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Il governo ha chiuso le scuole senza spiegare come fare lezione via internet. Ogni scuola deve arrangiarsi, dando in pasto dati di minorenni a privati e costringendo i docenti a improvvisare. Ne abbiamo parlato con una giovane insegnante milanese.

La chiusura delle scuole è stata la prima linea di difesa contro la diffusione del nuovo coronavirus. Tutti gli istituti hanno chiuso le porte ai propri studenti fino al 3 aprile in tutta Italia, ma tutti i giorni si sussurra che il provvedimento potrebbe essere esteso ulteriormente. La chiusura che però non ha portato allo stop delle lezioni, che in qualche modo stanno continuando in remoto e con le diverse applicazioni suggerite dalle scuole stesse. Tuttavia, per quanto si parli di una scuola all’avanguardia, questa emergenza ha messo in luce diversi problemi nei programmi scolastici e a livello di orario, oltre che a favorire l’ingresso sempre più massiccio dei privati anche nella scuola pubblica in un clima scolastico che sembra quasi di autogestione.

L’emergenza ha contribuito a mettere il piede sull’acceleratore nell’uso degli strumenti tecnologici, permettendo a studenti e insegnanti di provare a continuare il programma scolastico in questa situazione problematica. Infatti, per quanto si stia provando ad elogiare il grande progresso tecnologico delle nostre scuole, i problemi persistono e stanno condizionando un anno scolastico che potrebbe diventare “un nuovo ‘68” per gli studenti, soprattutto per coloro che affronteranno l’esame di maturità. “Il governo ha lasciato all’autogestione,” ci ha suggerito una giovane insegnante milanese “all’inizio, con la prima sospensione delle lezioni, le scuole erano chiuse per la settimana di Carnevale, poi quando le settimane sono diventate due hanno tutti iniziato a chiedersi il da farsi. Si è vista la differenza tra scuole che avevano un sistema adatto per fare lezione online e hanno continuato, sono una manciata di scuole in tutta Italia; mentre gli altri non erano per niente pronti.”

Il primo problema riguarderebbe una mancata linea comune da parte tutti gli istituti, molti dei quali non sono tecnologicamente all’avanguardia. Inoltre, sebbene quasi tutti abbiano una linea internet in casa, non sono molte le persone ad avere una connessione stabile, cosa che porta numerose lezioni ad essere interrotte da continui problemi di lag: il docente deve disporre di una connessione Internet molto veloce (almeno 25 mega in download e 10 mega in upload) per poter garantire la qualità video dello stream. “Il registro elettronico funziona, peccato che il sito Spaggiari abbia deciso di rendere disponibile un portale online, sovraccaricando il sistema. Noi usiamo WeSchool e buona parte delle scuole usano queste piattaforme gratuite, che però si bloccano facilmente. Ogni scuola può fare quello che vuole per valutazioni, assenze e via dicendo.” 

È possibile l’erogazione di un servizio pubblico in queste condizioni?

Il discorso valutazioni è stato poco affrontato: come si possono fare compiti in classe via video? Anche in questo caso, il governo ha lasciato le scuole alla più completa autogestione, parlando di sistemi dediti a questa mansione, senza però dare alcuna vera informazione a riguardo e perciò, in queste condizioni, verranno preferite le interrogazioni, anche se non si può sapere quanto queste potranno essere definite valide in questo clima di lezioni a dir poco surreale. “Ci si potrà abituare? Non si sa, c’è chi dice che si andrà avanti così fino a maggio.” C’è anche un problema di impostazione della didattica, e di retribuzione: “devi proprio ripensare la didattica. Da quando ho iniziato a fare lezioni online ci sto impiegando il triplo a prepararle.”

