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Chiamando Eva torna con una nuova stagione dieci giorni dopo una sconfitta storica per i diritti civili in Italia. Ma perché chi è al potere si dice perseguitato da una “dittatura,” quando si chiedono solo maggiori tutele?

Il 27 ottobre 2021 in Senato è stato affossato il ddl Zan. Con 154 voti favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti, la richiesta di “non passaggio all’esame degli articoli,” la tanto discussa “tagliola,” ha spento in pochi minuti il sogno che aveva riempito le piazze di tutta Italia a sostegno dei diritti civili. Il resto della storia la sapete: sui social sono circolati i video – desolanti – dei banchi della destra esplosi in applausi e cori da stadio, in un exploit di goduria e follia collettiva.

Nelle pagine di Repubblica del 31 ottobre Luca Ricolfi, sociologo, scriveva un articolo molto critico in merito alla questione del politicamente corretto nella lingua e del tanto odiato asterisco o schwa. Nell’articolo si legge che “i discendenti dell’uomo bianco (anche se non hanno alcuna colpa) devono pagare per le colpe, vere o presunte, dei loro progenitori colonialisti, oppressori, schiavisti, in ogni caso privilegiati.” Chiara Valerio ha risposto qualche giorno dopo: dire “maschio bianco eterosessuale” per riferirsi a una determinata categoria di persone – guarda caso quelle stesse persone che non si sono mai poste il problema di nominarsi e che Kubra Gumusay chiama per questo “innominati” – non vuole essere degradante. Semplicemente è una categorizzazione fatta per insiemi. Tutti rientriamo in una qualche definizione, per quanto ci possa sembrare limitante.

Le due notizie rientrano in un più esteso sentimento di opposizione a qualsiasi istanza di trasformazione culturale verso una maggiore rappresentazione. Se il linguaggio inclusivo e la presunta “dittatura del politicamente corretto” fanno paura, bisogna chiedersi a chi. 

La lingua in realtà è già di per sé in continuo cambiamento, in quanto specchio della cultura e del quotidiano. Il momento “linguisticamente molto frizzante” che stiamo vivendo, come aveva evidenziato la linguista Vera Gheno in una nostra intervista, è infatti mera espressione del grande sommovimento sociale attuale. Il cambiamento spaventa chi pensa che i propri privilegi siano a rischio – e così finisce per schernire i vari esperimenti. In realtà le due cose non sono autoescludenti. Un linguaggio che rappresenti coloro che oggi mancano degli strumenti per farlo non è un affronto a chi invece questo diritto già ce l’ha, ma un tentativo di apertura. Le trasformazioni non vogliono sradicare, ma aprire una porta, una possibilità.

Per fortuna, una buona notizia dal teatrino del Senato italiano c’è: con l’approvazione del Decreto Infrastrutture, sarà vietata qualsiasi forma di pubblicità a sfondo sessista, razzista o abilista per le strade.

In copertina, foto di Marco Casino

Show notes

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