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in copertina: lo sciopero dei lavoratori di SDA Roma 1 e Roma Hub. Foto via Twitter

Gli scioperi sono più che comprensibili, visto il clima che si respira in Italia e il modo con cui la salute degli operai è stata trattata — in vari casi, con estrema noncuranza.

Dal Piemonte alla Puglia, dalla Liguria al Veneto, ieri c’è stata un’ondata di scioperi spontanei nelle fabbriche italiane, per protesta contro la decisione del governo di non interrompere la produzione nonostante la quarantena. I sindacati dei metalmeccanici hanno chiesto di fermare tutte le imprese del settore fino a domenica 22, “al fine di sanificare, mettere in sicurezza e riorganizzare tutti i luoghi di lavoro.

Gli scioperi sono più che comprensibili, visto il clima che si respira in Italia e il modo con cui la salute degli operai è stata trattata — in vari casi, con estrema noncuranza. All’ex Ilva di Taranto sono stati proclamati 10 giorni di sciopero a partire dalle 7 di oggi, per la mancanza delle misure di sicurezza all’interno dello stabilimento: per 8 mila dipendenti sarebbero a disposizione solo qualche centinaio di mascherine. Ma non sono solo i metalmeccanici a protestare: i 450 operai della Corneliani di Mantova — che produce abbigliamento — sciopereranno fino a lunedì, mentre diverse aziende stanno decidendo spontaneamente di chiudere.

Secondo il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti gli scioperi sono “irresponsabili” e i rappresentanti dei lavoratori “stanno strumentalizzando questo fenomeno.” Ma il presidente del Consiglio Conte ha dovuto in qualche modo prendere atto della situazione, e per la mattina di oggi ha convocato una riunione (in videoconferenza) con i sindacati, alla presenza dei ministri Gualtieri, Catalfo e Speranza.

Non ci sono solo gli operai. Una delle proteste più forti è arrivata da un settore come quello dei supermercati, che deve tenere aperto per forza — e proprio per questo i lavoratori chiedono più tutele. Sono in agitazione anche i rider delle consegne a domicilio, che non sono stati fermati perché considerati servizi essenziali. Ma le aziende del food delivery non garantiscono nessuna misura di sicurezza per i lavoratori — d’altronde sono liberi professionisti, no? — i quali cominciano a sentirsi trattati come “untori.” Quattro collettivi sindacali di Bologna, Roma, Napoli e Milano hanno invitato i ciclofattorini ad astenersi dal servizio fino alla durata delle ordinanze restrittive. “La nostra salute vale più di una pizza, di un sushi, di un panino.”

Il virus insomma “risveglia la coscienza di classe,” commenta Giuseppe Colombo su HuffPost, ma il governo non sembra intenzionato ad accogliere in modo completo le richieste dei lavoratori e imporre un piano di chiusure più esteso. La linea di Palazzo Chigi, per il momento, è di ribadire quanto detto finora, in un sostanziale cerchiobottismo: nessun’altra chiusura, ma sanzioni pesanti per gli imprenditori che non rispettano i protocolli di sicurezza.