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Da qualche settimana sembrano diventati il principale pericolo della viabilità cittadina, mentre le automobili continuano tranquillamente a monopolizzare il traffico

C’è un nuovo nemico che minaccia la sicurezza delle città italiane: veloce e silenzioso, sfreccia per le strade seminando il caos, terrorizza anziani e bambini, toglie il sonno agli onesti amministratori comunali. È lui: il monopattino elettrico. 

Da qualche mese, le notizie relative a incidenti stradali che coinvolgono i monopattini elettrici si sono moltiplicate, con una risonanza mediatica che li ha fatti uscire dalle pagine delle cronache locali per catapultarli direttamente al centro del dibattito politico. Nelle ultime settimane è stato un crescendo, sull’onda emotiva di due tragiche notizie di cronaca: la morte di un ragazzino di 13 anni a Sesto San Giovanni, caduto dal monopattino elettrico di un amico che gliel’aveva fatto provare, e quella di un trentaquattrenne a Roma, morto pochi giorni fa in seguito allo scontro con un’auto. 

La sequenza ravvicinata di questi due eventi ha generato l’impressione di una vera e propria “emergenza monopattini,” che ha portato da più parti alla richiesta di regole più severe per il loro utilizzo: il comune di Sesto San Giovanni ha subito emanato un’ordinanza per imporre il casco obbligatorio e il limite di velocità di 20 km orari sulle piste ciclabili e 5 km orari nelle aree pedonali (solitamente i monopattini hanno una velocità massima di 25 km orari). Secondo il sindaco Roberto Di Stefano, leghista, i monopattini elettrici dovrebbero essere equiparati ai ciclomotori con una legge nazionale. La giunta regionale lombarda ha accolto l’iniziativa e ha deciso di presentare al Parlamento una proposta di legge che imporrebbe regole ancora più severe: l’utilizzo dei monopattini sarebbe del tutto vietato ai minori di 18 anni — che, ricordiamo, possono guidare diverse categorie di ciclomotori — con casco obbligatorio per tutti e obbligo di stipulare un’assicurazione di responsabilità civile verso terzi. Si è mossa in questa direzione anche la regione Toscana, senza contare le numerose ordinanze emanate dai singoli comuni

Oltre alla politica, si muovono per chiedere “regole più severe” anche le associazioni di categoria che rappresentano a vario titolo gli automobilisti: da Confarca, la confederazione che rappresenta le scuole guida italiane, che oltre all’obbligo del casco chiede anche la patente per poter guidare i monopattini, all’Automobile Club Italiano, che aggiunge alle richieste anche l’obbligo di targa

In Parlamento è già iniziato lo scorso aprile l’esame di un disegno di legge — proposto da Lega e Forza Italia — che, come quello proposto da regione Lombardia, prevede il divieto di utilizzo per i minorenni (con possibilità di deroga in caso di patentino), nuovi limiti di velocità, obbligo di casco e di giubbotto o bretelle retroriflettenti, divieto di circolare sul marciapiede e addirittura il divieto di circolare dopo il tramonto. 

Non è difficile capire che una legge del genere, se mai dovesse essere approvata, annienterebbe del tutto l’esistenza dei monopattini elettrici come mezzo diffuso di micro-mobilità urbana. Già il solo obbligo del casco complica non poco il loro utilizzo: la fortuna recente dei monopattini elettrici sta soprattutto nel loro uso occasionale, o come mezzi da “ultimo miglio” — per colmare la distanza tra la fermata dei mezzi pubblici più vicina e la destinazione. Il fatto di dover avere sempre il casco con sé taglierebbe fuori, per forza di cose, tutti gli utilizzatori occasionali che quando escono di casa non sanno se useranno un monopattino oppure no.

Ma i monopattini elettrici sono davvero così pericolosi?

Negli ultimi due anni c’è stata una forte crescita nell’utilizzo dei monopattini elettrici, accelerata in particolare l’anno scorso sull’onda della pandemia — che ha spinto molte persone a cercare alternative ai mezzi pubblici — e grazie agli incentivi governativi varati per favorire la mobilità “dolce.” A fine settembre 2020, secondo le rilevazioni di GfK, si registravano oltre 125 mila unità vendute tra monopattini, skateboard e hoverboard elettrici. A questi vanno aggiunti i monopattini delle flotte in condivisione, che secondo l’ultimo osservatorio nazionale Sharing Mobility, con dati sempre riferiti a settembre 2020, sono poco meno di 30 mila. Numeri che rendono abbastanza credibile la stima di 140 mila monopattini in circolazione, tra privati e condivisi, citata da molti giornali

E gli incidenti? L’Istat ha cominciato a includere anche monopattini e biciclette elettriche nelle proprie rilevazioni degli incidenti stradali, realizzate insieme all’ACI, a partire da maggio 2020. Secondo l’ultimo rapporto, l’anno scorso gli incidenti stradali con lesioni a persone che hanno coinvolto almeno un monopattino elettrico sono stati 524, con un decesso. Prendendo per buono il numero di 140 mila monopattini in circolazione, parliamo di 0,004 incidenti per ogni mezzo circolante — come ha sottolineato anche Assosharing, l’associazione di categoria che riunisce le principali aziende della sharing mobility. Un numero che non sembra giustificare chi parla di un “boom” di incidenti in monopattino. Gli incidenti aumentano, naturalmente, perché aumenta l’utilizzo di un mezzo che fino a tre anni fa era praticamente assente dalle strade delle città italiane, ma nulla fa pensare che sia più pericoloso di altri mezzi “deboli” della strada, come biciclette o motorini.

