tunisia

in copertina, grab ERTT via Youtube

In una Tunisia profondamente in crisi, il presidente tunisino Saied ha forzato le dimissioni del Primo ministro Mechichi e ha sciolto il parlamento — potrebbe essere la prima fase di un vero e proprio colpo di stato

Con un colpo di mano, il presidente tunisino Kais Saied ha forzato le dimissioni del Primo ministro Hicham Mechichi e ha sciolto il parlamento. L’azione è arrivata durante una giornata di proteste in diverse città del paese contro la cattiva gestione della pandemia e in particolare contro il partito Ennahda, il “Movimento della Rinascita” islamista moderato che ha la maggioranza in Parlamento. Ieri si sarebbe dovuta celebrare la Festa della Repubblica tunisina, ma la giornata è stata travolta da un’ondata di malcontento per la situazione socio-economica del paese, sempre più in difficoltà. Saied ha spiegato che le sue azioni sono permesse dall’articolo 80 della costituzione, e che il Parlamento sarà sospeso per almeno 30 giorni, durante il quale il presidente stesso, con l’aiuto di un nuovo Primo ministro, gestirà il potere esecutivo.

Parlando con Al–Araby Al–Jadeed, il leader di Ennahda Riad al-Shu’aibi, anche consigliere politico al presidente del parlamento Rached Ghannouchi, ha dichiarato che si tratta di “un colpo di stato contro la costituzione e le istituzioni.” “Sembra che quello che è successo oggi,” ha ipotizzato, “compreso l’assalto dei manifestanti agli uffici di Ennahda, sia stato orchestrato per giustificare le azioni prese dal presidente.” La crisi politica non è solo figlia della pandemia, va sottolineato: nonostante siano passati 10 anni dalla rivoluzione, la politica tunisina resta perennemente in stato di agitazione, e da quando Saied è stato eletto presidente, nel 2019, è stato coinvolto in uno scontro frontale con il Primo ministro Mechichi e con Ghannouchi, che aveva bloccato anche le nomine di diversi ministri. Lo scontro perenne si è tradotto in marcate difficoltà politiche, e ha impedito di gestire in modo adeguato le risorse. È possibile che i fatti di ieri siano solo una crisi politica, ma con l’esercito che circonda il palazzo del parlamento per impedire l’ingresso di Ghannouchi e del suo staff non si può non ricordare il colpo di stato guidato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che ha permesso ad al–Sisi di insediarsi in Egitto, mettendo fine alla democrazia nel paese. Una sensazione che con il passare delle ore trova solo conferme: in mattinata la polizia ha fatto irruzione nella sede di al Jazeera a Tunisi, cacciando tutti i giornalisti e sequestrando molti oggetti come telefoni e altra apparecchiatura.

Che Kais Saied avesse in mente da un po’ di assumere il controllo del paese non è un segreto: lo scorso maggio David Hearst e Areeb Ullah avevano rivelato l’esistenza di un documento segreto della presidenza, in cui i consiglieri del presidente lo invitavano a realizzare un “colpo di stato costituzionale.” Il presidente anche in passato aveva usato un linguaggio da dittatore, definendosi “capo supremo di tutte le forze armate militari e civili.” Ieri, durante il discorso in cui annunciava il “licenziamento” del Primo ministro, ha detto che non vuole vedere scontri in strada e che “chiunque pensi di sparare una singola pallottola, le nostre forze armate saranno pronte a fronteggiarlo con una raffica di proiettili.” (!) Gli eventi di ieri non ricalcano quelli descritti nel documento ottenuto dai giornalisti di Middle East Eye, ma quest’ultimo elenca una lista di persone che andrebbero messe “agli arresti domiciliari,” un’azione per cui è già stato compiuto un primo passo privando i parlamentari della loro immunità — un’azione che non è compresa nell’articolo 80 della costituzione usato dal presidente.

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Su Twitter Meshkal ha documentato numerosi momenti tesi durante le proteste, e la repressione della polizia in diverse città, e poi le celebrazioni per gli annunci del presidente. Questa settimana diversi retroscena raccontavano che anche il partito Ennahda stesse cercando un sostituto per Mechichi, per rispondere alle richieste dell’UGTT, il più grande sindacato del paese, e del presidente stesso. La stasi politica, nel pieno di una crisi sanitaria ed economica impossibili da affrontare in queste condizioni, ha esacerbato la crisi e il calo di consenso per Ennahda, arrivando fino al punto di rottura di ieri.

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