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video: Elena D’Acunto e Kevin Tene
in apertura, video via Twitter

Abbiamo intervistato l’attivista e avvocatessa Marta Lempart, che dalle proteste del 2016 in Polonia si batte per un accesso all’aborto legale e sicuro, mentre l’Unione europea rimane immobile

Nel tardo pomeriggio di una giornata di dicembre, l’avvocatessa e attivista Marta Lempart ci accoglie nella sede del gruppo femminista polacco Strajk Kobiet a Varsavia. Ci accompagna nel suo studio, seguita dai suoi due cani. Attorno un grande silenzio: molti collaboratori lavorano infatti da remoto, per ovviare al mancato intervento del governo polacco sulla crescita dei contagi — come spiega l’avvocatessa. La stanza non ricalca l’immagine stereotipata di uno studio legale. Una carta da parati tropicali e accesa fa da sfondo a un angolo della stanza in cui l’avvocatessa conserva ricordi delle manifestazioni a cui ha partecipato.

Marta Lempart si impegna da sempre nella lotta per i diritti civili della comunità LGBTQ+ e per la legalizzazione dell’aborto in Polonia. Nel 2016 ha fondato il movimento politico Strajk Kobiet (in polacco, “Sciopero nazionale delle donne”) per protestare contro i tentativi del governo conservatore di limitare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). “Ora contiamo 600 gruppi locali,” spiega Lempart, “abbiamo un network di persone che sanno che non siamo noi a dirigere, non diciamo loro cosa fare, ma li aiutiamo a organizzare  […] le iniziative fornendo supporto e materiale.” Il movimento è decentralizzato, sviluppa le sue radici dal basso, supportando le manifestazioni dei gruppi locali sparsi nel Paese.

Nell’aprile del 2016, le organizzazioni ultracattoliche sono riuscite a portare nel Parlamento polacco una proposta di legge che vietava completamente l’aborto eccetto per rari casi di salvaguardia della vita del gestante. In seguito alle manifestazioni organizzate in tutto il Paese da Strajk Kobiet, molti politici hanno preso le distanze dalla proposta, che così non è passata. L’atmosfera si è accesa ancor più con la sentenza della Corte costituzionale del 22 ottobre 2020 che dichiarava incostituzionale — e quindi illegale — l’Ivg tranne che in casi di incesto, stupro o pericolo di vita. Alle manifestazioni che ne sono conseguite si sono contrapposti nuovi livelli di violenza di polizia, che hanno portato a numerosi arresti — con il fermo non solo di organizzatori e i leader della protesta, ma anche di semplici partecipanti. Sono molti i casi di minori che hanno subito intimidazioni da parte della polizia per il proprio attivismo. L’avvocatessa per i diritti umani Eliza Rutynowska ha raccolto le loro testimonianze. Tra queste, il caso di un quattordicenne, che si è trovato diversi agenti alla porta di casa per aver condiviso su Facebook informazioni relative a una protesta. Finora, però, nessun poliziotto è stato posto sotto procedimento disciplinare.

Al governo della Polonia si trova dal 2015 il partito conservatore clericale Legge e Giustizia (PiS). Il PiS è fortemente legato alla Chiesa cattolica, che in Polonia vanta ancora una grande — ma decrescente — influenza sulla popolazione, anche per il ruolo avuto nel raggiungimento dell’indipendenza dall’Urss del paese. Secondo uno studio della Commissione Europea pubblicato nel 2021, l’87% dei polacchi è battezzato con rito cattolico. Negli ultimi anni, però, un’importante fetta di credenti ha mostrato una forte preoccupazione per l’espansione del controllo della Chiesa cattolica nella vita politica polacca. Come reazione, molti stanno ricorrendo all’apostasia — atto formale di separazione dalla Chiesa: solo nel 2020, i numeri rispetto all’anno precedente sono raddoppiati. “La Chiesa non riesce più a connettersi con le persone,” evidenzia Lempart, “potrebbero facilmente convincere le persone che non sono così male, ma sostengono di dover essere al centro della legge. […] Pensano di poter prendere di mira tutti senza essere puniti per questo, ma invece vengono puniti.” 

