GKN

di Samuele Maccolini e Alessandro Bonetti

tutte le foto di Alessandro Bonetti

Il collettivo che ha ottenuto l’accordo per riconvertire la fabbrica del settore automotive di Campi Bisenzio ha deciso di raggiungere altri siti a rischio delocalizzazione in Italia. Con un obiettivo: ristabilire il rapporto tra fabbriche e territorio.

La lotta dei 422 lavoratori della GKN di Campi Bisenzio (ora QF Spa), licenziati senza preavviso lo scorso luglio via mail dal fondo finanziario Melrose, è diventata un inedito esperimento di resistenza operaia contro le delocalizzazioni. Sei mesi di assemblea permanente, manifestazioni, e lo storytelling con cui il collettivo di fabbrica ha raccontato la propria battaglia sui social network hanno raccolto attorno allo stabilimento la solidarietà della società civile e l’attenzione della politica.

A Jesi la Caterpillar, in uno stabilimento che realizza cilindri per la casa madre, ha licenziato a dicembre 256 lavoratori. C’è un tavolo aperto con l’azienda al Mise. Ma non si è ancora giunti a un accordo e il tempo corre: il 24 febbraio i licenziamenti diverranno effettivi

L’emergenza delocalizzazioni non è finita. E in questo contesto il collettivo GKN sa di essere diventato un simbolo per gli operai a cui è stato negato il lavoro. Per questo motivo, il collettivo ha voluto fare un salto di qualità nella lotta: estendere la propria battaglia a tutte le categorie di lavoratori a rischio. Un impegno professato fin dall’inizio della mobilitazione, ma che ora prende vita con l’ “Insorgiamo tour”: i lavoratori di Campi Bisenzio attraverseranno la penisola per diffondere il loro modello di resistenza in altre realtà di crisi. La lotta, insomma, si espande, in attesa della manifestazione nazionale prevista a Firenze il 26 marzo.

Sabato 5 febbraio siamo stati alla prima tappa del tour, a Jesi. Qui la Caterpillar, in uno stabilimento che realizza cilindri per la casa madre, ha licenziato a dicembre 256 lavoratori. C’è un tavolo aperto con l’azienda al Mise. Ma non si è ancora giunti a un accordo e il tempo corre: il 24 febbraio i licenziamenti diverranno effettivi.

Anche lo stabilimento di Jesi è parte integrante della storia locale, come a Campi Bisenzio. Prima l’azienda si chiamava Sima e aveva vissuto una fase di intensa lotta sindacale fra anni Settanta e Ottanta, per essere poi rilevata dalla Caterpillar nel 1996

Sopra il palco, davanti ai cancelli dello stabilimento, campeggiava uno striscione rosso con la scritta bianca “Insorgiamo!.” Al suo fianco c’era un altro cartello, con il motto “senza tregua.” Durante l’assemblea dei lavoratori aperta alla cittadinanza, Matteo Moretti della Rsu GKN ha ricordato che la fabbrica di Campi Bisenzio è ciò che rimane dell’automotive nel fiorentino: “Siamo a guardia di una storia industriale. Le istituzioni sapevano della pericolosità del fondo finanziario che aveva acquistato lo stabilimento. Ma dopo un po’ l’impotenza diventa complicità.”

E qui entra in gioco la questione del territorio: “Quella fabbrica non è nostra. È del territorio. Ad oggi la differenza fra chi è dipendente della GKN e chi non lo è non c’è più”. La solidarietà e la lotta, insomma, hanno abbattuto i confini e fuso le comunità. Anche lo stabilimento di Jesi è parte integrante della storia locale, come a Campi Bisenzio. Prima l’azienda si chiamava Sima e aveva vissuto una fase di intensa lotta sindacale fra anni Settanta e Ottanta, per essere poi rilevata dalla Caterpillar nel 1996.

Infine, venticinque anni dopo, la chiusura inaspettata. Come ha rievocato un delegato dei lavoratori di Jesi, Diego Capomagi, uno dei primi volantini dopo l’annuncio di licenziamento riportava questa frase: “Con l’annuncio fatto oggi la proprietà ha perso il diritto di proprietà.” Una dichiarazione di guerra alle delocalizzazioni.

la forza dei lavoratori è quella “del contagio, di tante GKN, dell’allargamento delle mobilitazioni”

Secondo i lavoratori, la lotta contro questo fenomeno deve svolgersi su più livelli. Un ruolo fondamentale è quello dell’immagine: la battaglia deve diventare un simbolo per le persone. L’efficace utilizzo dei social da parte dei lavoratori GKN è un punto di partenza. Inoltre, la vicenda di Campi Bisenzio mostra che è necessario anche un lavoro di elaborazione politica. Come quello che è stato realizzato per l’emendamento anti-delocalizzazioni scritto dagli stessi lavoratori e da giuristi, poi bocciato dal Parlamento.

