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Il governo ha deciso di ignorare le due mozioni di Camera e Senato che chiedevano di “verificare” le condizioni per concedergli la cittadinanza. Ora lo studente egiziano rischia fino a 5 anni di carcere

Dopo un anno e sette mesi di detenzione preventiva, Patrick Zaki affronterà il processo a proprio carico: la notizia è stata data ieri su Twitter dal portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, ed è stata poi confermata dall’EIPR, l’Ong con cui collaborava Zaki. La prima udienza, di fronte a una corte di Mansoura, è prevista per oggi. Per quali capi di imputazione? Dopo diciannove mesi di vaghe accuse riguardanti post pubblicati su Facebook da account probabilmente falsi, sappiamo di preciso cosa viene contestato allo studente dell’università di Bologna: un articolo scritto nel 2019 sulla persecuzione dei cristiani copti in Egitto, che gli vale l’accusa di aver “diffuso notizie false.” Fortunatamente sembra essere caduta almeno l’accusa di “terrorismo,” per cui avrebbe rischiato una pena fino a 25 anni di carcere. Tre giorni fa, Zaki era stato interrogato su alcuni suoi scritti risalenti addirittura al 2013.

Su queste basi, Zaki rischia fino a cinque anni di reclusione. Quello che è peggio è che sarà processato davanti a un “tribunale d’emergenza per la sicurezza dello stato,” la cui procedura non prevede diritto d’appello. “Ora che inizia il processo ogni minuto che trascorre senza pressioni politiche sul Cairo rischia di andare colpevolmente perso,” scrive Noury, rivolgendosi ai parlamentari che alla Camera e al Senato hanno chiesto al governo di concedere a Zaki la cittadinanza italiana: “Facciano sentire la loro voce in modo altrettanto chiaro e forte nei confronti del governo, ora che inizia il processo.”

Di voci forti nella politica italiana, però, se ne sentono poche. Le due camere hanno approvato due mozioni non vincolanti, con una formulazione vaga — la richiesta al governo è di “avviare tempestivamente mediante le competenti istituzioni le necessarie verifiche” per l’eventuale concessione della cittadinanza — e il governo, a cui spetterebbe l’iniziativa, ha deciso sostanzialmente di ignorarle. Pochi giorni fa, intervenendo a Bologna per un evento elettorale, il ministro degli Esteri Di Maio ha detto che il governo “continua a lavorare ogni giorno” con l’obiettivo di “portare in libertà Patrick Zaki e restituirgli tutti i suoi diritti.”

La situazione in Egitto, nel frattempo

L’apertura del processo contro Zaki non è una sorpresa, perché si avvicinavano i 24 mesi che la legge egiziana pone come limite alla custodia cautelare, ma arriva anche a ridosso della pubblicazione di una nuova “Strategia nazionale per i diritti umani,” un documento lungo circa 100 pagine che elenca gli obiettivi e gli impegni del governo per migliorare i diritti socio-economici, culturali e politici in Egitto. Non si tratta certo di un documento ambizioso, ma secondo alcuni degli attivisti consultati per la stesura si tratta di un primo passo importante perché il governo egiziano riconosca un minimo di libertà e diritti politici. Al–Sisi ha presentato la nuova strategia — qui il discorso integrale in inglese sul servizio di informazione di stato — dicendo che il governo avrebbe rispettato le libertà individuali, avrebbe valorizzato la libertà d’espressione — seppur nei limiti del “criticismo costruttivo” (!) — e la libertà di culto. È importante ripetere di nuovo che non si tratta di una svolta nelle politiche di al–Sisi: il presidente ha collegato le concessioni alla nuova legge sulle operazioni delle Ong in Egitto, che Human Rights Watch aveva definito “draconiana.”

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Proprio Human Rights Watch ha pubblicato la settimana scorsa un report in cui accusava il governo egiziano di aver autorizzato l’uccisione di numerosi dissidenti. Secondo HRW le forze di sicurezza in Egitto eseguono sistematicamente omicidi extragiudiziali: nel report vengono dettagliati nove incidenti, in cui hanno perso la vita 75 persone, accusate dal governo di essere militanti. Dal 2015 per stessa ammissione del ministro dell’Interno egiziano, le forze di polizia hanno ucciso 755 persone. Solo di 141, però, sono note le identità. Questi omicidi sistematici sono stati resi legali grazie a una delle leggi più controverse approvate durante il governo di al–Sisi, la legge anti–terrorismo del 2015, che ha rimosso qualsiasi tipo di responsabilità per l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine. La scusa del terrorismo è stata usata anche per perseguire il dissenso e le organizzazioni umanitarie, com’è successo nel caso, che raggiunse gli onori della cronaca internazionale, contro tre direttori dell’Egyptian Initiative for Personal Rights, con cui anche Zaki collaborava.


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