Milano, 1 maggio 2015. Scontri tra forze dell’ordine e manifestanti durante il corteo No Expo. Foto: Marta Clinco
Il sito d’informazione militante celebra i suoi dieci anni di attività con un libro, “Dalla parte giusta della barricata”: un modo per mettere a fuoco dieci anni in cui Milano è cambiata, lasciando però spesso indietro i più deboli
Dieci anni fa Milano e l’Italia erano diverse: lontane dalla pandemia ma nel pieno di una crisi economica sfociata nel vero e proprio commissariamento economico del Paese, mentre la città provava a uscire da quasi vent’anni di amministrazione di destra che aveva avuto come massime ambizioni la militarizzazione delle strade e la creazione di nuovi parcheggi. Dieci anni fa, tuttavia, la sinistra autonoma era molto più attiva di oggi: i centri sociali milanesi avevano una forza maggiore e sembrava ancora possibile pensare a un modello di partecipazione alla vita politica a tempo pieno, modello che oggi sembra non avere più così tanta presa sulle nuove generazioni.
In quel clima culturale e politico era nato MilanoInMovimento, uno dei principali siti d’informazione antagonista in Italia, che si è occupato di descrivere la realtà di lotta milanese. Il sito compie dieci anni e la redazione ha pensato di festeggiare la ricorrenza con un libro, Dalla parte giusta della barricata, che contiene diversi interventi sulla Milano degli ultimi dieci anni: dalla crisi alla lotta per la casa in una Milano sempre più costosa, alla storia degli spazi occupati alle politiche repressive messe in campo dallo stato contro i movimenti. Fino ad arrivare alle lotte contro il patriarcato e la distruzione dell’ambiente da parte delle multinazionali, e il grande spartiacque storico della pandemia.
Abbiamo parlato con Matteo Colò — uno dei redattori del progetto — sia di cosa ha significato questo decennio per Milano, sia del futuro di MilanoInMovimento, che deve provare a capire come navigare una società in cui i conflitti sociali permangono, ma le modalità di lotta sono in drastico cambiamento.
Ciao Matteo. Parliamo un po’ del libro: come mai avete deciso di scriverlo?
L’idea nasce più o meno un anno fa: ci siamo resi conto che nel 2021 sarebbe caduto il decennale del sito, che ha iniziato le sue pubblicazioni a ottobre 2011 con gli scontri di Piazza San Giovanni al corteo degli Indignados a Milano: la prima corrispondenza fu da quella piazza. Abbiamo pensato a varie cose per festeggiare la ricorrenza — un concerto, una festa, un ciclo di conferenze — ma alla fine abbiamo deciso per qualcosa di solido, che si potesse toccare con mano, in un momento in cui molta informazione è intangibile. Tra 10 anni qualcuno lo riprenderà in mano e vedrà se le analisi contenute erano giuste o sbagliate. Inoltre — anche se questa definizione mi sembra un po’ “vintage” oggi — noi siamo legati a spazi sociali amici, con cui c’è un rapporto di collaborazione, e questo libro è anche dedicato a loro. Racconta anche la nostra storia comune, e magari ai più giovani può insegnare qualcosa.
A proposito di storia: com’è cambiata Milano negli ultimi 10 anni?
Diciamo che MiM nasce subito dopo l’inizio di quello che è diventato un ciclo politico — nel 2011 c’era stata la vittoria di Pisapia e di quella sinistra liberal e progressista assolutamente compatibile con capitale e capitalismo. È evidente che la Milano di oggi non è la Milano asfittica, plumbea, con l’esercito che gira per via Padova di Moratti. Ma è anche evidente che ci siano una serie di problemi che non sono stati affrontati: le disuguaglianze, il problema dell’edilizia popolare — sono decenni che non vengono costruite case popolari, e ci si affida all’housing sociale. Sembra non esserci una soluzione mediana tra il degrado e la gentrificazione, che certo abbellisce un quartiere ma poi espelle ciclicamente i suoi abitanti, negozi storici e così via. Vediamo cos’è successo all’Isola, in Ticinese già 30 anni fa — Ticinese è il primo esempio di gentrificazione — oppure tutta la vicenda di NoLo o di via Sarpi, che nel giro di pochissimi anni sono diventati un divertimentificio incredibile. Una città con luci e ombre, sicuramente non amica dei più poveri(che non riescono a farsi sentire) e che comunque basa la sua ricchezza sulla messa a valore di centinaia di migliaia di precari e lavoratori poveri.
