L’Italia post–fascista non si ferma al governo di Giorgia Meloni
80 anni fa i partigiani hanno liberato il paese. Ma il loro lavoro non è ancora finito.

L’Italia è sotto lo scacco di un governo post–fascista da più di 900 giorni, e il peso si sente. È facile elencare le forzature democratiche e le imposizioni autoritarie di questo governo: il decreto sicurezza, per reprimere le proteste, introdotto bypassando il Parlamento; le deportazioni — piuttosto disperate — nel lager di Gjader; la convinzione ferrea che la politica debba poter controllare la magistratura.
Ma, come ci ricorda un detto rilevante in questi giorni, morto un papa se ne fa un altro, e sarà la stessa cosa per questo governo. Per questo, il 25 aprile è utile ricordare non solo che le forze attualmente al governo nel paese sono attivamente nemiche delle istituzioni democratiche, ma sono frutto di uno stato le cui pulsioni autoritarie sono multiformi e mai forti come in questi mesi.
Per evitare che dopo Giorgia Meloni arrivi qualcuno ancora peggio di lei serve decostruire e superare questi aspetti della società — un compito che sarebbe difficilissimo per un governo che non sia nemico della propria popolazione, ma che si configura come una vera e propria impresa se si deve fare dal basso. Ma non importa, perché bisogna farlo lo stesso: è facile vedere queste sfide come mostri lovecraftiani, informi e impossibili da comprendere, altro che sconfiggerli. Invece non è vero: sono coaguli di migliaia di episodi singoli, che si possono affrontare, si possono discutere, si può impedire che si ripetano.
Post–fascismo: la donna al suo posto
Le condizioni delle donne e delle persone che possono rimanere incinte sono ancora durissime in Italia, e il fatto che ci sia una capa del governo non cambia quanto il paese sia ancora misogino, e quanto sia drasticamente più facile vivere la vita per gli uomini. Ci sono infiniti esempi in merito — il più recente forse è il caso della maestra d’asilo di Treviso licenziata per aver un profilo OnlyFans attivo, rilevante perché una prima risposta positiva — di resistenza — c’era stata, prima che si arrivasse al licenziamento. Se da una parte qualsiasi espressione di libertà sessuale è punita fino ad arrivare al licenziamento, al contempo, la sessualizzazione e gli abusi contro le donne e le ragazze sono funzionalmente regolamentati — come nel caso dei molti scandali che hanno colpito il mondo della ginnastica nei mesi scorsi.
Non è una cosa sorprendente, d’altronde, perché il tema, nella società post–fascista contemporanea, in Italia come negli Stati Uniti, ad esempio, è quello del controllo totale del corpo della donna, sia come oggetto sessuale sia come vero e proprio strumento per la produzione di una progenie bianca. In questo senso, il campo di battaglia resta il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, e in Italia il centro del cratere resta la Lombardia: un anno dopo la mozione di Regione in supporto ai Centri di aiuto alla vita antiabortisti, coordinati da Federvita, i gruppi di fondamentalisti religiosi cattolici sono presenti in massa nella sanità pubblica della regione: Cav sono presenti negli ospedali di 10 province lombarde su 12 — con la presenza in totale di 21 punti di ascolto ospedalieri, 20 sedi locali e specificamente 80 Cav. L’infiltrazione di movimenti contro il diritto di scelta delle persone incinte è gravissima in Lombardia: andando provincia per provincia ci sono picchi altissimi di obiettori di coscienza, con il massimale a Bergamo, oltre il 72%.
Post–fascismo: il capitalismo ubriaco
L’assenza dello stato nella supervisione del capitalismo ha permesso ai padroni delle piccole imprese italiane di scatenare i propri peggiori difetti, e, senza prospettive di una politica industriale, non solo le industrie pagano meno e assumono meno, ma producono anche meno, rendendo in ultima analisi il paese più povero — e, funzionalmente, più docile.
La produzione industriale italiana del 2024 è calata del 3,5% rispetto al 2023, una decrescita molto rilevante. Gli unici settori economici che hanno registrato crescite sono le attività estrattive e le forniture di energia. Si registrano cali drammatici nella produzione di mezzi di trasporto (-23,6%), ma anche nel settore delle industrie tessili, per l’abbigliamento e la produzione di pelli e accessori — un settore storicamente caro alla politica — che però ha perso il 18,3%. Metallurgia e fabbricazione dei prodotti in metallo, un altro settore storicamente importantissimo per l’economia del paese, ha segnato -14,6%.
In questo paesaggio lunare atterrano casi di evasione fiscale e sfruttamento dei dipendenti a dir poco pirateschi — menzioniamo la vicenda di DHL Express Italy, ma nell’Italia post–fascismo c’è un problema con quello che si può descrivere letteralmente come schiavismo: persone costrette a vivere dove lavorano, segregate dal resto della società, spesso fin da età giovanissime.