E per i programmi? “Insegnanti più esperti hanno capito che sarà una sanatoria generale su tutto, nessuno finirà i programmi decentemente e non si può nemmeno far stare i ragazzi 7 ore davanti al pc: noi abbiamo cambiato l’orario limitandoci a 5 ore.” L’orario, infatti, è stata una delle prime vittime della nuova didattica a distanza, soprattutto per ragazzi con problematiche di salute che non possono rimanere davanti allo schermo per molte ore, ma anche per altri studenti a cui è sconsigliato rimanere più di 6 ore al giorno davanti allo schermo, soprattutto se parliamo di un orario continuato, quindi, per esempio, dalle 9 alle 15. C’è poi un fattore a cui difficilmente si pensa, se non si ha avuto a che fare da vicino con adolescenti in età scolare: la loro completa impreparazione all’utilizzo di supporti informatici. “Questi ragazzi nati tra 2002 e 2005 sono analfabeti digitali. Sono abituati a usare tre app e non hanno idea di come funzioni Drive o la base di un computer. Ad alcuni ho dovuto insegnare a mandare una mail.”

L’uso di queste piattaforme crea anche un problema di privacy e gestione dei dati. Lo stato italiano, infatti, ha di fatto deciso di affidarsi a piattaforme private per gestire dati sensibili come quelli contenuti nei registri online. Una discrepanza ancora più evidente se si pensa che quello scolastico è uno dei settori, anche nel sentimento comune, più riconosciuti come un patrimonio del pubblico. “Non abbiamo il controllo su una serie di dati sensibili — tra l’altro questa cosa è ancora più grave essendo la maggior parte dei nostri alunni minorenni. Le scuole stanno rischiando moltissimo a mettere dati privati di studenti in mano ad aziende che possono dire un domani — beh, tutti i dati che mi hai dato sono miei.”

Senza aprire il caso di quali privati siano diventati tra i principali fornitori di servizi per lo Stato — non sappiamo se sia peggio affidarsi a grandi multinazionali internazionali o ad aziende con un evidente know how come un’azienda di cancelleria che si improvvisa sviluppatrice di sistemi — va notato che semplicemente non ci sono alternative.  Per un settore pubblico in cui ad ogni finanziaria si tagliano, o nel migliore dei casi non si stanziano per gli anni successivi, spesso quote da miliardi di euro è impossibile pensare che lo stato avrebbe avuto l’ambizione di gestire lo sviluppo di piattaforme unificate nazionali per l’insegnamento digitale. 

Si tratta, in ogni caso, di un’interruzione del servizio, che va al di là del singolo problema dell’e–learning: ammesso e non concesso che si possa insegnare Greco in streaming video, certamente la situazione è più complessa per i tanti corsi di istituti tecnici per cui è necessario strumentazione dedicata, che gli studenti non hanno a casa. È possibile l’erogazione di un servizio pubblico in queste condizioni? Le alternative — ad esempio far ripetere in massa l’anno scolastico — sembrano completamente impraticabili, ma è indubbio che lo stato attuale della scuola italiana ha impedito di reagire con flessibilità all’emergenza.

Le conseguenze di decenni di tagli all’istruzione pubblica nella crisi del nuovo coronavirus sono per fortuna meno letali dei tagli all’istruzione, ma non per questo sono da ignorare. L’Italia è il terzultimo paese d’Europa per investimenti nell’istruzione — con il 4% del Pil: la Germania, ad esempio, spende quasi il doppio. Alla fine dello scorso anno il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha rassegnato le proprie dimissioni dopo non essere riuscito a ottenere dal proprio stesso governo i tre miliardi di euro di finanziamenti per scuola e università pubblica che si aspettava — una vicenda politica gestita dall’ormai ex ministro in modo quantomeno goffo, ma comunque significativa della situazione scolastica. Dopo il drammatico taglio agli insegnanti di sostegno dello scorso anno, è auspicabile che la tendenza venga finalmente invertita — anche se la congiuntura economica potrebbe non essere tra le migliori possibili.

Stefano Colombo e Alessandro Massone hanno contribuito a questo articolo
in copertina, elaborazione di foto CC Ivan Radic