fantastico, la VR di Quintero crea un’esperienza meditativa a 360° nella quale più che seguire una narrazione chi guarda viene messo a confronto con le proprie emozioni, con gli stati d’animo più segreti e inafferrabili. Pian piano ci si immerge totalmente in questo universo virtuale la cui potenza avvolgente è amplificata dal suono che a sua volta costruisce un ulteriore spazio mentale, di scoperta e di desiderio.

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