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in copertina, illustrazione cc Daniel Arrhakis

Soltanto nel 2019 a Rio la polizia ha ucciso 1810 persone, il numero più alto dal 1998 — e in costante aumento dal 2013, con veri e propri massacri nelle favela, che coinvolgono spesso minori, madri e bambini

Per il terzo anniversario della morte di Marielle Franco, la casa editrice Tamu edizioni ha pubblicato in collaborazione con l’editore argentino Tinta Limón il libro “Laboratorio favela – Violenza e politica a Rio de Janeiro.” È una raccolta di sue interviste e scritti, che comprende anche la tesi di laurea di Franco sulle Upp, le unità di polizia pacificatrice inviate nelle favela per contrastare la criminalità. Il testo sottolinea il valore politico del pensiero socialista della consigliera di Rio, che voleva portare nello spazio pubblico le istanze delle donne, delle minoranze, e soprattutto della povertà, matrice di tutti i problemi che lo Stato brasiliano ha deciso consapevolmente di non risolvere.

“Sono una donna nera ma ho detto spesso che prima di rivendicare e comprendere cosa significasse essere una donna nera in questo mondo, io ero già una favelada. Sono nata e cresciuta nella Maré.” Marielle Franco era una politica socialista, uccisa il 14 marzo da Ronnie Lessa e Élcio Vieira de Queiroz, due sicari ed ex poliziotti ora detenuti con l’accusa di essere gli esecutori materiali di Franco e del suo autista Anderson Gomes.

Rio de Janeiro è uno degli Stati brasiliani più violenti, controllato da narcotrafficanti e dalle milizie paramilitari, a cui appartenevano gli assassini di Marielle Franco. A Rio nel 2019 la polizia ha ucciso 1810 persone, il numero piú alto dal 1998 e in costante aumento dal 2013, tanto da evocare veri e propri massacri nelle favela, che coinvolgono spesso minori, madri e bambini. Le vittime della polizia sono soprattutto uomini neri e giovani appartenenti a classi povere. Nel 2017, secondo i dati dell’Atlante della violenza, pubblicato dal Brazilian Forum for Public Safety (FPSP), il numero di brasiliani neri uccisi era tre volte superiore rispetto ai bianchi con un tasso di omicidi che ha raggiunto 68 persone nere uccise ogni 100 mila abitanti.

Le Unità di polizia pacificatrice (Upp) sono gruppi speciali della polizia federale di Rio, inviati per la prima volta nella favela di Santa Marta nel 2008, che agiscono con l’obiettivo di “smantellare gruppi criminali e promuovere le condizioni di cittadinanza.” Si potrebbe definire una forma di “polizia comunitaria” che nella tesi di Marielle Franco si è trasformata in “una politica che consolida lo stato penale, con l’obiettivo di controllare chi non è contemplato o chi è escluso da questo processo, ossia i poveri e i ghettizzati. Reprimere le classi povere e non punire, invece, i reati delle classi più abbienti.”

“Le Upp sono state la grande narrazione della pacificazione delle favelas, messa in piedi con la pubblicità della politica regionale e nazionale, quindi anche del partito socialista (Pt) di Lula e Dilma,” spiega a the Submarine Emiliano Guanella, corrispondente da San Paolo per la Radio Televisione Italiana in Svizzera. Insieme alle Upp, anche l’esercito ha occupato più volte le favela e in particolare la Maré: “Si è voluta creare l’idea prima delle Olimpiadi del 2016 che il Brasile di Lula non solo era diventato il riferimento dei Paesi in via di sviluppo, ma anche un paese pacificato.” In “Laboratorio favela” sono contenuti anche i numeri di queste occupazioni: nel periodo compreso tra aprile 2014 e marzo 2015 il governo federale ha speso 461 milioni di reais brasiliani, circa 41,9 milioni di reais al mese, per l’occupazione della Maré.

