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Dopo il disastro dell’ICMESA il Partito Comunista e in generale la sinistra italiana inizia a cambiare la sua linea sull’ambiente e inizia a riflettere sull’impatto ambientale delle politiche di sviluppo

15 ottobre 1976. Gli abitanti di Seveso si incamminano verso le scuole medie Leonardo Da Vinci, ma la maggior parte di loro, quando arriva, la trova già piena. Fortunatamente sono stati installati degli altoparlanti in modo che anche quelli rimasti fuori possano sentire cosa si sta decidendo al suo interno. Le macchine parcheggiate fuori non si contano e tutti, almeno all’inizio, sono in silenzio per ascoltare, di fatto, quello che li aspetterà nei prossimi mesi.  E soprattutto se c’è una speranza concreta di tornare alla normalità. 

Quella sera i presenti in aula sono circa 300. Per l’assessore alla sanità Rivolta è soprattutto l’occasione per presentare il progetto di Regione Lombardia: l’inceneritore. I suoi avversari però si trovano già lì, pronti a contestarlo. Ad agosto il consiglio comunale ha già approvato l’idea e il relativo progetto di bonifica, anche se lo stesso sindaco Rocca è tutto fuorché entusiasta. Approva il progetto solo perché vuole, esattamente come i suoi concittadini, dimenticare al più presto tutta questa storia. Al momento l’inceneritore sembra ancora la soluzione più facile e veloce per terminare la tragedia. 

“L’ICMESA ha inquinato l’ICMESA disinquini” gridano gli oppositori in prima fila, non appena le autorità cercano di spiegare. Oltre a Rivolta e Rocca, sono presenti anche il presidente della Provincia Vitali, il vicepresidente Mariani e il professor Zurlo, responsabile tecnico regionale delle opere di bonifica. Grandi esclusi: il sindaco di Meda e la sua giunta. Per gli abitanti è ingiusto che sia Seveso a pagare, ancora una volta. 

Molti, infatti, si chiedono perché un tale impianto non si possa invece fare a Meda. E se poi Seveso, una volta bonificato tutto, diventasse il centro dove bruciare tutti gli scarti della Brianza? “Possiamo sottoscrivere un documento – promette Vitali – nel quale ci impegniamo a smantellare l ’impianto dopo la bonifica.” Ma a questo punto perché non costruirlo dentro l’ICMESA? 

“Ancora non sappiamo se l’azienda sarà agibile – risponde Zurlo – e poi ci potrebbero essere dei problemi nel trasportare il terreno contaminato dell’area”. Non sono solo gli abitanti feriti, smarriti e arrabbiati che si oppongono a questo progetto. Anche tra i tecnici ci sono delle perplessità. Lorenzo Cassitto e Paolo Magnani, due insegnanti del Politecnico di Milano, i progettisti di un forno che corrisponde alle caratteristiche richieste per la gara d’appalto, sollevano il problema della durata e della sicurezza.

Come minimo infatti ci vorrà un anno e mezzo per la costruzione e altri due anni per bruciare tutta la terra e i raccolti colpiti. Senza contare che bisogna stare molto attenti: nel terreno contaminato c’è ancora un’elevata quantità di triclorofenolo, che, bruciando, può trasformarsi in diossina, che a sua volta andrà bruciata nuovamente, allungando di molto il processo. Quello che né Rocca né Rivolta né i tecnici prevedono, però, è quanto la soluzione inceneritore possa risultare disastrosa. 

Negli anni ’70, infatti, le tecnologie in possesso anche delle più avanguardistiche imprese di costruzione non permettono di raggiungere una temperatura sufficiente a incenerire completamente il TCDD. Così la diossina rischia di diffondersi ancora di più in un’area abitata da decine di migliaia di persone. Il piano dell’inceneritore rischia quindi di essere un gigantesco errore di calcolo e risultare in ancora più inquinamento. Ma anche senza le conoscenze che abbiamo oggi, gli abitanti non si fidano, l’inceneritore fa paura.

Possibile che questo sia l’unico modo? — si chiedono — Ci sono prove certe che incenerire tutto servirà a qualcosa? Alla fine di quell’assemblea caotica, Francesco Rocca dice ai cittadini che al momento non c’è altra soluzione. Quei dubbi però non lo fanno star tranquillo. Ormai è chiaro che la Regione mente, come minimo sui tempi necessari per la costruzione. L’unica cosa che può fare è cercare di prendere tempo. Inizia a insistere sempre di più per tenere aperte nuove strade sulla bonifica, causandosi non poche antipatie nel mondo politico. 

Ad un certo punto per Rocca l’inceneritore diventa anche una questione strettamente personale. In quei mesi diventa sempre di più amico di Gianantonio Lanzani, docente di chimica agraria al Politecnico, fortemente contrario all’inceneritore. Lanzani scrive in quei giorni una relazione in cui elenca le criticità del progetto e propone una soluzione alternativa: secondo lui bisogna costruire dei cassoni di cemento dove rinchiudere il veleno affinché non possa far danni. 

Bruciare tutto secondo lui sarà un disastro, soprattutto in una zona così densamente popolata. Il chimico inizia a esporre le sue idee pubblicamente a Seveso; il 12 novembre legge la sua relazione davanti alla popolazione. È un successo. Il 14 novembre, due giorni dopo, durante un consiglio comunale aperto il sindaco di Seveso dichiara che “Ci deve pur essere un’altra soluzione da contrapporre all’inceneritore”. 

Il consiglio comunale ritira quindi il parere favorevole dato il 19 agosto per la costruzione del forno: servono più garanzie secondo Rocca, e come minimo un impianto di prova. Pochi giorni dopo il presidente della Regione Golfari boccia la proposta di costruire delle vasche in cemento armato, come scritto nella relazione di Lanzani.

In quei mesi però il chimico è già gravemente malato. Rocca lo incontra sempre più spesso e nota che Gianantonio sta dimagrendo a vista d’occhio. Un giorno va a trovarlo e lo trova profondamente debilitato. Lanzani non sembra voler concentrarsi su altro: ripete ancora che l’inceneritore sarebbe per Seveso una rovina. Guarda negli occhi Rocca e gli fa promettere che da sindaco si opporrà con tutte le sue forze a quel progetto. Lanzani si spegne negli ultimi giorni di aprile del 1977. Quella sull’inceneritore resterà la loro ultima conversazione. 

Questo braccio di ferro ha delle conseguenze profondissime, che gli abitanti in quel momento non vedono. Le persone non si fidano più della politica, non si fidano più delle imprese, qualcosa in quel piccolo angolo di Lombardia si è rotto, e questo avrà delle conseguenze per l’Italia intera. Prima di questo momento le questioni ambientali non sono mai state al centro delle cronache, anche se ovviamente in molti si erano già accorti prima che quel modello di sviluppo non poteva funzionare. 

I giovani, ragazzi nati tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, in quei giorni si fanno portavoce di un messaggio di protesta. Come ricorda Marzio Marzorati, l’ICMESA è stato solo l’ultimo e più evidente segnale della rottura.

TCDD è scritto da Daniele Rìgamonti. Voci di Elena D’Acunto e Daniele Rìgamonti. Regia di Stefano Colombo. Produzione Stefano Colombo e Federico Cuscunà


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In sottofondo: Comfortable Mystery 1, 2, 3, 4, CC BY 3.0 Kevin MacLeod (incompetech.com)

foto cortesia di Bosco delle Querce