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A un anno dall’incendio nel campo di Moria, sull’isola di Lesbo, migliaia di richiedenti asilo sono ancora intrappolati nel nuovo campo di Mavrovouni. Intanto, la Grecia e l’Unione europea sono impegnate a impedire l’arrivo di nuovi richiedenti asilo dall’Afghanistan

Un anno fa andava a fuoco il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo nell’Egeo. A distanza di un anno la situazione a Lesbo è ancora emergenziale: nonostante le promesse del governo greco, i profughi vivono ancora in tendopoli dalle condizioni miserabili — pochissimi servizi igienici e acqua potabile, impossibilità di muoversi liberamente per l’isola, repressione da parte delle forze di polizia. 

Il governo greco è poi impegnato in una guerra politica e giudiziaria contro tutte le persone in transito sul proprio territorio. Nel corso dell’ultimo anno sono aumentati i respingimenti illegali verso la Turchia e le autorità elleniche sembrano aver deciso di punire i migranti con processi sommari: per il rogo di Moria sono state condannate a decenni di carcere quattro persone con processi farsa, a cui è stato impossibile assistere da parte di osservatori internazionali, nel silenzio dell’Europa.

La maggior parte delle persone ancora bloccate nell’Egeo proviene dall’Afghanistan, da cui è scappata prima che i governi europei si rendessero conto che forse non era un paese così sicuro come andavano dichiarando. In generale, la differenza tra migranti economici e rifugiati — è opportuno ricordarlo — è una distinzione artificiale che serve solo a mettere in atto più comodamente politiche repressive verso persone nate in altri paesi.

A scanso di equivoci l’Afghanistan, dopo la conquista talebana, è in una situazione sempre più critica: l’inviata speciale ONU Deborah Lyons ha detto al Consiglio di Sicurezza che la comunità internazionale deve trovare modo di far affluire in Afghanistan risorse economiche, nonostante la presenza del governo talebano, “per prevenire un collasso totale dell’ordine sociale ed economico.” Il prezzo dei beni di prima necessità sta aumentando, mentre le banche private stanno finendo la liquidità e le autorità statali stanno finendo le risorse per pagare gli stipendi. “Dobbiamo dare la possibilità all’economia di respirare per ancora qualche mese, per dare la possibilità ai talebani di mostrare flessibilità e l’intento genuino di fare le cose in modo diverso questa volta, in particolare in prospettiva sui diritti umani, genere, e antiterrorismo.” Lyons specifica che sono necessarie “garanzie” che i soldi vengano usati “dove serve che siano spesi,” e che non vengano sprecati dalle autorità. 

L’ex presidente Mohammad Ashraf Ghani ha pubblicato su Twitter un messaggio in cui “spiega” la propria fuga da Kabul, dicendo che il suo team di sicurezza gli aveva detto che sarebbe stato impossibile evitare “gli stessi orribili scontri in strada in città che abbiamo visto durante la guerra civile negli anni Novanta.” “Lasciare Kabul è stata la decisione più difficile della mia vita, ma credevo che fosse l’unico modo per tenere zitte le pistole, e salvare Kabul e i suoi 6 milioni di cittadini.” Ieri, in visita in Germania, il segretario di Stato Blinken è tornato a dire che i rapporti tra governo talebano e comunità internazionale “dovranno essere guadagnati.”

Intanto, i talebani confermano di essere un regime repressivo, nonostante le parole concilianti con la comunità internazionale. Il primo decreto di Sirajuddin Haqqani come ministro dell’Interno è radicalmente autoritario: dopo giorni di proteste, il governo ha stabilito che protestare sarà legale soltanto previa approvazione sia della manifestazione in sé, sia dei singoli slogan che verranno usati. La repressione nei giorni scorsi è stata dura, e a Herat martedì si sono registrati due morti. Ieri il vicepresidente della commissione culturale dei talebani, Ahmadullah Wasiq, ha annunciato che alle donne probabilmente sarà vietato partecipare agli sport “in cui i loro corpi potrebbero essere esposti”: “Non credo che alle donne sarà permesso giocare a cricket perché non è necessario che le donne possano giocare a cricket. Nel cricket, potrebbero trovarsi in una situazione in cui il loro volto e il loro corpo non sono coperti. L’Islam non permette che le donne siano viste così. Questa è l’era dei media, e ci saranno foto e video, che poi la gente guarderà.” Il mese scorso sempre Wasiq aveva garantito che la squadra di cricket maschile avrebbe continuato a giocare.

Ieri TOLOnews e Reporters Without Borders hanno denunciato che nelle precedenti 48 ore 24 giornalisti erano stati arrestati e aggrediti dai miliziani, condividendo anche foto e video dei traumi lasciati dalle percosse. Anaamullah Samangani, un membro della commissione culturale dei talebani, non ha negato l’incidente, ma ha dichiarato che si cercherà di evitare che capiti di nuovo. Secondo Samangani è possibile che i Mujahideen avessero portato i giornalisti in “un luogo sicuro,” e che i giornalisti abbiano interpretato l’azione come essere stati arrestati. Un “luogo sicuro” dove poi sono stati vittima di fustigazione, considerando i lividi che alcuni di loro avevano sul corpo. Un giornalista afgano ha commentato dicendo che “c’è una bella differenza tra i talebani nei media e i talebani in strada.”  

In questa puntata sono con voi: Stefano Colombo e Alessandro Massone. Per non perderti nemmeno un episodio di TRAPPIST, abbonati su Spotify e Apple Podcasts.

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In copertina foto International Rescue Committee – UK, via Twitter