Nella sua tesi Franco spiega la genesi delle Upp, ispirate al “modello” colombiano e prende in considerazione il paragone tra Rio e Medellín, città colombiana capitale dei narcos che in effetti ha visto una riduzione della violenza e della criminalità grazie all’impiego massiccio delle squadre anti crimine. “Quello delle Upp è un modello che a Rio ha fallito clamorosamente. È stato un progetto di comunicazione. Medellín è la città più avanzata per recupero sociale di quartieri, dove sono stati realizzati un rete di centri culturali ovunque con biblioteche e una teleferica che collega le varie zone della città,” spiega Guanella. In Brasile queste politiche di occupazione non hanno funzionato perché non sono state accompagnate da politiche sociali. In quartieri dove non esistono reti di trasporto di collegamento con la “città”, o infrastrutture di base come le fogne, lo Stato di Rio ha pensato di portarci le Upp senza effettivi fondi strutturali: “Nella favela di Rocinha, la più grande della città, il governo ha costruito un campo di mini-golf,” sottolinea Guanella.

Marielle Franco nel 2016, foto via Flickr

A queste conclusioni era arrivata anche Marielle Franco, prima della sua laurea in amministrazione pubblica all’università fluminense. Analizzando nel dettaglio le politiche di occupazione e sterminio della popolazione povera nelle favela, alimentate dalla condiscendenza della cittadinanza “reale” e dalla media borghesia brasiliana, Franco auspica che i battaglioni di polizia si possano trasformare un giorno in Unità di politiche pubbliche. Le donne favelade appartenenti alle minoranze subiscono maggiormente la politica della violenza: dello Stato, dei narcos, delle milizie e mafie locali. “La realtà è che se i favelados non scendessero e uscissero dalle favelas per raggiungere la città asfaltata e svolgere vari lavori, inclusi i lavori nelle case e al servizio dei ceti medi o alti della società, la città praticamente si paralizzerebbe, dal momento che la classe lavoratrice proveniente da quegli spazi non andrebbe al lavoro,” afferma Franco nella sua tesi.

“Oggi Rio è in bancarotta. Il presidente del consiglio comunale e regionale sono in galera. Le infiltrazioni sono chiare e alla luce del giorno. La situazione è peggiorata con la pandemia,” afferma Guanella, segnalando la situazione sanitaria in Brasile, il paese con più morti dopo gli Stati Uniti. Wilson Witzel, ex governatore dello stato di Rio del Partito sociale cristiano (Psc), era stato sospeso dal suo incarico dalla Corte Suprema di Giustizia brasiliana nell’agosto 2020, per presunta corruzione. L’accusa è di appropriazione indebita di fondi destinati alla lotta al coronavirus. L’ultimo arresto in ordine cronologico è quello di Marcelo Crivella, sindaco uscente di Rio arrestato a dicembre 2020 con l’accusa di corruzione. Crivella è un pastore della setta degli evangelici, che dilaga in Brasile e ha raggiunto i vertici più alti delle istituzioni e dello Stato, con l’elezione del presidente Jair Bolsonaro nel 2018.
L’8 marzo la Corte suprema brasiliana ha annullato quattro sentenze di condanna emesse contro Inácio Lula, faro del Partito dei lavoratori (Pt) nell’ambito della maxi inchiesta Lava Jato (Autolavaggio) per corruzione che ne aveva impedito la candidatura alle presidenziali del 2018. La decisione annulla le sentenze e il processo dovrà ricominciare, ma riabilita Lula alle presidenziali del 2022. 

Il mito del Brasile socialista nel solco di Lula e Dilma si è annientato contro la corruzione dilagante e le disuguaglianze che lo divorano dall’interno. Non si tratta solo di cultura della polizia, dice Marielle Franco in un discorso del dicembre 2017, ma è qualcosa di “più profondo.” Una consapevolezza che ha dato fastidio a qualcuno, sicuramente alle milizie delle favela. La profondità riguarda la natura dei rapporti che legano le milizie a politici e imprenditori, quei rapporti che l’inchiesta sulla morte della consigliera di Rio non è stata ancora in grado di consegnare alla giustizia. 

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