Quando è salito al potere Pisapia le aspettative a sinistra però erano un po’ diverse. Queste cose possiamo dirle a posteriori…
Le aspettative sono spesso messianiche, quando vince la sinistra o presunta tale: poi ci si scontra con la forza dei poteri veri che determinano la società e che lasciano davvero pochi margini d’azione. Io però ho vissuto anche la Milano del centrodestra, ed è cambiata davvero da)l giorno alla notte. È evidente comunque che ci sono problemi che non vengono affrontati, o che vengono delegati al privato sociale, volontariato o terzo settore quando invece dovrebbero essere affrontati dalle istituzioni — è stato evidente questo problema con la prima fase della pandemia, quando gran parte del primo intervento di urgenza è stato appaltato dalle brigate volontarie — c’è anche un articolo su questo nel nostro libro.
Cosa significa oggi fare giornalismo e militanza? È una contraddizione, come qualcuno ritiene?
Eh… Questa è un po’ la croce e la delizia di MiM. Il libro si apre con una citazione di Oscar Wilde che demolisce la presunta oggettività dell’informazione: “Si può esprimere un’opinione imparziale solo su cose che non ci interessano, ragion per cui un’opinione davvero imparziale è del tutto priva di valore.” Noi rivendichiamo il nostro essere partigiani: nasciamo come megafono di un’area politica, nel solco di altri siti di movimento come Infoaut o Dinamo Press a Roma…
È una partita complicata. L’essere tutti militanti — non c’è nessun professionista dell’informazione tra di noi — è la nostra forza, la nostra storia, siamo espressione di gente che si sporca le mani quotidianamente nelle strade con l’azione politica. È evidente però che questa cosa è anche un limite: nell’Italia del 2021, dove la militanza classica da centro sociale è indubbiamente in crisi, è un po’ chiudersi in sé stessi. Quindi in qualche modo ci sarebbe la necessità di parlare e imbarcare con altri diversi da noi. Non è così facile, perché alla fine la sfida è sempre la professionalità e la qualità dell’informazione.
La militanza in effetti cambia. A me viene in mente ovviamente FFF. Avete aperto un dialogo con queste realtà, potrebbero fare informazione e militanza? Alla fine, per certi versi, con la loro opera e la loro stessa esistenza già fanno informazione.
Abbiamo due ragazzi che hanno un ruolo abbastanza rilevante in FFF Milano e che sono anche redattori di MiM: uno è andato a Glasgow e ha fatto il racconto di quelle giornate della Cop26. Diciamo che la militanza oggi — che poi ora chiamerei più “attivismo” — sicuramente è molto diversa da quella che può essere la storia di noi più vecchi: noi veniamo da modelli di partecipazione molto più vecchi, strutturati, totalizzati. Sicuramente è un rapporto dialettico, tipico di quello tra vecchi e giovani. Politicamente mi ritengo un vecchio, espressione del centrosocialismo anni ‘90… Ma per quanto mi riguarda è evidente che per non è quello il futuro. Interloquiamo con FFF, Nudm le lotte contro il Cpr e stiamo a vedere cosa succederà. Siamo un po’ a metà del guado su questa riflessione, sulla crisi della vecchia militanza e l’approdo a quella nuova, quindi non abbiamo una risposta chiara a questa domanda.
E quindi quali progetti avete per il futuro?
A noi piacerebbe analizzare in modo più approfondito ciò che riguarda il mondo del lavoro, tema che abbiamo sempre toccato tangenzialmente nel corso della nostra storia e non da reali protagonisti, e che rimane elemento fondante dell’identità di esseri umani e cittadini. Inoltre abbiamo in corso una riflessione su “cosa fare da grandi”, se fare una scelta professionale informativa o rimanere nell’alveo rassicurante della militanza politica.