Il problema non si limita però a chi attivamente infrange la legge: l’Italia perde tutti gli anni 10 miliardi di gettito a causa dell’elusione fiscale. Al fronte degli 8 mila italiani che hanno la residenza a Monaco, per gli altri la vita quotidiana è drasticamente più difficile — le famiglie italiane comprano sempre meno: la spesa media è scesa del 9,1% rispetto ai consumi pre–Covid. È una flessione tale che ha portato a rilevanti cambi di comportamento: a partire dall’alimentazione, con un vero e proprio crollo dei consumi per alcuni prodotti alimentari, tra cui -21,5% per i vegetali, ma anche sugli spostamenti, su cui le famiglie spendono il 15,8% in meno.
Post–fascismo: la violenza delle forze dell’ordine
In realtà, è inesatto parlare di assenza dello stato: lo stato c’è eccome, dove vuole esserci. Una visione politica realizzata nell’Italia post–fascista è quella della violenza e dello strapotere delle forze dell’ordine. A inizio mese Extinction Rebellion ha denunciato la procura di Brescia e di Roma per gli abusi subiti dalle proprie attiviste, fermate dopo una manifestazione pacifica di fronte alla fabbrica di armi Leonardo. Le manifestanti in questura erano state fatte spogliare – un trattamento, chissà perché, non riservato ai fermati maschi. A Roma, invece, 75 persone sono state rinchiuse per 10 ore nell’ufficio Immigrazione della questura di Roma dopo un sit-in.
Le forze dell’ordine hanno un gravissimo problema con la profilazione razziale — non è, per definizione, una notizia, considerato quanto è stata normalizzata. Oltre all’uccisione di Ramy Elgaml, nell’autunno 2024, un episodio particolarmente eclatante è stato quello raccontato dalla giornalista Isabella De Silvestro, che ha assistito a un grave caso di violenza di polizia a Roma: tre carabinieri, di cui uno in borghese, hanno inseguito, spinto a terra e pestato un giovane migrante accusato di essere stato colto in flagrante mentre spacciava droghe. Il giovane ha cercato di mettersi in fuga nonostante fosse scalzo, e gli agenti hanno interrotto il pestaggio solo per la presenza di una testimone — la giornalista, che poi ha attirato l’attenzione dei passanti.
In queste settimane, nel frattempo, si sono fatti sempre più frequenti gli episodi di disordini nei carceri e nei carceri minorili, sintomi di problemi di violenza di cui non si sa abbastanza. Quello che si sa, invece, è che gli uomini dell’arme hanno le mani libere: incappucciare, colpire, denudare e trascinare a forza un detenuto non costituirebbe reato di tortura: a dirlo è una sentenza del tribunale di Reggio Emilia, che si è pronunciato sulle… torture? degli agenti del carcere locale su un detenuto nel 2023. Il tribunale ha sì condannato gli agenti, ma per “semplice” abuso di autorità.
Dove non arrivano — o non si sentono ancora di arrivare — le FdO, ci pensano elementi formalmente slegati, ma a cui è dato tempo e modo di muoversi indisturbati. È il caso delle squadracce delle ronde anti–maranza, che le Forze dell’Ordine indagano per giorni e giorni, mentre gli organizzatori sono impegnati in attività carbonare come rilasciare interviste alla Zanzara.
Post–fascismo: le opposizioni obbedienti
Alcune espressioni dell’Italia post–fascista possono essere contenute e superate dall’azione della società civile — per altre, invece, è necessaria azione politica. Anche dall’opposizione, perché non è che non si può fare niente per anni e anni dopo aver perso le elezioni. Una presa di coscienza da parte di almeno parti di Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra c’è, così come in questi mesi c’è stato un rinnovato attivismo da parte delle organizzazioni sindacali. Ma una risposta coordinata la si riesce a dare solo in casi quasi di costume: come nel caso degli scandali sulla filippica di Meloni contro il manifesto di Ventotene o sulle dichiarazioni incendiarie della ministra Santanché.
Il rischio, però, è quello opposto: è quello di avere una opposizione che interiorizza lo strapotere autoritario del governo, e che ragiona non su come osteggiarlo, ma nell’illusione di potere creare un rapporto costruttivo, che vada oltre la complicità. È il caso del secondo congresso di partito di Azione, in cui Carlo Calenda si è prostrato ai piedi della presidente del Consiglio Meloni. Calenda stesso ha spiegato di nuovo il posizionamento del proprio partito, dicendo che vuole fare “opposizione intransigente ma di merito.”
Nella discussione liberale attorno al 25 aprile, si dice spesso che si tratta di un’occasione per ricordare la conquista della democrazia, o addirittura direttamente della libertà: è vero, ma serve sottolineare che si tratta di standard troppo bassi. Con il 25 aprile si è sconfitto il fascismo, sì, ma nell’Italia repubblicana i fascisti sono arrivati subito in Parlamento — addirittura c’è chi si vantava che si fosse permesso ai fascisti di entrare in Parlamento. Ormai sono decenni che non si fa niente per ampliare quella vittoria. Anzi, non solo si è imparato a convivere con tutto quello che non è cambiato, ma si finge di non vedere come su tanti fronti sia stia arretrando.
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