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In una lettera firmata dall’ad Marco Piuri, inviata a tutti i prefetti della Lombardia, si chiedono “servizi di scorta ai treni” contro i rider che “prendono d’assalto” i treni, perché osano voler tornare a casa la sera. La minaccia è di tagliare del tutto molte corse serali

A molti lombardi capita spesso di prendere un treno di Trenord, ma non molti lombardi sanno chi è Marco Piuri, l’amministratore delegato della compagnia che eroga il servizio di trasporti regionale. Forse è legittimo che l’amministratore delegato non abbia interesse ad essere un personaggio pubblico: l’opinione su Trenord dei cittadini lombardi è così bassa che dirigere un’azienda la cui inefficienza è un vero e proprio meme non è esattamente qualcosa di cui vantarsi.

Ieri però Piuri ha inviato a tutti i prefetti della Lombardia una lettera contenente alcune dichiarazioni che meriterebbero di essere analizzate meglio. L’ad si è infatti lanciato contro gli utenti del servizio, minacciando di tagliare ulteriormente le corse di alcuni treni serali se “non cambierà qualcosa.” Ma cosa c’è che non va in chi prende il treno dopo una certa ora, secondo Piuri?

Oltre al “degrado,” l’assessore si scaglia infatti contro “il problema ormai non più gestibile, per la dimensione che ha assunto, dei ciclofattorini (i cosiddetti ‘rider’) che utilizzano i nostri treni per recarsi dall’hinterland nelle città e fare ritorno a tarda sera, caricando sui treni le loro biciclette e gli ingombranti cassoni per il trasporto di cibo.” Secondo quanto riporta il Giorno, Trenord avrebbe cercato di “arginare il fenomeno imponendo un divieto di trasporto di un quantitativo eccessivo di biciclette e individuando su alcuni treni intere carrozze riservate alle bici.”

Questo provvedimento sorprendente, confermato anche da Piuri, conferma quanto ai più maliziosi come chi scrive questo articolo sembrava già allora un provvedimento esplicitamente anti-rider e fondamentalmente razzista dato che tra i cosiddetti rider, negli ultimi anni, sono molto numerosi i giovani di origine africana. Il provvedimento risale allo scorso giugno e aveva causato una vera e propria sollevazione da parte dei rider, che si erano visti togliere il mezzo per andare al lavoro sostanzialmente senza motivo giustificato.

Molti rider, infatti, lavorano a Milano ma abitano fuori città, costituendo di fatto un caso particolare di pendolarismo. Oltre alla libera scelta di dove porre la propria dimora, la ragione di questo pendolarismo può essere anche rintracciata nel fatto che negli ultimi anni gli affitti a Milano siano cresciuti fino a diventare sempre più insostenibili per persone con un introito non granché elevato come i ciclofattorini.

A giugno un rider era anche stato arrestato — secondo quanto si può desumere dalle testimonianze circolate allora, con violenza eccessiva — dalla polizia quando aveva provato a salire comunque su un treno di Trenord alla stazione di Milano-Bicocca. Nei giorni successivi il video dell’arresto, diffuso dalla pagina di Deliverance Milano, aveva sollevato un piccolo caso in città, con l’organizzazione di due biciclettate per le strade milanesi che chiedevano “Justice for Emma.” Emma, il rider coinvolto, è stato poi rilasciato e denunciato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale.

Grazie anche alla risonanza di questo spiacevole fatto di cronaca, tra i rider e Trenord era stato raggiunto un compromesso: i ciclofattorini avrebbero potuto ricominciare a prendere i treni, e Trenord avrebbe garantito loro alcuni spazi sui convogli dedicati al trasporto delle bici, su cui avrebbero potuto trovare posto dai 70 ai 100 rider, secondo quanto riportava a giugno Repubblica.

A Piuri però la novità non dev’essere andata giù, o forse non dev’essere stato informato dei numeri, perché nella lettera ai prefetti si mostra sorpreso: “tuttavia,” sostiene infatti, “anche questa misura non ha funzionato: i ‘rider’ hanno ripreso a prendere d’assalto i treni; su alcuni convogli abbiamo contato anche oltre 100 biciclette, con conseguenti disagi, ed anche rischi concreti, per gli altri viaggiatori.”

A parte il linguaggio odioso preso di peso dal vocabolario con cui si raccontano le migrazioni oggigiorno — perché i rider “prendono d’assalto” mentre i pendolari “salgono” sui treni? — da tutta la lettera emerge come i rider sembrino di fatto considerati un problema dalla direzione dell’azienda. Piuri nella sua lettera unisce infatti in un unico calderone i rider e “sbandati, tossicodipendenti, persone senza fissa dimora, che spesso bivaccano sui treni senza avere necessità di recarsi in alcun luogo preciso. Tutti senza biglietto, tutti nel disprezzo delle norme vigenti.”

È importante notare che anche queste categorie di persone sono profondamente svantaggiate, e necessiterebbero di un intervento sociale specializzato di qualunque tipo anziché della “soluzione” invocata da Piuri: un intervento della forza dell’ordine pubblica, con “servizi di scorta ai treni né attività di filtro nelle stazioni.” Una richiesta simile punta esclusivamente a rimuovere il problema di persone con disagio sociale e a nasconderlo sotto il tappeto.

Fatta questa premessa, è però doveroso segnalare anche che i rider non sono né sbandati né tossicodipendenti, ma lavoratori che hanno come unico obiettivo sacrosanto quello di tornare a casa alla fine di una giornata di lavoro. Il fatto che la dirigenza di Trenord li identifichi sostanzialmente nello stesso modo di persone senza fissa dimora o affette da tossicodipendenza la dice lunga su quale sia la loro visione di chi non è ricco, bianco, lombardo e va al lavoro in giacca e cravatta.

Per finire, Piuri minaccia una mossa che per queste persone potrebbe significare perdere il lavoro: tagliare le corse serali, frequentate prevalentemente dai rider. A dire il vero, negli ultimi mesi, Trenord si è dimostrata troppo volenterosa di tagliare le corse per non lasciare nessuno spazio al dubbio che quella dei rider sia anche una scusa per ridurre i costi del servizio, specie ora che il numero dei passeggeri è drammaticamente diminuito. Il taglio dei treni sarebbe figlio di una visione amministrativa per cui l’obiettivo primario è il profitto dell’azienda, e non fornire un servizio ai cittadini. E andrebbe, ancora una volta, a scapito dei più deboli e di chi viene sfruttato.

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