Bisogna contare, infatti, che nella maggior parte degli incidenti stradali in cui è coinvolto in monopattino è coinvolta anche un’automobile, ma paradossalmente la responsabilità del sinistro viene spostata dal mezzo più forte al mezzo più vulnerabile. La copertura mediatica dell’incidente avvenuto il 9 settembre a Roma è emblematica di questo atteggiamento: l’automobile che ha causato la morte del 34enne in monopattino è praticamente sparita dai titoli dei giornali, che hanno parlato della “ennesima vittima in monopattino” invece della “ennesima vittima di un’automobile.” Che è un po’ come se si desse ai 409 pedoni morti in incidenti stradali nel 2020 la colpa di essersi fatti investire: sicuramente qualcuno di loro avrà attraversato la strada imprudentemente, ma è chiaro che il pericolo nelle strade è rappresentato dalle automobili, non dalle persone che camminano.

L’elefante nella stanza

Le ragioni di questa campagna di demonizzazione non sono difficili da intuire: con il loro successo guadagnato in così poco tempo, i monopattini elettrici hanno iniziato a trasfigurare in maniera evidente il modo di intendere gli spostamenti in città, andandosi a scontrare — spesso in senso reale e non figurato — con una viabilità storicamente pensata quasi unicamente per le automobili. La prepotenza con cui i monopattini hanno cominciato a reclamare per sé le strade dà fastidio, e ha scatenato la reazione del blocco politico che da sempre difende la viabilità automobilistica. Non è un caso, infatti, che la maggior parte delle proposte draconiane per “regolamentare” l’uso dei monopattini arrivi dalla Lega e dagli altri partiti di destra: gli stessi che, in una città congestionata e fortemente inquinata come Milano, hanno ingaggiato una lotta senza quartiere contro le piste ciclabili e contro le zone a traffico limitato.

Parlare di sicurezza stradale in città ignorando l’elefante nella stanza — l’onnipresenza delle automobili — tradisce una certa malafede. Quella che alcuni utenti su Twitter, usando l’hashtag #monopattiny, mettono ironicamente in evidenza pubblicando foto di automobili parcheggiate ovunque, su marciapiedi e piste ciclabili, associate alle classiche imprecazioni contro la “sosta selvaggia” dei monopattini elettrici.   

“Più delle biciclette, i monopattini sono visti come un vero pericolo da chi vuole conservare la mobilità urbana così com’è. Sono un mezzo di mobilità passiva, più facile da usare e da gestire negli spazi: sul monopattino non sudi, non fai fatica,” commenta Marco Mazzei, esperto di mobilità, ciclo-attivista e candidato al consiglio comunale nella lista civica di Beppe Sala. “In più, le biciclette esistono da tanto tempo, mentre qui stiamo parlando di una novità. Per questo i numeri degli incidenti sembrano pazzeschi, se li confronti con lo zero di prima. Mi sembra tutto molto sopra le righe: un po’ per ignoranza e un po’ per malafede da parte di alcuni.”

Tra il 2011 e il 2019 ci sono stati in media 3.400 morti all’anno per incidenti stradali, e circa 250 mila feriti. I dati sono fortunatamente in lento miglioramento, e nel 2020 il numero degli incidenti è crollato grazie ai lockdown, ma parliamo comunque di cifre da bollettino di guerra. Nel 2019, con un tasso di mortalità stradale di 52,6 morti per milione di abitanti, l’Italia si collocava al di sopra della media europea di 48,1, al tredicesimo posto. Per quanto riguarda il numero di auto pro-capite, l’Italia è seconda in Europa soltanto al Lussemburgo, con una media nazionale di 646 auto ogni mille abitanti. Un dato in forte crescita con la ripresa economica post-pandemica: a maggio 2021 sono state immatricolate 142.730 autovetture, con un aumento del 43% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. 

La maggior parte degli incidenti stradali (73,7%) avviene nelle strade urbane: non ci vuole un genio per capire che, per rendere più sicura la viabilità cittadina, serve togliere spazio alle auto, non certo ai monopattini o agli altri mezzi di micro-mobilità. È la direzione intrapresa dalle altre principali capitali europee, come Parigi, il cui centro metropolitano è appena diventato un’unica grande zona 30

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Al contrario, inasprire le norme per l’utilizzo dei mezzi di mobilità alternativi all’automobile rischia soltanto di disincentivarne l’uso o affossarli del tutto. “Il ragionamento da fare a monte è sempre uno: bisogna decidere quale tipo di mobilità si vuole incentivare,” spiega Mazzei. “Se decidi che vuoi incentivare la micro-mobilità individuale, ci sono alcuni provvedimenti da prendere, e altri da non prendere. Se invece decidi che non ti interessa, e il tuo obiettivo è continuare a sostenere un certo tipo di mobilità basata sul possesso dell’automobile privata, allora ci sono una serie di cose che puoi fare per disincentivare gli altri mezzi. Tra queste, c’è la scelta di caricare con una serie di orpelli i monopattini fino a renderli di fatto un mezzo molto più scomodo da utilizzare.” 

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in copertina, foto CC BY 2.0 7C0