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in copertina, foto via Facebook di Flai–Cgil Nazionale

I ritardi burocratici e l’autosabotaggio delle prefetture hanno affossato il provvedimento del governo Conte: solo pochissimi sono riusciti a ottenere un permesso di lavoro

Ritardi e limitazioni, rimpalli burocratici e politica assente: la sanatoria per i lavoratori stranieri emanata un anno fa, oltre che insufficiente, rischia di essere un completo fallimento. I problemi che doveva risolvere – dall’agevolazione del lavoro alle tutele sanitarie per braccianti e lavoratori domestici – sono ancora tutti lì, se non aggravati dalla crisi pandemica, economica e sociale.

Con notevoli sforzi e compromessi politici nel governo Conte 2, nel D.L. Rilancio del 14 maggio 2020, circa un anno fa veniva aperta la regolarizzazione per i lavoratori stranieri del settore agricolo e domestico. Sebbene sin da subito le motivazioni siano sembrate più economiche e imprenditoriali (riportare i braccianti al lavoro per la raccolta primaverile ed estiva della frutta e verdura, non fermare la produzione alimentare), la sanatoria voluta fortemente dall’allora ministra Bellanova è stata definita come un piccolo ma necessario passo per regolarizzare, rendere legale, una situazione di lavoro illegale – grigio, se non nero – dando diritti a migliaia di stranieri non riconosciuti, a rischio anche sanitario. Con possibili effetti positivi a medio e lungo periodo.

Già al termine di consegna dei documenti per partecipare al provvedimento (fissato al 15 agosto 2020) però, è stata chiara la sua insufficienza. La sanatoria ha coinvolto infine circa 207 mila lavoratori, di cui la stragrande maggioranza (85%) nel settore domestico e di cura, su una platea di più di 600 mila lavoratori stranieri non regolarizzati potenziali, in un iter burocratico farraginoso aggiornato di mese in mese con le circolari delle Prefetture.

Pochi i braccianti coinvolti, per la mancanza di incentivi (ma necessarie spese) o la paura di ritorsioni, per il lavoratore come per il datore di lavoro coinvolto. Infatti, la regolarizzazione poteva avvenire tramite due canali: il primo coinvolgeva entrambe le parti del contratto di lavoro (si è dimostrato il più utilizzato, testimone di un rapporto di lavoro già in essere); il secondo, strumento diretto per il solo lavoratore, che poteva così richiedere documenti previa una certificazione autonoma (complessa e incerta, una sorta di auto-identificazione, e per questo meno sfruttata nelle domande).

Come procede, quindi? 

Secondo il monitoraggio della campagna Ero Straniero (promossa dai Radicali Italiani, insieme a molte associazioni tra cui ASGI, Arci, Cild, ActionAid, Oxfam, ACLI, Legambiente), per quanto riguarda il primo canale legale della sanatoria ad oggi sono state esaminate circa il 5% delle domande (poco più di 10.700), di queste solo lo 0,71% ha concluso la procedura (con il rilascio di 1.480 permessi di soggiorno), mentre il 6% (più di 13 mila) è nella fase precedente della convocazione del lavoratore con il datore di lavoro.

Per il secondo canale, invece, a fine 2020 risultava rilasciato il 68% dei permessi temporanei (8.887 quindi su 12.986 domande presentate), di cui 346 successivamente convertiti in permessi di soggiorno per lavoro. Oltre 40 prefetture in tutto il territorio non hanno ancora avviato le procedure, mentre si procede a rilento, come si nota, in tutte le altre – stando ai dati dei primi mesi dell’anno. Solo qualche esempio: a Roma 900 sono le domande in trattazione su 16 mila, a Caserta 10 erano le convocazioni su oltre 6 mila domande, a Milano su oltre 26 mila richieste sono 289 le pratiche avviate. Insomma, con questi ritmi, il completamento delle procedure finirebbe – seppure – solo nel 2033, denuncia l’associazione milanese Naga.

Le ragioni dei ritardi

“Tutte le critiche che avevamo posto si sono verificate, si vede che la procedura non è solo stata pensata male, ma ha evidenti limiti dovuti ai requisiti stringenti,” ci dice Stefano Bleggi, coordinatore di MeltingPot, progetto attivo nella campagna “Siamo qui. Sanatoria subito.”

“Le ultime circolari sono arrivate a luglio scorso e alcune note ministeriali sono state emesse anche successivamente alla chiusura della sanatoria: tra queste anche quella sull’idoneità alloggiativa, non specificata prima nel decreto-legge, ma richiesta solo dopo dalle prefetture al lavoratore straniero. Sta creando non pochi problemi: dovrebbe essere concessa dal datore di lavoro, ma spesso questi non danno disponibilità di alloggio e i migranti non possono contare su un contratto d’affitto o avere la facilità di amici o conoscenti che possono collaborare.”

