Mario Draghi con il primo ministro ad interim Dbeibeh
Foto Presidenza del Consiglio dei Ministri
La prima visita di Draghi in Libia si è svolta in sostanziale continuità con l’azione dei governi precedenti, tra strette di mano e larghi sorrisi a responsabili di torture
Al termine della propria “visita lampo” in Libia, il presidente del Consiglio Draghi ha rilasciato una dichiarazione in cui — dimostrando una conoscenza non solidissima della storia delle relazioni italo-libiche — ha parlato di “momento unico” per ricostruire “un’antica amicizia e una vicinanza che non ha mai conosciuto pause,” “guardare al futuro” e rilanciare una cooperazione “in campo progettuale […] in campo energetico, in campo sanitario, in campo culturale” e, infine, anche “in campo migratorio.” Sotto questo punto di vista, liquidato in poche parole, Draghi ha espresso “soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi,” dicendo che “il problema” non è solo geopolitico “ma anche umanitario” e riguarda tutta l’Europa.
Ancora una volta, le dichiarazioni del governo italiano sulla Libia si dimostrano lontane anni luce dalla realtà dei fatti: giornalisti, organizzazioni umanitarie e agenzie delle Nazioni Unite denunciano da anni che la Libia non opera “salvataggi,” ma deportazioni, detenzioni arbitrarie, torture e omicidi. Da quando, a fine 2018, l’Onu ha parlato di “orrori inimmaginabili” nei centri di detenzione libici — quelli che perfino il papa non ha avuto problemi a definire “lager” — non è cambiato molto: l’ultimo rapporto degli ispettori delle Nazioni Unite parla di “tortura, violenza sessuale e di genere, lavoro forzato e uccisioni” nei campi di prigionia, giustificati dalle stesse forze armate di Tripoli come “una necessità della politica migratoria degli Stati membri dell’Unione europea.” È di tutto questo che Mario Draghi si è definito “soddisfatto.”
Qualcuno, dentro e fuori dal Pd, ha protestato per le sue parole: sia Fratoianni sia Orfini hanno definito “inaccettabili” le affermazioni del presidente del Consiglio. Sul piano politico è difficile però che cambi qualcosa: i governi che si sono susseguiti dal 2017 hanno mostrato una perfetta continuità sul fronte delle migrazioni e delle relazioni con la Libia.
Mentre Draghi parlava con il proprio omologo libico, alcuni rifugiati sudanesi in Libia hanno protestato di fronte agli uffici dell’UNHCR per denunciare le violenze e i soprusi a cui sono sottoposti. Infomigrants ha parlato con la portavoce dello Iom Safa Msehli per cercare di ricostruire di preciso cosa succede ai migranti quando vengono riportati in Libia, visto che i membri dello Iom sono spesso presenti al momento dello sbarco dei respinti. Al loro arrivo gli viene consegnata una scatola con dentro succhi di frutta e snack, poi la maggioranza di loro — tutti quelli che non hanno problemi di salute — vengono direttamente imprigionati nei centri di detenzione arbitraria, senza che gli venga fornita alcuna informazione sul loro futuro — spesso, per uscirne è necessario pagare, e se non si ha soldi si rimane bloccati al loro interno anche per diversi mesi.
Contemporaneamente, la presidente della Commissione europea von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Michel hanno incontrato l’altro grande “guardiano” dei confini esterni europei: il presidente turco Erdogan, con cui l’Unione europea ha siglato nel 2016 un accordo da 6 miliardi di euro per trattenere in territorio turco milioni di rifugiati siriani. Rispetto a Draghi in Libia, von der Leyen e Michel hanno provato almeno a salvare la forma, esprimendo “profonde preoccupazioni” per il rispetto dei diritti umani in Turchia: “I temi che riguardano i diritti umani non sono negoziabili, hanno la priorità assoluta,” ha detto von der Leyen, riferendosi esplicitamente al ritiro del paese dalla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Non basta però a rimettere in discussione la “cooperazione” in materia migratoria, anzi: von der Leyen ha annunciato che “presto” la Commissione farà una nuova proposta alla Turchia per offrire “migliori opportunità” a migranti e rifugiati e rafforzare l’impegno di Ankara a “prevenire le partenze irregolari.” L’incontro è stato contrassegnato da un discutibile siparietto in cui Erdogan ha sostanzialmente lasciato von der Leyen senza sedia durante le fasi iniziali del meeting.