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Il caso dello sbarco “fantasma” di una decina di migranti a Chios, poi ritrovati sulle coste di un isolotto a poca distanza dalle coste turche, rafforza il sospetto che il governo greco stia praticando una politica sistematica di deportazioni e respingimenti illegali

La Grecia sembra avere un grosso problema con lo stato di diritto e gli abusi di potere. A farne le spese questa volta sono sia i migranti che i cittadini greci. Negli stessi giorni in cui il New York Times ha rivelato l’esistenza di uno schema illecito attraverso cui il governo maltese appalta i respingimenti in mare a pescherecci privati, sono emersi documenti che proverebbero la manifesta e sistematica violazione del diritto europeo da parte della guardia costiera greca e del governo stesso.

A fronte di una situazione già particolarmente compromessa, dovuta al sovraffollamento degli hotspot e all’impossibilità di applicare le regole di distanziamento sociale, nell’ultimo mese e mezzo il governo greco ha deciso di inasprire la politica dei respingimenti in mare, illegali sotto il profilo del diritto internazionale ed europeo, arrivando a vantare nei giorni scorsi il risultato degli “zero sbarchi.”

Dietro questo risultato, però, c’è il sospetto che anche il governo greco abbia fatto ricorso a vere e proprie deportazioni. Almeno in un caso, su cui in questi giorni sta cominciando a concentrarsi l’attenzione della stampa locale greca, oltre al sospetto c’è anche qualche indizio: si tratta della vicenda di un gruppo di migranti ritrovati la mattina dell’1 maggio dalla Guardia costiera turca sull’isolotto disabitato di Bogaz, nello stretto braccio di mare che divide l’isola di Chios dalle coste turche. 

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In molti, tra cui il deputato di SYRIZA Andreas Michailidis, hanno notato una “strana” coincidenza: giovedì 30 aprile, diversi testimoni avevano visto un gommone con una dozzina di migranti di origine africana approdare a Chios, nella zona di Kallimasia e, poco dopo, una nave della guardia costiera greca allontanarsi in direzione della Turchia, trainando il gommone privo di motore.

Nonostante le foto del gommone e dei giubbotti di salvataggio sulla spiaggia di Monolia, pubblicate dai media locali, le autorità greche hanno sempre negato che fosse avvenuto uno sbarco, sostenendo che il gommone — che poi è stato fatto solertemente sparire — fosse arrivato sulla spiaggia in seguito a un’operazione condotta alcune ore prima dalla guardia costiera turca. 

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Un video circolato nei giorni scorsi e pubblicato da testate greche e turche sembra fare chiarezza sulla vicenda. Il documento mostra infatti la guardia costiera turca nell’operazione di salvataggio di 14 persone, spiaggiate sullo scoglio di Bogaz, in territorio turco, che corrisponderebbero per numero, origine ed età a quelle avvistate a Chios dai testimoni — in particolare per la presenza di un bambino. Resta da chiarire se i migranti siano stati trasbordati sull’isolotto o se siano stati lasciati alla deriva con lo scafo di gomma bucato e privo del motore.

Ad aggravare ulteriormente il quadro, i tentativi di insabbiare l’episodio da parte delle autorità pubbliche sembrano essersi tradotti in atti di velata intimidazione nei confronti dei testimoni, cittadini greci, come raccontato da una delle fonti interessate. Il caso espone in prima persona il ministro per la migrazione e l’asilo Notis Mitarakis, originario di Chios. Il ministro, a fronte della richiesta di chiarimenti mossa dal deputato Michailidis martedì scorso, si è rifiutato di rispondere nel merito.

Mitarakis è al centro di un ulteriore scandalo che riguarda la disposizione per decreto governativo di fondi pubblici secretati a disposizione del suo gabinetto ministeriale e a cui non potrà applicarsi un controllo parlamentare. Secondo le ricostruzioni di analisti e parlamentari di opposizione, questi fondi verranno usati per finanziare misure coercitive e di dubbia legalità nei confronti dei migranti irregolari, coperte dal segreto di stato.

La supposta deportazione avvenuta a Chios sembra però non essere un caso isolato. Si somma infatti ad altri eventi analoghi di cosiddette “imbarcazioni fantasma”, documentati di recente a Samos, che vedono coinvolte decine di migranti scomparsi dopo il loro sbarco. 

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Il fenomeno delle cosiddette “imbarcazioni fantasma” prende piede in un contesto storico particolare. La crisi al confine terrestre con la Turchia, culminata appena due mesi fa con gli scontri tra polizia greca e migranti sul fiume Evros, ha segnato un cambio di stagione nella politica migratoria europea, dimostrando come l’accordo tra Ankara e Bruxelles possa essere messo in discussione da un momento all’altro.

Per garantire l’impermeabilità delle proprie frontiere, la Grecia ha fatto ricorso a diversi strumenti. La sospensione temporanea del diritto di asilo, misura contestata dalle organizzazione internazionali e rimasta in vigore durante il mese di marzo, è stata il principale deterrente contro gli ingressi irregolari, inclusi quelli via mare. 

Il lockdown, iniziato a metà marzo, ha determinato un ulteriore giro di vite: non solo per i richiedenti asilo, ma anche per la società civile, inclusi numerosi operatori umanitari e i giornalisti, che non si sono più trovati nelle condizioni di svolgere il ruolo ruolo di watchdog.

In un colloquio con il commissario europeo Varhelyi, di cui abbiamo potuto leggere un estratto delle note, il direttore di Frontex Fabrice Leggeri ha dichiarato che la cooperazione con la Turchia sulla gestione dei flussi migratori rischia di essere seriamente compromessa alla luce di recenti avvenimenti che coinvolgono il personale dell’agenzia europea e della guardia costiera greca.

Rispetto alle precarie condizioni di vita nei campi profughi delle isole, in seguito alle reiterate pressioni dell’Unione europea, il governo greco ha finalmente acconsentito a trasferire i soggetti più vulnerabili da Lesbo verso la terraferma. Il governo ha a lungo sostenuto che le isole fossero un luogo più sicuro per proteggere i richiedenti asilo dal rischio di contagio. Lo scorso mese il campo di Ritsona, nei pressi di Atene, è stato messo in quarantena dopo che 20 ospiti sono stati testati positivi al coronavirus. Un altro focolaio è stato identificato in un albergo a Kranidi, nel Peloponneso, gestito dall’OIM, in cui 148 su 450 richiedenti asilo hanno contratto il virus.

L’operazione di evacuazione da Lesbo, che ha finora mobilitato 249 persone, dovrebbe concludersi con il trasferimento di circa 2000 richiedenti asilo dal campo di Moria, il quale attualmente ospita oltre 20.000 persone. La gestione dell’evacuazione ha iniziato a mostrare i suoi limiti quando nella serata di martedì 6 maggio è stata data alle fiamme la struttura alberghiera destinata a ospitare i migranti. La stagione di violenze e repressione nei confronti di migranti e ong esplosa lo scorso febbraio sembra essere dunque tutt’altro che conclusa

Edit 6/05, 21.40: in una precedente versione di questo articolo si parlava di una lettera indirizzata al commissario europeo Varhelyi da parte del direttore di Frontex. Si tratta in realtà non di una lettera ma delle note prese in seguito a una videoconferenza.

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