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Regolarizzare gli stranieri non è fare un favore a Salvini: inseguirlo in politiche razziste e amiche dello sfruttamento, sì

La ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, si è detta pronta a considerare le proprie dimissioni nel caso in cui la sua proposta per la regolarizzazione di 600 mila lavoratori stranieri, soprattutto braccianti agricoli, venga bloccata. Un’eventualità che sembra essere concreta, dato che il capo politico del M5S, Vito Crimi, si è dichiarato risolutamente contrario a “fare un favore a Salvini.” L’idea di Bellanova non è particolarmente estremista, consistendo semplicemente nel concedere permessi di soggiorno a lavoratori sfruttati a causa della loro posizione legale critica, ma nel clima razzista diffuso nel nostro paese è bastata per sollevare un polverone.

La proposta di Bellanova nasce, come sembra scontato in questo periodo, da considerazioni di carattere sanitario e pratico sulla gestione dell’emergenza Covid-19. Fin dall’inizio della crisi e del lockdown, è stato evidente che la manodopera necessaria al mantenimento della filiera agricola sarebbe mancata: a metà aprile, Coldiretti lamentava la mancanza di almeno 200 mila persone impiegate nelle attività agricole stagionali. In queste settimane si sono moltiplicati gli spunti per risolvere il problema, da quelli progressisti come quello della ministra a quelli semi-schiavisti avanzati da molti politici e governatori come Stefano Bonaccini, che hanno suggerito di mandare a lavorare nei campi chi riceve il reddito di cittadinanza.

La proposta di una regolarizzazione è sul tavolo da circa un mese ormai, e le reazioni politiche che si sono registrate a riguardo danno un buon quadro di come vengano visti i lavoratori stranieri e in generale i migranti dalla politica italiana: come un soggetto impersonale e indistinto, utile come forza lavoro a basso prezzo, senza coscienza e che va semplicemente utilizzato per questo e quello scopo. Un buon esempio di questo approccio è stata la dichiarazione della ministra dell’Interno Lamorgese, del Partito democratico, che il 21 aprile aveva invitato a regolarizzare non tutti quelli che ne avevano bisogno, ma solo “quelli che servono.”

È molto interessante soprattutto la reazione del Movimento 5 Stelle, che sembra non essere mai riuscito a liberarsi della propria ossessione per l’ex ministro dell’Interno Salvini — con cui è rimasto al governo per più di un anno. Il partito ha raccolto al suo interno diversi approcci e sensibilità sul tema dell’immigrazione nel corso della sua storia, ma tirando le somme degli ultimi dieci anni si può dire che ha sempre prevalso una linea di destra, spesso estrema quanto quella espressa dalla Lega o da altri partiti dell’area.

È stato il Movimento 5 Stelle a cominciare una campagna violentissima contro le Ong impegnate nel soccorso dei naufraghi che rischiavano la vita nel Mediterraneo, seguito poi con grande gioia dalle destre e varie presunte sinistre di tutto il continente. È stato il Movimento 5 Stelle a firmare insieme alla Lega i decreti sicurezza voluti da Salvini. Ed ora è sempre il Movimento 5 Stelle che si oppone ad una regolarizzazione che affronti una delle più grandi ipocrisie della società italiana di oggi, che passa direttamente dalla nostra tavola e dalle nostre case.

Non è esagerato dire che l’industria alimentare italiana si regge sullo sfruttamento degli stranieri e sul loro lavoro nero. Secondo dati diffusi dall’osservatorio Placido Rizzotto in Agromafie e caporalato del 2018, nel 2017 gli stranieri registrati come lavoratori agricoli sono stati 286mila, circa il 28% dei lavoratori totali. Ai quali vanno aggiunti quelli stimati per il cosiddetto “sommerso:” oltre 220mila stranieri assunti in nero, o con una retribuzione inferiore a quella prevista dai contratti nazionali.

Il business del caporalato e più in generale nell’agricoltura italiana vale quasi 5 miliardi di euro e il tasso di irregolarità del settore nel rapporto dell’anno successivo è calcolato al 39%, tanto che si calcola un’evasione contributiva di quasi 2 miliardi di euro. Le aziende che fanno uso di questo tipo di rapporto di lavoro costituiscono di circa il 25% del totale nazionale: cifre altissime, sproporzionate rispetto agli altri paesi europei dove il fenomeno ha misure molto minori, che riguardano tanto il sud quanto il nord del paese, come evidenziato da numerosi rapporti e documenti. E che non è stato risolto dalla legge sul caporalato del 2017.

Secondo quanto riporta Repubblica, Crimi si dichiara contrario alla regolarizzazione “umana” ma favorevole a quella “lavorativa,” sostenendo che l’obiettivo debba essere semplicemente limitare il lavoro nero. “Le ipotesi in campo che prevedono la concessione di permessi di soggiorno temporanei a immigrati irregolari, non aiuta all’emersione di lavoro nero, tutt’altro. (sic) Perché se noi concediamo uno status di regolarizzazione a chi è in Italia illegalmente, consentiamo a queste persone di continuare a svolgere lavoro nero ed essere oggetto di sfruttamento.”

Ma questa posizione, oltre a far sorgere dei dubbi sull’idea di Crimi sull’umanità dei lavoratori, è anche molto superficiale: la regolarizzazione del lavoro, a differenza di quanto sembra ritenere Crimi, passa per forza anche dalla regolarizzazione sociale di queste persone, che solo avendo una posizione legale solida all’interno dello stato in cui lavorano possono chiedere e far valere i propri diritti. Va anche ricordato che l’immigrazione in Italia è ancora regolata dalla draconiana legge Bossi–Fini, che prevede si possa arrivare nel paese in modo regolare praticamente solo se si ha già un lavoro.

Regolarizzare con permesso di soggiorno chi è in Italia e lavora non è una posizione molto forte: è semplicemente il minimo indispensabile in uno stato di diritto. Una posizione più matura per una società che nei prossimi anni e decenni continuerà a convivere con la migrazione e i mutamenti nel mercato del lavoro sarebbe dare a queste persone il diritto di voto, visto che se assunti regolarmente, come vorrebbe anche Crimi, contribuiranno alle entrate fiscali dello stato.

È Crimi a fare un favore a Salvini, continuando a voler alimentare una politica di paura e di segregazionismo impunito, in cui non si deve salvare chi annega per paura della prossima diretta su Facebook dell’ex ministro dell’Interno. Una catena che, per essere spezzata, necessita di una visione politica matura, di ampio respiro e determinata — non esattamente quella a cui ci ha abituato il Movimento 5 Stelle in questi anni, insomma.

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in copertina, foto via Flickr