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in copertina e all’interno, grab dal servizio del 2 novembre di Les 4 Verites

Da fine maggio a inizio luglio 2020 dall’Italia sono arrivate in Tunisia 12 mila tonnellate di rifiuti non conformi agli accordi internazionali: uno scandalo che coinvolge anche la criminalità organizzata, ma di cui in Italia si è parlato pochissimo

Il 2 novembre 2020 l’emittente privata tunisina El Hiwar Ettounsi manda in onda un’inchiesta su un carico di rifiuti arrivato da Salerno nel porto di Sousse. Si parla di quantità ingenti: 282 container tra fine maggio e inizio luglio 2020, per circa 12.000 tonnellate di rifiuti non conformi agli accordi internazionali, bloccati dalla dogana di Tunisi. Il giorno stesso, il Governo tunisino annuncia l’apertura di un’inchiesta giudiziaria per traffico di rifiuti. 

La notizia, nei giorni successivi, è su tutti i giornali del paese. Sarebbe logico aspettarsi una qualsiasi dichiarazione anche da parte del portavoce del Ministero dell’Ambiente di Roma, presieduto allora da Sergio Costa — che, però, non sono mai arrivate.

In breve tempo le inchieste a Tunisi iniziano ad allargarsi, arrivando fino in Campania: l’inchiesta diventa un vero e proprio scandalo internazionale sul traffico illecito di rifiuti tra Italia e Tunisia. Il 21 dicembre viene annunciato l’arresto del ministro dell’Ambiente tunisino Mustapha Larou e la denuncia di circa 25 funzionari – di cui una dozzina a loro volta arrestati. Sulla lista degli indagati c’è anche il nome del capo del suo gabinetto di Larou, i direttori dell’ANGED e dell’ANPI di Tunisi – rispettivamente Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti e Agenzia per la protezione dell’ambiente — di funzionari della dogana e del laboratorio incaricato di analizzare i rifiuti provenienti dall’estero. E c’è quello di Beya Ben Abdelbaki, la console tunisina a Napoli. 

Ricostruiamo la vicenda, grazie al lavoro svolto dall’agenzia di giornalismo investigativo tunisina Inkyfada in collaborazione con la milanese IrpiMedia. 

Tutto nasce dalla tipologia dei rifiuti inviati e le modalità con cui sono entrati nel porto di Sousse. I 282 container incriminati contengono tonnellate di rifiuti classificati con il codice di catalogo europeo di “rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani.” Secondo l’azienda cilentana che li ha prodotti, la Sviluppo Risorse Ambientali s.r.l. (SRA s.r.l.) di Polla (SA), sarebbero rifiuti industriali derivati dalla lavorazione della differenziata – in particolare plastica – esportati in Tunisia per terminare il processo di riciclo. 

Tuttavia, da Tunisi arrivano dati diversi. Secondo una mail inviata il 15 dicembre scorso alla Regione Campania e al funzionario del Ministero dell’Ambiente di Roma dal rappresentante del Ministero dell’Ambiente Abderrazak Marzouki, nei depositi non è arrivato materiale riciclabile ma solo rifiuti misti. Impossibili da valorizzare. Dalle indagini è emerso che si tratta principalmente di indifferenziata e materiale sanitario, materiale classificabile come pericoloso secondo l’articolo 9 della Convenzione di Basilea del 1989.

Il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti transfrontalieri tra un Paese UE e un Paese extra-europeo devono avvenire secondo il Regolamento Europeo sui rifiuti 1013/2006, la Convenzione di Basilea del 1989 e la Convenzione di Bamako del 1998, che esplicitano la modalità di esportazione di rifiuti urbani. Questi materiali di scarto devono essere conformi al trattato, non pericolosi e destinabili al riciclo. La Convenzione spiega anche come il trasporto viene autorizzato: i focal points – i rappresentanti della Convenzione di Basilea dei due Stati – analizzano la documentazione e solo se i rifiuti sono conformi al trattato possono accettare l’invio; in caso contrario lo rifiutano. 

Questa procedura non è stata rispettata: i container hanno lasciato il porto di Salerno semplicemente con l’approvazione della Regione Campania – che non ha giurisdizione in merito – senza il via libera delle autorità competenti. Sembrerebbe, ad oggi, che il Ministero dell’Ambiente a Roma in quel momento fosse all’oscuro della vicenda. Ma non è solo il focal point italiano ad essere stato scavalcato: a consentire l’esportazione infatti non è stato il rappresentante tunisino della Convenzione, ma un funzionario dell’ANGED di Sousse, oggi in arresto. 

Ad attendere la spazzatura c’è la Soreplast, una società fantasma che ha ricevuto in anticipo dalla SRA s.r.l. una somma di 230.000 euro. Come ci ha confermato Aida Depuelch – giornalista che ha seguito l’inchiesta per di Inkyfada – la Soreplast è una ditta fondata nel 2009 da Mohamed Moncef Noureddin. Noureddin appartiene a una delle famiglie più potenti del Sahel – regione in cui si trova Sousse – legata in passato al regime di Ben Ali e tutt’ora ben inserita nel mondo politico. Nel 2012 la Soreplast è stata multata dalla dogana per falsificazione di documenti e da quel momento ha smesso ufficialmente di operare, anche se si sospettano “commissioni” in nero, per poi riprendere le attività solo a fine 2019, proprio dopo i contratti con la SRA s.r.l.

