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in copertina, foto via Twitter

Da tre giorni migliaia di persone stanno cercando di superare il confine turco per raggiungere l’Europa, ma Grecia e Bulgaria stanno attuando una repressione violenta — con il benestare dell’Unione Europea

Lo scorso 27 febbraio, ufficialmente per far fronte all’aggravarsi della crisi umanitaria nel governatorato di Idlib — causata dall’avanzata del governo siriano e dagli incessanti bombardamenti russi — le autorità turche hanno deciso di sospendere i controlli che impediscono alle persone di attraversare i confini di Siria e Turchia e di raggiungere l’Europa. L’annuncio prevedeva inizialmente una sospensione delle attività della polizia per 72 ore. Nelle ore immediatamente successive, sempre più persone hanno iniziato a cercare di raggiungere l’Europa, via terra o via mare. 

Sabato i governi di Grecia e Bulgaria avevano già annunciato di voler militarizzare il confine con la Turchia. Il governo greco fin dal primo momento di questa nuova crisi ha adottato una retorica di estrema destra, dichiarando di aver dato ordine ai militari di distendere filo spinato lungo tutte le rive del fiume Evros per garantire che “ogni centimetro della frontiera fosse protetto.” Il Primo ministro Mitsotakis era stato durissimo, sostenendo che il paese non fosse responsabile degli eventi in Siria e che quindi non “soffrirà delle conseguenze” delle decisioni prese da altri.

La settimana scorsa sull’isola di Lesbo si è tenuto uno sciopero generale, in risposta a episodi di violenza tra polizia e militanti di estrema destra che avevano nei giorni precedenti cercato di bloccare il porto di Mitilini come protesta contro l’apertura di un nuovo centro di detenzione per rifugiati. L’isola ospita l’ormai famigerato campo di prigionia di Moira, dove sono intrappolate più di 20 mila persone in uno spazio costruito per detenere 2800 persone. Ancora martedì scorso il governo aveva difeso i propri piani di costruire centri di detenzione non nella penisola greca, citando, tra le altre ragioni, timori di diffusione del nuovo coronavirus. Il governo greco non è nuovo ad usare la retorica del “migrante appestato” per alimentare l’odio razziale: dallo scorso luglio infatti i richiedenti asilo e le persone senza documenti non possono più utilizzare il sistema sanitario.

Durante la giornata di ieri la crisi si è allargata. Il governo ha annunciato la sospensione delle richieste d’asilo — a quanto pare è una clausola d’emergenza presente nei trattati vigenti — e deportazioni di massa per chi cercherà di oltrepassare il confine. L’annuncio della militarizzazione è stato dato anche formalmente ai migranti, con un SMS di spam inviato a tutti i numeri internazionali presenti nella regione che spiegava in inglese stentato che la Repubblica Ellenica aveva aumentato il livello di “sicurezza” dei confini “al livello massimo.”

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Sabato e nelle prime ore di domenica il massimo della tensione era rimasto concentrato lungo il confine vicino alla cittadina di Kastanies, nell’unità periferica di Evros, dove la polizia aveva sollevato una coltre di gas lacrimogeno per fermare i migranti che cercavano di passare. 

Ma nei giorni successivi la crisi si è spostata rapidamente anche in mare. Ieri la Ong Alarm Phone ha segnalato almeno 4 imbarcazioni che hanno cercato di raggiungere le isole di Chio e Lesbo. In un caso i migranti sono stati costretti a remare con le proprie mani fino a terra, mentre venivano tenuti a distanza dalle navi di Frontex. Ma gli episodi più preoccupanti sono quelli in cui gruppi di estrema destra a Lesbo hanno approfittato della connivenza delle autorità per lanciare campagne di terrore su migranti e operatori umanitari. Un’imbarcazione di 49 persone è stata infatti aggredita da un motoscafo con persone mascherate a bordo e un’altra è stata vittima di un tentativo di respingimento a riva, in cui un gruppo di violenti hanno cercato di impedire che la barca si fermasse a riva, urlando “riportateli da dove sono venuti.” Sono stati registrati episodi di violenza anche contro attivisti e giornalisti. Giorgos Christides, giornalista inviato dallo Spiegel, ha denunciato di essere stato aggredito, e “inseguito nei boschi” da un gruppo di picchiatori di estrema destra.

È impossibile non condannare le azioni dei governi di Grecia e Bulgaria, ma non si può non sottolineare come si tratti di paesi in condizioni economiche che si possono definire caritatevolmente volatili, sostanzialmente abbandonati dal resto dell’Unione europea. In un tweet inviato sabato nel tardo pomeriggio von der Leyen ha garantito il “pieno supporto” della Commissione europea nei confronti di Grecia e Bulgaria, ignorando completamente i già ripetuti abusi ed episodi di violenza. È difficile non vedere in questo comportamento un riflesso dell’atteggiamento dell’Unione europea con la Turchia, pagata per anni miliardi di euro per non dover affrontare direttamente questo problema.

Aggiornamento, 3 marzo 2020, ore 12:24

La giornata di ieri è stata segnata da un’ulteriore intensificazione delle violenze, che è costata la vita a un bambino tra i sei e i sette anni, morto affogato al largo di Lesbo quando si è rovesciata l’imbarcazione che lo trasportava. Potrebbe non essere l’unico morto della giornata: non è ancora chiaro, infatti, il retroscena sulla notizia di un rifugiato apparentemente ucciso dalla polizia greca con un colpo d’arma da fuoco. La notizia è stata diffusa, accompagnata da un video (può urtare la vostra sensibilità) dal giornalista di BBC News Mughira Al Sharif. Ma la polizia greca per ora ha smentito.

Nel corso della giornata, nonostante le ripetute violazioni dei diritti umani — tra cui l’episodio più allarmante di un caso in cui la guardia costiera greca ha attaccato un gommone di migranti con dei bastoni e ha sparato colpi d’arma da fuoco in mare — l’Unione Europea ha espresso solidarietà alla Grecia. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michael (PSE) ha definito le azioni violente di ieri come gli “sforzi della Grecia di difendere i confini europei,” e ha garantito il proprio pieno “supporto.”

Come scrivevamo ieri il governo greco sostiene che la sospensione dell’accettazione delle domande di asilo e i respingimenti siano legali. Secondo Mitsotakis, infatti, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso dei respingimenti spagnoli al confine di Ceuta e Melilla giustifica i respingimenti senza valutazione dei casi individuali delle persone a bordo.