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in copertina, grab da un video di Medici Senza Frontiere, via Twitter

Gli incendi sono troppo frequenti nei sovraffollati campi di Lesbo: questo è il terzo incidente in meno di sei mesi. Le fiamme sarebbero esplose da un container e hanno ucciso un bambino.

Un grosso incendio si è sviluppato ieri nel campo di detenzione per migranti di Moria, sull’isola di Lesbo, causando la morte di un bambino o di una bambina, a quanto pare di sei anni. Le cause dell’incendio non sono note, ma non c’è troppo da stupirsi: il campo è stato costruito per “ospitare” fino a 3000 persone, ma attualmente ci vivono circa 20 mila migranti.

Anche a causa del grande sovraffollamento, gli incendi nei centri di detenzione sono drammaticamente frequenti. Solo due mesi le fiamme erano scoppiate, sempre a Lesbo, nel campo Kara Tepe, costando la vita a un rifugiato afgano. Lo scorso settembre un altro incendio, a Moria, aveva fatto giustamente scaturire proteste tra le persone intrappolate. La raccomandazione dell’ONU di smantellare il campo di detenzione a causa del sovraffollamento risale ormai a quasi due anni fa.

Gif grab via Annalisa Camilli

Dopo la momentanea “apertura” delle frontiere voluta da Erdogan alcuni giorni fa e la prova di forza dell’Unione europea, che ha affidato a Grecia e Bulgaria il compito di sigillare con la violenza la frontiera orientale, la condizione dei migranti bloccati ai due lati del confine greco-turco è stata sostanzialmente dimenticata. Il campo di Moria è il caso più emblematico di una catastrofe umanitaria davanti a cui i governi europei hanno deciso di girarsi dall’altra parte.

La situazione al confine al momento sembra tornata alla “normalità,” mentre tutta Europa è alle prese con la gestione della pandemia da Covid-19. Ma oggi dovrebbe svolgersi (in videoconferenza) un nuovo colloquio tra Erdogan, Merkel e Macron, dopo il fallimento delle trattative a Bruxelles. Il governo di destra di Atene spera che il rinsaldarsi dell’accordo tra Unione europea e Turchia possa scongiurare il rischio di una nuova pressione sul confine, ma non ha intenzione di evacuare sulla terraferma i migranti bloccati sulle isole dell’Egeo: il piano per risolvere il sovraffollamento nei campi di detenzione è semplicemente quello dei rimpatri “volontari” — offrire 2000 euro a tutti quelli che accettano di farsi rimandare nel paese d’origine.

La diffusione del nuovo coronavirus fa molta paura, naturalmente, anche all’interno del campo di Moria. Settimana scorsa c’è stato il primo contagio confermato: per fortuna sembra trattarsi di un caso isolato, ma all’interno del campo è praticamente impossibile adottare le buone pratiche per prevenire i contagi — secondo Medici Senza Frontiere c’è a disposizione un rubinetto ogni 1300 persone, che nemmeno eroga acqua per tutto il giorno. E l’isola di Lesbo non è l’unica a trovarsi in questa situazione: nei cinque hotspot sulle isole greche sono bloccati in totale circa 42 mila richiedenti asilo.

NOTA: Definiamo il centro di Moria come “campo di detenzione” per scelta redazionale, dato che le persone che si trovano al suo interno non possono lasciare l’isola (a meno di non accettare un piano di rimpatrio volontario). Specifichiamo però che, rispetto ad altri campi sulle isole greche e alle condizioni dello stesso campo di Moria alcuni anni fa, i migranti hanno ora una pur limitata libertà di movimento all’interno dell’isola di Lesbo.


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