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estratto dalla copertina

Il romanzo di Lilian Fishman è intimo e crudele, teso a occuparsi del sesso — niente di più che il sesso, e nient’altro di meno — e della maniera in cui il desiderio e l’impotenza che ci allacciano ai corpi degli altri abbracciano e condannano le nostre vite di adulti. 

È necessario un po’ di sesso per ricordare che non sappiamo quasi nulla della gente incrociata per strada. Il sesso ci costringe a indietreggiare di un passo, facendoci sprofondare in una sorta di timore reverenziale — rivela quanto è difficile conoscere davvero qualcuno, quante attenzioni e autoinganni occorrono per evocare la magia dell’amore.” La trama di Servirsi (Acts of service nella sua versione originale), pubblicato in Italia da Edizioni E/O, è semplice: la protagonista del romanzo si chiama Eve, ha poco meno di trent’anni e ha una relazione stabile e monogama con una donna che ama di un sentimento che sfiora la venerazione, e che è imbevuto di senso di colpa. La sua compagna Romi è solida e rassicurante come un albero, lavora come pediatra e sembra muoversi nel mondo orientata da un’etica interiore rigorosa e infallibile. Una sera Eve decide di condividere su un sito anonimo una delle infinite foto di nudo che si scatta, con il volto nascosto e il corpo fluttuante, spinta dall’eccitazione che le provoca la prepotenza del desiderio altrui. In maniera imprevista, in mezzo ai commenti alla sua foto di uomini eccitati, compare quello di una ragazza, che con timidezza la invita a bere un bicchiere: l’incontro con la ragazza, Olivia, e con il suo partner sessuale Nathan trascina Eve in una storia complessa e dolorosa, che la porta a interrogarsi sulla natura sregolata e umiliante del suo desiderio per un uomo arrogante e manipolatore. 

Eve vive con convinzione in una relazione queer che, come molte, è anche politica; nella sua vita ha sempre amato le donne, ed è fiera di non avere pressoché nessun interesse — Philip Roth lo dice bene, “Sulla base di una debolezza di cui mi sono fatto un principio” — per il potere o per il raggiungimento di una posizione sociale invidiata. Non le interessa nulla di più del denaro che le serve a pagare per un affitto (diviso con una coinquilina) e per una buona vita in una città che è New York. 

In un’epoca di fluidità (di genere, sessuale, relazionale)  Eve è sconvolta dalla scoperta di poter essere attratta da un uomo, riconoscendosi succube del suo sguardo. Il Nathan di questo romanzo è bellissimo, ricco, e sicuro di sé: è il phallus lacaniano, l’altro da sé che non riflette che l’immagine della castrazione — per certi versi, è l’ombra woke e più consapevole del Mr Grey di 50 Sfumature. Ci sono ragioni, indubbiamente storiche antropologiche e psicoanalitiche, per cui la letteratura scritta da donne abbonda di personaggi come questo, probabilmente speculari alle ragioni per le quali alcuni uomini descrivono protagoniste con polsi minuscoli e seni enormi, allo stesso tempo caste e sessualmente voraci. 

foto: Angalis Field

La cifra del romanzo di Fishman è l’autoanalisi minuziosa e terrificante della protagonista, che si apre nella scoperta di sé usando il sesso come guida avevo avuto la sensazione che il sesso fosse un oracolo. Una bocca della verità, ferma da qualche parte in attesa di smascherarmi.” È una forma di letteratura femminile aperta al sesso e nevrotica, un filone del quale Paura di volare di Erica Jong è capostipite e capolavoro — un romanzo a sua volta ossessionato, come scrisse Livia Ravera in una prefazione, dall’invidia penis, ma che è allo stesso tempo pieno di ironia e di leggerezza (in un breve saggio dal titolo Unzipped Jong scrisse che per lei Paura di volare è “un racconto picaresco, un farneticamento, una satira, una barzelletta sconcia […]”). 

Eve è trascinata da un desiderio di cui non è padrona, e che la spaventa pur restandole incomprensibile: leggendo il romanzo si ha l’impressione che la protagonista non esca arricchita, ma soltanto esausta, dal suo lungo viaggio di scoperta di sé. In questo, Eve è sideralmente distante dalla protagonista del romanzo di Erica Jong, che alla fine di Paura di volare si sta facendo un bagno caldo canticchiando, mentre aspetta che il marito psicoanalista (da cui è brevemente scappata per fare l’amore con un freudiano impotente) rientri nella loro stanza d’hotel. “Amiamo ciò che ci turba, se ci sceglie e ci dice quanto siamo importanti. Non ci piace forse un assegno appena incassato, un passaporto, la stretta di mano di un presidente, benché ognuno di questi piaceri si fondi su una crudeltà che è soltanto nascosta alla vista?.” La domanda di Romi è una domanda retorica di Fishman, ed è anche la conclusione del romanzo: non c’è salvezza dalla crudeltà e dall’ego, né nel desiderio né tantomeno dell’amore, si dice, si ripete ossessivamente. Sembra che, tuttavia, basti pensarci spesso ed esserne consapevoli, e tutti saremo salvati.

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