Casa Rustici 2

in copertina Casa Rustici in Corso Sempione 36 a Milano, progettata dall’architetto Giuseppe Terragni tra il 1933 e il 1935. Foto di Roc Soul

Abbiamo accompagnato Ricordati di Rimini in un tour per le vie di Milano scoprendo ingressi d’altri tempi, lampadari molto impegnativi e marmi tirati a lucido — e ovviamente abbiamo anche parlato di quanto nella musica sia importante continuare a sperimentare.

I Ricordati di Rimini sono Alessandro Cianci e Andrea Barbara — in arte Iamseife — e sono usciti da poco con due singoli, “Edwige Fenech” e “La fine delle onde,” fuori per Vetro Dischi. I loro pezzi guardano al cantautorato moderno ma sono orgogliosamente calati nel passato, così abbiamo deciso di accompagnarli in un tour nostalgico per le vie di Milano scoprendo ingressi d’altri tempi, lampadari molto impegnativi e marmi tirati a lucido. Tra un portone e l’altro abbiamo elogiato Mecna, tirato in ballo Oneohtrix Point Never, e ovviamente abbiamo anche parlato del loro progetto e di quanto nella musica sia importante continuare a sperimentare.

“La nostalgia fa più pensare a una rassegnazione verso ciò che non tornerà e nel nostro caso, a dire il vero, non è niente di tutto questo: ciò che ci colpisce di più dei nostri riferimenti retrò musicali è sicuramente la qualità ma soprattutto la profondità.”

Normalmente inizieremmo parlando dell’ultimo singolo uscito, in questo caso invece iniziamo parlando di architettura. Come mai proprio un giro tra i portoni d’ingresso di Milano?

Perché sono degli spazi che crediamo molto vicini alla nostra idea visiva di Ricordati di Rimini, il loro stile razionalista e modernista esprime in modo piuttosto chiaro e sintetico il ventaglio di immagini con cui ci descriveremmo. Poi Milano da tempo è la nostra città d’adozione e i suoi portoni sono un suo piccolo tesoro nascosto. Ci andava di farvene vedere un pezzo. 

C’è un criterio particolare con cui avete scelto quelli che vediamo?

Per una questione di praticità ci siamo limitati ai più belli della zona Corso Sempione/Ex Fiera che assieme alle aree di Porta Venezia e Città Studi — clamorosa da questo punto di vista — ospita tra gli esempi più interessanti.  

Preparando l’intervista ho scoperto che il tema appassiona molte persone, esiste anche un libro interamente dedicato all’argomento: “Entryways of Milan — Ingressi di Milano,” ma immagino non vi stia dicendo niente di nuovo.

Ovviamente conosciamo entrambi il libro e lo consigliamo a tutti. È interessante perché, oltre ad avere delle foto bellissime, racconta di questa età dell’oro della borghesia industriale milanese prima e durante il boom economico. Gran parte del fascino di questi spazi deriva proprio dal loro essere nascosti e semi-privati. Non è come visitare una chiesa o un museo, è una bellezza da scoprire e soprattutto da conquistare, anche solo scambiando due chiacchiere con i portinai o resistendo a qualche sguardo scocciato dei residenti.   

via Massena 18, Milano, progettato dall’architetto Luigi Caccia Dominioni

“Siamo dei nostalgici che non hanno nessun problema col presente e anzi se lo godono appieno, pur mettendolo in discussione.”

Questo viaggio nel passato — tutti gli ingressi raccontati nel libro sono stati realizzati tra il 1920 e il 1970 — mi sembra condivida con il vostro nuovo singolo, forse anche con l’intero progetto, l’esigenza di raccontare la quotidianità in una chiave se vuoi anche nostalgica. È così? 