Come spiega – sempre a MeltingPot – Fabrizio Coresi di ActionAid i ritardi sarebbero imputabili anche alla mancata o ritardata attivazione del personale nelle prefetture, che si sarebbe dovuto occupare dei documenti inerenti alla regolarizzazione, di avviare così le convocazioni. Ovvero sono mancati centinaia di lavoratori interinali e mediatori – precari – chiamati a risolvere le domande di altri lavoratori, stranieri e precari. “Un ritardo grave di organizzazione,” continua Bleggi: “Il Ministero non ha attivato assunzioni nonostante la previsione che il numero di procedure (già corposo, nonostante fosse un terzo della platea potenziale) potesse allargarsi anche ai richiedenti asilo secondo le ultime disposizioni relative al primo canale. Invece continua il rimpallo di responsabilità tra prefetture, Inps e Ispettorato del lavoro, dato che l’iter necessita di continue verifiche incrociate.”

Alle lungaggini burocratiche si è poi aggiunta in ultimo anche una circolare, una nota dell’Interno (del 21 aprile 2021), che ostacolerebbe, invece di favorire, lo stesso intento della sanatoria in vigore. Infatti, la cessazione dell’impegno di lavoro del migrante con il datore di lavoro in questi mesi potrebbe far decadere la sua richiesta di regolarizzazione, inviata proprio in virtù di quella relazione lavorativa mesi addietro, ma viziata dalla lunga attesa e dalla volontà del datore di lavoro nel continuare o meno l’impegno stagionale. Il tutto in una situazione di precarietà endemica. Una prospettiva subito definita “Illogica e illegittima” dalle associazioni per i diritti umani che seguono l’iter da oltre nove mesi, che chiedono quantomeno un permesso di attesa occupazione per il lavoratore.

Una sanatoria “da sanare” in più punti: intanto, in numerosissimi sono ancora senza documenti, senza la possibilità di firmare un contratto di lavoro o di affitto, di aprire un conto corrente, senza poter accedere a cure mediche, figurarsi al piano di vaccinazione nazionale – non bastasse, nei campi, mancano ancora braccianti (circa 50 mila secondo la Coldiretti).

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Le proteste

Non si è fatta attendere la reazione dei diretti interessati. I lavoratori migranti e le associazioni di attivisti che nei mesi hanno aiutato la grande mole di lavoratori a presentare le domande hanno già manifestato il proprio dissenso in piazza in diverse città, come Torino, Milano, Brescia, Roma, Napoli, Bologna, Foggia nelle giornate del 12 e 29 aprile, del Primo maggio.

A Milano è attivo il coordinamento “Non possiamo più aspettare,” che mette in contatto migranti, lavoratori e associazioni di categoria, al fine di mobilitare energie per sbloccare la sanatoria. “È il problema più urgente, ma ne provoca altri a catena,” ha detto a Radio Onda D’urto Edda Pando, promotrice del gruppo: “Sono bloccate tutte le pratiche per il disbrigo del soggiorno, ci sono problemi sui rinnovi dei permessi, anche per coloro già convocati, ci sono ritardi per la questura per chi deve fornire le impronte digitali – in alcuni casi l’attesa è di più di sette mesi. In tantissimi sono in balia di questo limbo, i ritardi sui diritti di cittadinanza sono generali, sicuramente accentuati dal Covid.”

Il ricatto sociale della mancanza di documenti

Il tema dei diritti ai lavoratori e ai migranti si inserisce nella più ampia rivendicazione della cittadinanza, di residenza e di documenti degli stranieri in Italia (come alla parallela richiesta di chiudere i CPR): la mancanza di basi legali è, a tutti gli effetti, un ricatto sociale che ha come conseguenza l’accettazione forzata di bassi salari e ridotta qualità della vita, in un circolo vizioso senza fine. L’Italia ha una lunga storia di regolarizzazioni nell’ultimo trentennio (l’ultima nel 2012), rese continuamente necessarie soprattutto per la mancanza di vie legali di entrata per i flussi migratori – la cui disciplina in vigore rimane la legge Bossi-Fini – e di una politica migratoria concentrata più sui rimpatri che sull’accoglienza.

“Dalle denunce passeremo alle mobilitazioni, previste in tutto il territorio intorno alla giornata del 19 maggio, a un anno dalla sanatoria del 2020,” conclude Stefano Bleggi, “per chiedere di togliere il requisito dell’idoneità alloggiativa, rivedere i parametri e intervenire sul permesso di soggiorno a chi è in procedura, così da permettergli di avere diritti basilari. Per evitare il più possibile di avere poi dinieghi dalla procedura, che per i richiedenti significherebbe solo esser stato un costo totalmente inutile.”

Il giorno prima, 18 maggio, sarà in strada anche la Lega dei Braccianti di Aboubakar Soumahoro. Non ultimi, infatti, i braccianti – in origine i prioritari destinatari della regolarizzazione – continuano ad esser bersaglio e vittime di caporali, come avvenuto nell’ultimo caso a Foggia, nell’attacco costato un occhio al maliano Sinayogo Boubakar. Non va meglio nel sud pontino, nella comunità sikh di Sabaudia, in provincia di Latina: al momento la località è zona rossa, per la presenza di 80 indiani positivi, che – come denunciato precedentemente dal sociologo e giornalista Marco Omizzolo – hanno continuato a lavorare pur malati, senza protezioni o tutele. L’irregolarità continua a produrre caporalato, e viceversa. Lo afferma anche il V rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FlaiCgil: i lavoratori ancora sotto caporalato in Italia sono una media stimabile di 180 mila circa, le aree sensibili sono equamente distribuite in tutto il territorio italiano, da nord a sud.

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