Gli inquirenti hanno scoperto che l’azienda tunisina, il cui titolare è peraltro recentemente fuggito — presumibilmente all’estero, in un Paese dell’Unione Europea — aveva rilasciato dichiarazioni false in merito al contenuto della spedizione. E soprattutto, poco prima dell’invio del primo carico, aveva chiesto un’autorizzazione per l’importazione temporanea di imballaggi di plastica, non pericolosi da riciclare. 

Pare si trattasse, quindi, di una copertura per il contratto reale stipulato con la SRA s.r.l. che, invece, prevedeva lo smaltimento dei rifiuti in Tunisia. I problemi strutturali tunisini nella raccolta e nello smaltimento della propria spazzatura e la mancanza di capacità gestionali per smaltire anche la spazzatura estera lasciano credere che tra le modalità di smaltimento fossero previsti roghi e fosse illegali. È agghiacciante la similitudine con la “Terra dei fuochi” — un luogo in cui lo smaltimento illegale di rifiuti ha causato un drammatico aumento di cancro e mortalità tra la popolazione residente.

Ci sono altri particolari inquietanti nella vicenda: in Tunisia la SRA s.r.l. ha avviato una campagna di comunicazione per ripulire la sua immagine, tramite conferenze stampa e comunicati che dovrebbero scagionare la ditta salernitana, il tutto senza la minima copertura mediatica delle testate italiane. 

Ancora, nelle ultime settimane, oltre agli inquirenti tunisini, anche la Procura di Salerno ha avviato un’inchiesta in merito alla corrispondenza tra la SRA s.r.l. e la Regione Campania – secondo l’inchiesta tunisina è stata proprio la Regione a concedere l’autorizzazione. Napoli lo scorso dicembre ha cercato di limitare i danni sul piano interno ed internazionale, chiedendo alla SRA s.r.l. — dopo le mail del Ministero dell’Ambiente di Tunisi — di rimpatriare la spazzatura, portando la ditta a fare ricorso al Tribunale Amministrativo di Salerno. 

Sulla Sviluppo Risorse Ambientali s.r.l. bisogna aprire una parentesi. L’azienda, che si occupa della raccolta differenziata dei rifiuti in 18 comuni del Parco del Cilento, nasce nel 2008 dalla cessione di un ramo di un’altra società, la Fond.Eco. Entrambe le ditte sono finite nel 2016 al centro di un’inchiesta giudiziaria condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Salerno. Tommaso Palmieri, che con il suo gruppo controlla entrambe le ditte, è stato accusato di essere a capo di un’organizzazione che riciclava ingombranti dalla Basilicata. Il processo è ancora in corso ma, visti i tempi della giustizia, alcuni capi di accusa potrebbero cadere in prescrizione. Inoltre, in modo forse ancora più inquietante, la SRA s.r.l. è una delle società presenti nel rapporto parlamentare sul legame tra il ciclo di rifiuti e la criminalità organizzata.

Insomma, l’ombra della criminalità organizzata dietro questa vicenda è visibilissima.

Tornando alla questione dei rifiuti, in seguito alla richiesta di Napoli di riportare in Italia i container, la SRA s.r.l., tramite il proprio legale, ha fatto sapere che non ha nessuna intenzione di rimpatriare la spazzatura a meno che non sia completamente risarcita dallo Stato tunisino — o da quello italiano — e ha fatto ricorso al TAR di Salerno. Il 2 febbraio il Tribunale ha respinto il ricorso dichiarando il suo difetto assoluto di giurisdizione, affermando, inoltre, la necessità di individuare il foro competente. Come? Tramite l’apertura di un arbitrato, o addirittura tramite l’apertura di un procedimento presso la Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja.

Nonostante tutto, in Italia del caso si è parlato molto poco. Eppure ha coinvolto anche le istituzioni italiane, in particolare la Regione Campania: distrazione da pandemia e crisi di governo, o volontà di nascondere una controversia che sta per portare l’Italia davanti alla Corte Internazionale? 

Si è appena insediato un Governo che afferma di avere al centro della sua politica la transizione ecologica e la tutela dell’ambiente. Il partito di maggioranza in Parlamento – il Movimento 5 Stelle – ha nell’ambientalismo uno suoi valori fondanti, eppure nessuno si esprime sul merito di un caso così grave. La Tunisia ha fatto dimettere e arrestare un proprio Ministro e diversi funzionari di alto rango, oltre ad indagare un suo console. Il silenzio del nostro ministero e, soprattutto, della Regione Campania e del suo Presidente Vincenzo De Luca, pesa come un macigno.

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