in copertina, foto via Flickr
Le dichiarazioni di Pompeo e Trump sull’origine del virus “da un laboratorio” sono volutamente ambigue e rafforzano una serie di teorie del complotto già molto radicate. Ovviamente, senza nessuna base scientifica
Domenica scorsa il segretario di Stato Mike Pompeo è tornato ad attaccare la Cina, ripetendo le illazioni di Trump, secondo cui il nuovo coronavirus proverrebbe “da un laboratorio.” Il segretario di Stato si è spinto a dire che ci sarebbero “prove enormi” di questi fatti — ma per il momento non ne ha fornita nemmeno una. A distanza di due giorni, in compenso, le sue dichiarazioni hanno scatenato una nuova ondata di informazioni parziali o facilmente male interpretabili su tutta la stampa internazionale, che servono agli Stati Uniti per difendere la gestione disastrosa del contagio sul proprio territorio.
È importante imparare a orientarsi nel ricco universo complottista che si è creato negli ultimi due mesi su Covid-19. Il primo passo è sapere che esistono due separate teorie del complotto sulla presunta nascita in un laboratorio cinese del virus: la prima è quella recentemente abbracciata proprio da Trump e Pompeo, e sostiene che il virus abbia avuto origine da una contaminazione accidentale nel laboratorio di virologia di Wuhan. La seconda, invece, è più radicale, e prevede direttamente che il virus sia un’arma batteriologica del governo cinese.
Questa seconda costruzione, più estrema, è stata ampiamente screditata dalla comunità scientifica. Già il 19 febbraio un gruppo di scienziati aveva pubblicato sul Lancet una lettera che condannava le teorie del complotto sulle origini artificiali del virus. Un mese dopo, il 17 marzo, è stato pubblicato un articolo su Nature Medicine che dimostrava scientificamente, una volta per tutte, che il virus non è derivato da un precedente virus template, ma ha origini naturali.
La teoria presentata da Pompeo invece è la prima, secondo cui la diffusione “in laboratorio” di un virus così contagioso e letale sarebbe avvenuto sì tra le mani di scienziati cinesi, ma per un semplice incidente. Nell’intervista che ha fatto esplodere di nuovo la questione, per This Week, su ABC, Pompeo stesso ha infatti ammesso candidamente che non ci sono prove che il nuovo coronavirus sia stato “prodotto dall’uomo o geneticamente modificato.”
Data la posizione politica e militare di primo piano che ricopre Pompeo, però, la sua posizione è stata naturalmente ripresa dall’intera stampa internazionale. Gli articoli e i servizi, però, hanno in genere dato risalto solo alla prima parte della sua tesi, ovvero alla provenienza del virus “da un laboratorio,” senza dilungarsi a svelare nel dettaglio l’infondatezza della teoria del governo statunitense.
Il meccanismo retorico che sta alla base di questa teoria è particolarmente raffinato e difficile da disinnescare: ha permesso al segretario di Stato di dire una cosa molto più difficile da smontare, e ha cementato nella convinzione comune la possibilità concreta che il virus sia un prodotto artificiale.
Il fatto che questa teoria sia più difficile da smontare, però, non significa che sia anche più vera.
Anche l’ipotesi dell’incidente di laboratorio, infatti, non ha prove a proprio favore. L’ha fatto notare di nuovo ieri Michael Ryan, il direttore esecutivo del programma per le emergenze dell’OMS. Ryan ha dichiarato che l’OMS “come ogni altra organizzazione che si attiene ai fatti, rivelerebbe volentieri qualsiasi informazione riguardo alle presunte origini del virus” — chiedendo direttamente agli Stati Uniti di rendere pubbliche queste “enormi prove” di cui ha parlato Pompeo. Con molto tatto, Ryan ha definito quella di Pompeo “solo un’ipotesi.”
Nei giorni scorsi la teoria è stata ripetuta e diffusa più volte anche dal Daily Telegraph, un tabloid australiano di proprietà di Rupert Murdoch, che ieri ha dichiarato di essere in possesso di un “report di quindici pagine” che darebbe sostanza alle accuse statunitensi. Il primo ministro australiano Scott Morrison è stato uno dei pochi sostenitori degli Stati Uniti nell’aggressione nei confronti della Cina. L’Australia non è arrivata al punto di tagliare i propri contributi all’OMS, ma ha chiesto che si svolgano indagini indipendenti nei confronti del governo di Pechino.
Le origini di questo documento, tuttavia, non sono chiare. Secondo fonti del Guardian nell’alleanza di agenzie dell’intelligence Five Eyes — composta proprio da agenzie australiane, canadesi, neozelandesi, britanniche e statunitensi — il report non deriverebbe da attività di spionaggio, ma si baserebbe solo su fonti di pubblico dominio, prese dai giornali. Si tratterebbe insomma di un semplice documento-collage, realizzato appositamente per giustificare la posizione statunitense.
La posizione muscolare degli Stati Uniti deve aver scosso il mondo dell’intelligence, perché anche CNN ha ottenuto dichiarazioni da altre tre fonti appartenenti a Five Eyes. Secondo queste fonti non ci sono prove che il virus abbia fatto il salto di specie in un laboratorio, mentre esistono evidenze che questo salto sia avvenuto al mercato degli animali di Wuhan. È possibile che gli Stati Uniti siano in possesso di informazioni che non hanno condiviso con i propri alleati? Sì: ma in questo momento si può dire con molta più certezza che la posizione dell’amministrazione statunitense sia diversa dal consenso condiviso dalle agenzie di intelligence di tutto il mondo.
In un’intervista esclusiva sul National Geographic, Anthony Fauci, il direttore dell’Istituto nazionale statunitense per le allergie e le malattie infettive, diventato una celebrità per aver spesso svolto il ruolo di voce della ragione nelle conferenze stampa deliranti di Trump, è tornato a ripetere che non ci sono prove scientifiche a favore della teoria che il virus abbia origini artificiali. Nell’intervista Fauci spiega in modo efficace anche perché la teoria dell’incidente di laboratorio non ha senso: se il virus era in un laboratorio ma non è stato creato artificialmente, per definizione, ha origini naturali.
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