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Siamo all’ottavo round di trattativa per far rientrare gli Stati Uniti negli accordi per il nucleare iraniano — ma per ora la situazione resta bloccata, con Washington e Teheran che dovranno prendere difficili decisioni politiche per siglare un nuovo accordo

La scorsa settimana si è aperta l’ottava sessione della trattativa di Vienna per far rientrare gli Stati Uniti negli accordi per il nucleare iraniano: come sempre continuano a non esserci incontri diretti tra Iran e Stati Uniti, costringendo gli altri stati membri del Piano a coordinarsi in una serie di bilaterali e trilaterali. Questa volta c’era da sciogliere un nodo specifico: come verificare l’eliminazione delle sanzioni statunitensi, nel caso si arrivasse ad un accordo. L’atmosfera, dopo i progressi dello scorso meeting, è rimasta costruttiva, ma per arrivare a un punto di svolta, secondo il coordinatore europeo Enrique Mora, “sia Teheran che Washington dovranno prendere decisioni politiche difficili.” 

Questa settimana, invece, è il secondo anniversario dell’uccisione Qassem Suleimani da parte degli Stati Uniti. Nel gennaio 2020, Trump aveva ordinato un attacco drone all’aeroporto internazionale di Baghdad, che ha colpito un convoglio con a bordo diversi ufficiali di milizie irachene, ma anche Qassem Soleimani, il maggior generale comandante della Forza Quds, l’unità responsabile delle operazioni all’estero delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Soleimani è stato responsabile della quasi totalità delle operazioni militari e di intelligence iraniane negli ultimi vent’anni. La sua uccisione aveva portato le tensioni tra Teheran e Washington a un livello senza precedenti. 

Ora, tra una presidenza Biden che ha saputo realizzare poco e niente in ambito diplomatico, a parte la catastrofica uscita dall’Afghanistan, e un Iran ora sotto la guida di Ebrahim Raisi, un accordo per ricucire lo strappo sembra ancora difficile — mentre Israele usa lo stallo tra i due paesi per difendere i propri interessi.

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In copertina: il comitato che negozia il nuovo accordo durante una riunione a Vienna lo scorso dicembre. Foto via Twitter