cover-omobitransfobia

Nonostante le pressioni dell’estrema destra e dei gruppi cattolici, fatti tragici come l’omicidio di Maria Paola Gaglione dimostrano che serve un avanzamento culturale e legale decisivo. Ma la strada è ancora lunga

Una giovane di Caivano, in provincia di Napoli, Maria Paola Gaglione, è stata uccisa dal fratello perché frequentava un uomo trans. Il fratello l’ha speronata in motocicletta, sostenendo di non volerla uccidere, ma solamente “darle una lezione” perché a suo dire “oramai era infetta.” È l’ennesimo esempio di come, in Italia, l’omotransfobia uccide, e che — in attesa di un più profondo progresso culturale — sia necessaria una legge al riguardo. Alessandro Zan, deputato del Pd e primo firmatario di un ddl contro omotransfobia e misoginia, si è detto “sconvolto” per l’accaduto e ha ribadito che la legge non è più rinviabile.

Solo un mese fa si è tenuto il funerale di Elisa Pomarelli, ad un anno esatto dalla sua morte: una storia tragica, che può essere considerata un campionario di quanto non funziona nei meccanismi giuridici e nella narrazione della stampa italiana di oggi. Pomarelli è stata uccisa dopo un rifiuto da un suo “corteggiatore,” il quale non si è visto assegnare la fattispecie dell’omicidio aggravato — che, in assenza di una legge specifica, avrebbe potuto essere quello di femminicidio — e l’identità di genere della vittima è stata di fatto cancellata dai media, secondo un comunicato congiunto delle principali associazioni lesbiche italiane.

È difficile dare un quadro esaustivo del numero di crimini d’odio a sfondo omobitransfobico commessi ogni anno in Italia. Ci ha provato il Centro risorse LGBTI, un’associazione che si occupa di violazione di diritti umani e discriminazioni verso le persone della comunità, che ha pubblicato ad agosto il paper Hate Crimes No More. Il campione della ricerca è piuttosto contenuto, ma ben esemplificativo. I 672 partecipanti hanno scelto di condividere con il centro tutto quanto gli è accaduto — insulti, minacce, violenza. Il dato forse più inquietante è la percentuale di sommerso che si può intuire dietro questi numeri: solo il 6,7% di chi ha subito manifestazioni omobitransfobiche ha sporto denuncia.

fonte Hate Crimes No More

Altri dati molto interessanti riportati nel paper riguardano la copertura stampa dei crimini d’odio di questo tipo, che — come accennavamo — è spesso scadente. La copertura, almeno a livello di quantità, è in aumento: il che, se da un lato segnala la gravità del fenomeno, dall’altro segnala una crescente sensibilizzazione verso il tema. Ma l’aumento delle voci che parlano a riguardo mostra anche come i media siano spesso poco preparati a coprire questo tipo di fatti, mancando anche del lessico essenziale e testimoniando una profonda arretratezza — quando non una visione omobitransfobica di per sé.

Anche nel caso Gaglione si sono avuti tristi e buoni esempi di questa inadeguatezza, con mezzi di comunicazione di massa che decidono di parlare di “Cira, che sta per diventare uomo” riferendosi al ragazzo della vittima. Lo ha fatto ad esempio il Tg2 con un servizio del tutto inadeguato alle circostanze, seguito dal Tg1, che ne ha effettuato un altro solo un po’ meno discutibile.

In Italia, i crimini d’odio sono disciplinati prevalentemente dalla Legge Mancino, che però è assai carente sia come ambiti di applicazione che come effettiva funzionalità. La legge è stata concepita all’inizio degli anni Novanta soprattutto per limitare la violenza delle associazioni alneofasciste, e punisce di fatto solo chi “incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.” In questi anni non è stata sufficiente nemmeno nell’ambito per cui è stata pensata — ed è al momento praticamente inapplicabile per i reati omobitransfobici, visto che l’orientamento sessuale non è nemmeno segnalato come uno dei “motivi” della violenza che si persegue.

È proprio in questo senso che si muove il ddl Zan: che non è una proposta di un nuovo articolo in senso stretto, ma una serie di modifiche a diversi altri articoli che regolamentano i diritti e la discriminazione in Italia. Tra cui la legge Mancino, che verrebbe emendata per includere anche le specifiche di genere, orientamento sessuale e identità di genere. Ciò ha il pregio di inserire il provvedimento nella cornice fortemente antifascista, ma potrebbe limitarne o renderne difficile un’applicazione sistematica ed efficace — proprio come per la legge Mancino attuale. Anche se la legge non risolverebbe tutti i problemi di una società ancora fortemente patriarcale, sarebbe senza dubbio un progresso e un ottimo punto di partenza per una maggiore inclusività in tutto il paese.

Il percorso della legge Zan continua ad incontrare una forte opposizione soprattutto nei partiti di destra come Lega e Fratelli d’Italia. E — ancora di più, forse — nei gruppi conservatori cattolici e pro-vita, che sembrano negli ultimi anni avere deciso di investire per provare a limitare le spinte progressiste che hanno portato, ad esempio, alla promulgazione delle unioni civili con la legge Cirinnà, nel 2016. La proposta di legge viene spesso definita con termini come “liberticida” o “bavaglio alla libertà d’espressione” — una strategia che si vede spesso da parte di chi ha interesse al fatto che il discorso d’odio e i reati a sfondo discriminatorio non vengano limitati, ad esempio, sui social network, quando la destra si esibisce in lunghi piagnistei non appena si parla di una stretta contro il razzismo online.

Al momento, la legge Zan è impantanata nelle dinamiche parlamentari — complice l’opposizione ostruzionista di Lega e FdI, che hanno presentato centinaia di emendamenti per rallentarne il percorso. I due partiti hanno inoltre presentato una pregiudiziale di costituzionalità sulla legge, rallentandone ulteriormente il percorso, e non tornerà alla Camera prima di ottobre. L’effettiva approvazione potrebbe non avere luogo prima dell’anno prossimo, ed è sottoposta a diverse incognite numeriche: una su tutte quella di Forza Italia, la cui dirigenza ha lasciato ai parlamentari libertà di coscienza e di voto sulla questione, ma anche la componente cattolica del Pd, che potrebbe non gradire il testo per com’è formulato al momento.

Un’opposizione che si manifesta bene — anzi, forse con particolare gravità — a livello locale: la regione Lombardia, solo all’inizio di settembre, ha respinto la proposta formulata dal M5S di iscriversi a Re.A.Dy, una rete composta da regioni, province autonome ed enti locali per prevenire e contrastare contrastare le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. La regione è nota per le sue posizioni conservatrici estremiste — basti ricordare la scritta FAMILY DAY apparsa sul Pirellone nel 2016 contro il varo delle unioni civili.

Tutto questo sotto la costante pressione delle associazioni e dei potentati che sembrano voler continuare ad esercitare quello che assomiglia a un diritto all’odio e alla discriminazione. Un esempio? La Cei — Conferenza episcopale italiana, secondo cui la legge Zan “limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.” Gli stessi argomenti, formulati con una retorica più educata, che si potrebbero cercare sugli angoli dei social network più frequentati dall’estrema destra.

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