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Il Testo unico sulle droghe è responsabile di molti problemi, dal sovraffolamento delle carceri al congestionamento del sistema giudiziario, ma ancora una volta l’ostruzionismo della destra rischia di bloccare un ddl che potrebbe cambiare le cose (almeno un po’)

In Commissione Giustizia alla Camera è stato approvato il testo base della legge sulla depenalizzazione della coltivazione domestica di marijuana (non oltre 4 piante “femmine”) e sulla riduzione di pena per i fatti di lieve entità connessi allo spaccio di sostanze. 

Il testo adottato in Commissione si divide in 5 articoli, e vuole modificare il testo unico delle leggi che disciplinano stupefacenti e sostanze psicotrope. È frutto di un lungo lavoro di compromesso, perché tutte le forze della coalizione hanno posizioni diverse sull’argomento — tant’è che nel lavoro di sintesi è stato preso in considerazione anche il testo del capogruppo leghista Molinari. La novità principale è appunto la depenalizzazione della coltivazione domestica e in piccole quantità. Inoltre, vengono depenalizzati quelli che vengono definiti “fatti di lieve entità,” e se il reato viene commesso da una persona tossicodipendente, sarà possibile applicare una pena di lavoro di pubblica utilità, al posto del carcere.

Si tratta di una misura anche semplicemente di civiltà, come sottolinea il presidente della Commissione Perantoni (M5s): “La coltivazione in casa di canapa è fondamentale per i malati che ne devono fare uso terapeutico e che spesso non la trovano disponibile, oltre che per combattere lo spaccio ed il conseguente sottobosco criminale.”

Come contrappeso, probabilmente anche nel tentativo di assecondare la Lega, che già parla di “preludio alla legalizzazione,” la legge prevede anche un aumento da 6 a 10 anni per i reati connessi al traffico e alla detenzione a fine di spaccio della cannabis, la cui fattispecie sarà separata da quella prevista per lo spaccio di oppiacei. Si tratta di misure che Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, ha definito “forcaiole,” e che si augura che “vengano emendate prima dell’approdo in Aula.”

Oltre ai voti di Pd, M5S, Leu e +Europa, il testo è passato anche con il Sì del deputato di Forza Italia Elio Vito, mentre Italia Viva si è astenuta. 

Si riprende così il filo di una lunga battaglia contro il proibizionismo. La storia della legalizzazione in Italia parte dal luglio 1975 quando Marco Pannella viene arrestato per aver fumato marjuana in pubblico. Nel 1976, una delle leggi più proibizioniste in Europa sul tema viene modificata e il consumatore di droghe leggere viene dichiarato non più punibile.

Nel 1990 sarà il governo Craxi, su stimolo dello stesso presidente del Consiglio, a reintrodurre il reato per consumo di droghe, ma già nel 1993 per effetto di un referendum abrogativo, sostenuto dal 52% dei cittadini italiani, la detenzione per uso personale smette di costituire reato.

Dopo quel referendum saranno molte le iniziative dei Radicali per sottrarre l’erba, come spiegava Marco Pannella, al “monopolio mafioso a cui il proibizionismo assegna le non droghe che sono derivate dalla canapa indiana.”

Il famoso regalo di Marco Pannella ad Alda D’Eusanio

La normativa del 1990 viene però nuovamente  inasprita tra il 2005 e il 2006 dal decreto di legge numero 272 del 30 dicembre 2005, che introduceva sanzioni più gravi legate alla produzione, al traffico, alla detenzione illecita e all’uso di sostanze stupefacenti e soprattutto aboliva ogni distinzione tra droghe leggere  e droghe pesanti.

Si trattava della famigerata “Fini-Giovanardi” che è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale il 12 febbraio 2014; da allora la legislazione è tornata alla “Jervolino-Vassalli” (che prevede sanzioni più leggere rispetto alla “Fini-Giovanardi”) come modificata dal referendum del 1993.

Nel dicembre del 2016 è stata approvata la legge numero 242, che introduce il concetto di cannabis light, ovvero con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% (con una tolleranza fino allo 0,6%), che può essere commercializzata effettivamente come qualsiasi altro tipo di bene — anche se per effettuare l’acquisto è necessario avere 18 anni, come per gli alcolici. Avendo un contenuto di THC così basso, la cannabis light non ha nessuno effetto psicotropo, ma può al massimo garantire una sensazione di rilassatezza grazie alla presenza del CDB.

Nel 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente stabilito che la coltivazione domestica della cannabis non è reato, anche se dietro la condizione che a consumarla sia solo e unicamente chi materialmente si prende cura delle piante (un arzigogolo bizantino); anche regalarne un grammo a un proprio familiare sarebbe reato di spaccio. Anche l’autocoltivazione rimaneva illegale, ed è quello che il testo di base approvato ieri cerca di cambiare.

È importante sottolineare che, seppure quello di ieri sia stato un passo importante, l’iter della riforma si preannuncia molto lungo: secondo il presidente di +Europa Magi all’approvazione della legge “manca un anno di lavoro,” e chiede che la maggioranza che ha adottato il testo ieri — PD, M5S, Forza Italia — si impegni a portarla in Aula. 

Da parte dell’estrema destra, compresa quella di Matteo Salvini, parte della coalizione di governo, non ci si può che aspettare un’opposizione serrata, e i loro giornali di riferimento sono già in prima linea per diffondere l’allarme — oggi un titolo di Libero recita: “Il droga party di Pd e Cinquestelle.” 

Secondo il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova, gli allarmismi di Lega e FdI “cozzano con la realtà,” Salvini, che quando era ministro dell’Interno si era speso in parole estremamente aggressive anche contro i “negozi di cannabis,” e ieri ha commentato scrivendo su Twitter, che se “ius soli, ddl Zan e oggi la coltivazione della cannabis in casa” sono le “priorità di PD e 5Stelle,” “l’Italia ha un problema.” Una dichiarazione che purtroppo sottolinea solo come tutti e tre i fronti elencati siano sostanzialmente abbandonati — o si proceda estremamente a rilento. 

Chicoria, rapper, parla di sovraffolamento delle carceri a causa della cannabis per l’associazione Antigone

Nel mondo reale, il testo unico sulle droghe è una delle cause principali del sovraffollamento delle carceri, un problema che è stato ulteriormente esacerbato dalla pandemia. La cannabis infatti, nonostante sia la sostanza meno pericolosa, è la più perseguita a livello di controlli: riguardano la cannabis il 58% delle operazioni antidroga, il 96% dei sequestri e il 48% delle denunce ad autorità giudiziarie. Il Dodicesimo libro bianco sulle droghe, uscito lo scorso giugno, elenca gli effetti della “war on drugs” italiana, in alcuni numeri sconcertanti: nel 2020, 10.852 dei 35.280 ingressi in carcere sono stati in base a imputazioni o condanne sulla base dell’articolo 73 del Testo unico — si tratta del 30,8%. Il peso sul sistema giudiziario è colossale: i procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 o 74 sono più di 235 mila, e in 7 casi su 10 si arriva a una condanna. Rimane, forse, utile ricordare che si sa da anni che il proibizionismo semplicemente non funziona.

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Foto di Esteban Lopez / Unsplash