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Il licenziamento di Mark Esper da segretario alla Difesa da parte di Trump, e il via libera dato da William Barr alle indagini sui brogli — di cui continuano a non esserci prove — sono segnali allarmanti

Sta diventando chiaro che le minacce di Trump non sono solo parole. Il procuratore generale Barr, in un memorandum assurdo, ha dato il via libera ai procuratori federali per investigare su “specifiche accuse” di brogli elettorali prima che il risultato delle elezioni venga certificato. Si tratta di una rottura senza precedenti con le norme — il dipartimento di Giustizia si è sempre tenuto alla larga dalle materie elettorali. Già un mese fa, a inizio ottobre, Barr aveva dato il permesso ai procuratori di annunciare indagini su possibili frodi elettorali anche prima delle elezioni, ma questa seconda operazione è di gravità molto maggiore, tanto che il funzionario al dipartimento di Giustizia che si occupa di brogli elettorali, Richard Pilger, ha annunciato le proprie dimissioni nel giro di poche ore.

Trump, intanto, continua a twittare e retwittare accuse non sostanziate riguardo al risultato elettorale — scrivendo di nuovo che dove si contano solo “i voti legali” certamente ha vinto lui e diffondendo teorie del complotto sul collegamento tra le macchine che contano i voti e la Clinton Global Initiative, mentre invece continuano a non esserci prove che siano avvenuti brogli. Sempre su Twitter, il presidente ha annunciato il licenziamento del segretario alla Difesa Mark Esper, che a dire il vero era stato dato per morto già mesi fa. Inizialmente il capo del Pentagono aveva tenuto il passo con Trump, facendo ben poco per fermare il blocco agli aiuti militari in Ucraina, il fronte per cui Trump ha rischiato l’impeachment. Esper era così docile con l’amministrazione da meritarsi il soprannome di “Yesper.” Un soprannome umiliante, che perfino il presidente ha usato con la stampa. Solo la scorsa estate il Pentagono e la Casa bianca hanno iniziato a distanziarsi: in particolare, il momento della rottura è stata questa conferenza stampa del 3 giugno, durante la quale Esper ha detto che non avrebbe supportato l’attivazione dell’Insurrection Act per inviare l’esercito nelle città statunitensi e reprimere le proteste di Black Lives Matter. Da allora, moltissimi commentatori davano per scontato il suo licenziamento — il fatto che sia successo questa settimana, però, rende particolarmente preoccupante l’azione del presidente.

Negli ultimi mesi Esper aveva tenuto un profilo più basso, con l’eccezione dell’annuncio della messa al bando della bandiera degli Stati confederati dalle basi militari, e aveva già preparato una lettera di dimissioni in caso arrivasse un giorno di pioggia. La dinamica del suo licenziamento resta avvolta nel mistero: il licenziamento di Esper avrebbe dovuto far passare automaticamente la carica, pro tempore, al suo vice Norquist, e invece Trump ha nominato un sostituto ad interim, il direttore del Centro nazionale antiterrorismo Christopher Miller. Contattato dalla stampa, il Pentagono non ha saputo spiegare perché la carica non sia passata a Norquist, che rimarrà vicesegretario. Miller ha un curriculum molto breve per l’incarico che gli è stato assegnato, ma in compenso, quando era stato interrogato dal Senato per la propria precedente nomina aveva rifiutato di promettere che non avrebbe usato strumenti di intelligence nei confronti di cittadini statunitensi in base alle loro idee politiche. Una fonte di CNN ha espresso la preoccupazione che la sostituzione di Esper sia un primo passo verso la rimozione dei direttori di FBI e CIA.

Vi ricordate quando, venerdì scorso, Trump aveva detto che il processo elettorale in Georgia fosse in mano ai democratici, dimenticandosi che il segretario di Stato locale fosse Brad Raffensperger, un candidato di cui aveva fatto esplicitamente un endorsement? Qualcuno deve averglielo detto: i senatori repubblicani della Georgia Kelly Loeffler e David Perdue infatti ieri ne hanno chiesto le dimissioni, accusandolo di aver gestito il processo elettorale in modo “fallimentare,” ma senza dare dettagli su quali sarebbero le basi delle loro accuse. Il fallimento, evidentemente, è stato permettere il voto anche di persone che non hanno votato per Trump: una lettura che sembra essere confermata anche da Raffensperger stesso, che non solo dichiara che non ha nessuna intenzione di dimettersi, ma parla di un “grande successo” da “un punto di vista amministrativo,” e minimizza l’attacco dei colleghi di partito: “So che la tensione è alle stelle.”

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