Si, anche se la nostalgia fa più pensare a una rassegnazione verso ciò che non tornerà e nel nostro caso, a dire il vero, non è niente di tutto questo: ciò che ci colpisce di più dei nostri riferimenti retrò musicali è sicuramente la qualità ma soprattutto la profondità. Le colonne sonore così come le canzoni avevano un modo di evolversi a livello strutturale, sonoro, melodico molto più ampio rispetto a quello che succede nella musica di oggi. C’era più imprevedibilità, più climax, più poesia. Con questo non vogliamo dire che la musica odierna sia tutta da buttare, lo dimostra il fatto che noi stessi continuiamo a produrre, parallelamente a Ricordati di Rimini, musica a formato decisamente contemporaneo: rap, trap, elettronica. La nostra più grande ambizione è quella di rimettere a lucido in un contesto attuale, quindi più leggibile e fruibile, anche solo un decimo di quella qualità e complessità narrativa che caratterizza i nostri riferimenti anni Cinquanta, Sessanta,  Settanta. Diciamo che siamo dei nostalgici che non hanno nessun problema col presente e anzi se lo godono appieno, pur mettendolo in discussione.

Durante questo tour degli ingressi milanesi vi è capitato di associare ai luoghi delle canzoni? 

Sicuramente il nostro brano “Edwige Fenech” si presta molto a questi luoghi. È un pezzo che sia nel titolo che nell’arrangiamento richiama alle atmosfere della commedia sexy all’italiana, non faticheremmo a immaginare uno di questi portoni come set di un film di quel tipo.

Qual è il portone che vi ha colpiti di più, quello che dovremmo attraversare per forza se ci trovassimo a fare due passi per Milano? 

Via Rossetti 19, progettato dai fratelli Latis nei primi anni Sessanta. Non è il più bello in assoluto ma è facilmente accessibile ed è rimasto pressoché intatto per come è stato concepito inizialmente. Merita anche semplicemente un’affacciata.

“Ricordati di Rimini” invece ho immaginato prendesse spunto dal brano omonimo di Fred Buscaglione, ci ho visto giusto? 

Sì, da un lato è un omaggio a Buscaglione ma dall’altro è soprattutto una frase che ci ha colpito per racchiudere diversi significati: il ricordo, quindi la nostra anima retrò, e poi Rimini, che è un po’ uno dei luoghi simbolo dell’era musicale e cinematografica a cui ci piace fare riferimento. 

In “Edwige Fenech,” il primo brano che avete pubblicato, ho letto che c’è anche lo zampino di Mecna (nell’artwork del singolo). Della musica contemporanea che cosa salvate?

Mecna oltre ad essere il grafico di questo progetto è anche un artista con cui continuiamo a collaborare tuttora come produttori. Lui per ovvi motivi è uno di quelli che salviamo in Italia.  Siamo entrambi grandi fruitori di musica contemporanea, specialmente se per contemporanee intendiamo le sonorità più che le date di uscita. A voler citare qualche nome un po’ alla rinfusa diciamo sicuramente Frank Ocean, Blood Orange, Slowthai, Angèle, ma anche produttori come Shlohmo, Oneohtrix Point Never e Hot Sugar.    

Nell’epoca del nuovo cantautorato, che in questi anni si è ispirato per lo più alla tradizione cantautorale italiana degli anni Settanta e Ottanta, che cosa significa fare retro-pop? 

Sicuramente una buona parte di quel nuovo cantautorato italiano trova la nostra stima. Ad esempio nel merito di aver tolto la canzone italiana pop dal solo ambito talent e simil-sanremese prendendosi più spazio rispetto a pochi anni prima, quando era considerato puro underground, pensiamo ad esempio ai Cani o a Calcutta. 

Diciamo che quel filone cantautoriale, assieme all’esplosione del rap italiano, ha aperto una strada ad una serie di sperimentazioni che altrimenti non sarebbero state pensabili in ambito pop e in queste sperimentazioni includiamo anche la nostra. Per come la vediamo noi Ricordati di Rimini eredita dai succitati, più che lo stile in sé, la guadagnata libertà di poter contaminare il pop italiano con delle strumentali alla Piero Umiliani, Ennio Morricone o Stelvio Cipriani risultando comunque credibile, speriamo, presso un pubblico sicuramente più aperto ed ampio rispetto a qualche anno fa. 

Il 17 settembre è uscito “La fine delle onde,” il vostro ultimo singolo. Ora cosa succederà? Dai, svelateci qualcosa.

Innanzitutto l’8 novembre faremo il nostro esordio live all’Ohibò di Milano in apertura al concerto di Angelica. E sempre per quei giorni è prevista un’altra bella sorpresa. Stiamo lavorando a tante cose nuove, non solo musicali, contiamo di tirarle fuori quanto prima.