Seguendo la strada dell’intolleranza, il PiS ha iniziato a perdere credibilità tra la popolazione. Diversi sondaggi mostrano infatti come la maggior parte dei polacchi sia dalla parte dei manifestanti. Il dato non è sfuggito ai partiti di opposizione, che hanno strategicamente deciso di introdurre nella propria agenda politica la legalizzazione dell’aborto. “Piattaforma Civica, il maggiore partito di opposizione — ma comunque conservatore, come la maggior parte dell’arco parlamentare — ha deciso che supporterà la legalizzazione dell’aborto. Questo significa che noi, coloro che hanno protestato, facciamo più paura della Chiesa cattolica polacca,” ha dichiarato Marta Lempart. E infatti tra i manifestanti contro la sentenza della Corte si aggirava anche Donald Tusk, leader di Piattaforma Civica.

Un sistema alternativo 

La sentenza del 22 ottobre ha reso quasi impossibile ricorrere all’aborto legale — anche nei casi in cui sarebbe permesso — mettendo a rischio la vita di molte persone. È il caso di Isabela Sajbor, morta di shock settico dopo che i medici si sono rifiutati di interrompere la gravidanza. Il feto era comunque destinato a morire, ma in sala hanno deciso di aspettare che questo succedesse per provare a salvare la donna.

I movimenti di protesta rifiutano la sentenza della Corte costituzionale, perché riconoscono l’organo giudiziario come legittimo. “Abbiamo un’istituzione che fa finta di essere una corte costituzionale. Questo vuole anche dire che possiamo legalizzare gli aborti in Polonia nonostante la cosiddetta sentenza. Le persone che hanno formulato questa sentenza non erano giudici — almeno due di loro.” Il partito di destra, sin dall’entrata nel governo, ha infatti adottato una serie di emendamenti che impediscono la divisione dei poteri alla base della democrazia. La Corte costituzionale è ormai nelle mani del governo, che vi ha inserito propri sostenitori, minando di fatto l’indipendenza dell’organo giudiziario.

Diverse organizzazioni hanno quindi deciso di reagire e impegnarsi in prima linea per creare una rete alternativa al sistema sanitario nazionale che permetta l’accesso a un aborto sicuro a chi ne avesse bisogno. Tra questi va nominata Aborcyjny Dream Team, che fornisce le informazioni necessarie per praticare l’aborto farmacologico in casa in sicurezza o recarsi all’estero. In più, si impegna a combattere lo stigma promuovendo la condivisione in anonimo delle proprie esperienze personali.

L’Unione europea non è riuscita a imporsi davanti a questa regressione dei diritti civili in Polonia, in contrasto con la legislazione europea. L’emergenza nel paese mostra l’ambivalenza dell’Unione nei confronti della protezione dei diritti dei propri cittadini. Pur promuovendo i valori della propria legislazione tra gli stati membri, l’Ue non ha nessuna competenza giuridica che permetta di imporli. In più, nello spettro delle proprie possibilità, si muove in ritardo e con grande pigrizia. È stato solo in seguito alle proteste di ottobre nelle piazze polacche che il Parlamento europeo ha dichiarato che l’accesso sicuro all’aborto è un diritto umano. “Il dirottamento della Corte costituzionale è iniziato nel 2015, c’era un sacco di tempo per reagire,” evidenzia Lempart, “il loro [dell’Ue] tempo si conta in mesi e anni, il nostro tempo si conta in giorni. Possiamo essere arrestati in qualsiasi momento, potrebbe accaderci qualsiasi cosa, e la Commissione [europea] non ne è interessata perché non percepisce il nostro senso di urgenza.”

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