Non è una battaglia semplice, perché le multinazionali hanno due armi per mettere in difficoltà i lavoratori. Il primo è il fattore temporale, usato come ricatto per indurre licenziamenti “spontanei.” Il secondo è il rapporto fra individuo e collettivo. “Le persone che cercano la finta soluzione individuale e sfuggono ai sacrifici, fanno arretrare il collettivo,” ha detto dal palco Dario Salvetti della Rsu GKN.

Infatti, l’obiettivo del tour è ripristinare una lotta condivisa: perché la forza dei lavoratori è quella “del contagio, di tante GKN, dell’allargamento delle mobilitazioni,” come ha sottolineato Salvetti. Per riprendere in mano i processi bisogna unire le vertenze. Infatti, se è vero che il collettivo ha per ora bloccato i licenziamenti, le cause strutturali sono ancora lì.

A Campi Bisenzio, a gennaio, i lavoratori hanno approvato l’accordo sulla riconversione della fabbrica. Mesi prima, a settembre, il tribunale di Firenze aveva revocato i licenziamenti

La battaglia dei lavoratori della GKN è diventata oggetto di dibattito fin dai primi giorni, e le sue conseguenze sono andate oltre i cancelli dello stabilimento di semiassi per l’industria automobilistica. Dopo lo stop al blocco dei licenziamenti dal primo luglio, il Ministero del Lavoro non ha potuto ignorare l’ondata di indignazione per i metodi sbrigativi con cui sempre più aziende procedevano a lasciare a casa i lavoratori. Dopo un iter travagliato, che ha visto un lungo confronto tra il Ministro Orlando e l’inquilino del MISE, Giancarlo Giorgetti, in Legge di Bilancio 2022 è entrata una norma anti-delocalizzazioni.

Sono stati raggiunti dei risultati concreti: a gennaio i lavoratori hanno approvato l’accordo sulla riconversione della fabbrica – affidata temporaneamente alla QF Spa del gruppo Borgomeo che gestirà la reindustrializzazione dell’impianto – firmato al Ministero dello Sviluppo Economico da QF, sindacati e istituzioni. Mesi prima, a settembre, il tribunale di Firenze aveva revocato i licenziamenti.

Nel giro di pochi mesi i lavoratori della GKN hanno quindi sventato il licenziamento collettivo e alzato la pressione sulla gestione politica delle crisi industriali. Ma per il collettivo di fabbrica non è abbastanza. L’intervento del governo per frenare l’esodo delle aziende è in realtà un provvedimento “per dare una procedura alle delocalizzazioni,” e non per fermarle, ha spiegato a dicembre Dario Salvetti, delegato Rsu GKN: “Vorremmo essere chiari: questa norma avrebbe chiuso GKN e imposto la soluzione di Melrose.” Un vero e proprio “via libera alle imprese che hanno deciso di delocalizzare,” secondo Francesca Re David, Segretaria Generale della Fiom.

Il rischio è che episodi come quello della GKN continuino ad accadere con sempre maggiore frequenza, aggravando un quadro già complesso a livello nazionale. Sono ancora 69 i tavoli di crisi attualmente aperti al Ministero dello Sviluppo Economico. Il mese scorso, tirando le somme per l’inizio del nuovo anno, la Viceministra allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde, dichiarava l’importante numero di casi risolti rispetto ai 149 di dicembre 2019, “perché i dossier sono stati affrontati e portati avanti, proponendo soluzioni dove era possibile farlo.” La realtà è che in molti casi non è chiaro che fine abbiano fatto i tavoli eliminati; diversi, ad esempio, sono stati depennati semplicemente perché l’azienda coinvolta è fallita. Tanto che Giorgetti ha introdotto una nuova struttura di dieci esperti al Mise che suona come una sconfessione del lavoro portato avanti dalla Viceministra grillina negli ultimi due anni.

Gli incontri tra lavoratori, come quello di Jesi, riescono a diffondere la consapevolezza che i lavoratori sono i veri detentori delle conoscenze industriali sono i lavoratori, mentre il management troppo spesso ha competenze esclusivamente finanziarie. In questo senso, la lotta della GKN ha dimostrato che gli operai possono essere davvero classe dirigente, come hanno scritto su Jacobin Italia Francesca Gabbriellini e Giacomo Gabbuti. Questa consapevolezza può essere il motore di una lotta coalizzata e diffusa, per costruire dal basso una nuova visione delle crisi industriali e delle delocalizzazioni.

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