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Non è un semplice aumento: le nuove tariffe hanno senso solo in un percorso verso la privatizzazione dei mezzi pubblici milanesi. Abbiamo cercato di capirne le cause con il Comitato ATM pubblica.

Questa mattina è arrivato l’aumento delle tariffe dei mezzi pubblici discusso da mesi, in una battaglia a distanza — ma non troppa — tra Comune e Regione. Abbiamo cercato di capirne le ragioni e i motivi con Marco Schiaffino, del Comitato ATM pubblica.

La variazione principale, quella che ha più fatto parlare di sé, è l’aumento del biglietto ordinario da 1,5 euro a 2 euro. Questo aumento è bilanciato dall’allargamento della validità anche alla prima fascia dei comuni dell’hinterland. Il costo degli abbonamenti annuali resterà bloccato per i prossimi tre anni, con l’eccezione di quelli dai comuni della prima fascia, il cui abbonamento scenderà per riflettere il costo ridotto del biglietto.

L’abbonamento mensile urbano passa da 35 a 39 euro, e il giornaliero da 4,5 a 7 euro. Per i giovani, la fascia di abbonamento ridotto è estesa fino ai 27 anni, e l’abbonamento a BikeMi vede un taglio drastico del costo mensile, passando da 29 a 12 euro. BikeMi per chi ha più di 28 anni costerà 24 euro al mese.

Altra misura volta a cercare di rendere più digeribile l’aumento è la promessa di un “biglietto breve” dal costo di 1,4€, previsto dall’anno prossimo per le corse inferiori ai novanta minuti, introdotto dal democratico Carlo Monguzzi, e l’introduzione di una tessera prepagata sul modello londinese, che calcolerà tariffe ridotte automaticamente al passaggio ai tornelli, come avviene già automaticamente pagando con carta di credito, che fa passare le corse dal biglietto ordinario al giornaliero dopo la terza corsa.

La settimana scorsa è alla fine l’accordo con Trenord per l’armonizzazione delle tariffe. L’agenzia di trasporti regionale, controllata da palazzo Lombardia, ha finalmente smesso di fare opposizione alla riforma — secondo loro perché il comune di Milano sarebbe andato “troppo in avanti,” secondo molti per mettere i bastoni tra le ruote alla giunta Sala.

TUTTO BENE, DUNQUE? INSOMMA

La riforma, com’è prevedibile, è stata accompagnata da varie critiche: da destra, ma soprattutto da sinistra. Le critiche da destra fanno oggettivamente sorridere, dando l’impressione di sfruttare un argomento facile per dare addosso all’attuale amministrazione milanese, ma venendo da un raggruppamento politico che sia a livello nazionale che locale ha sempre fatto la guerra ai poveri. Le critiche da sinistra, invece, meritano di essere approfondite.

In sostanza si dividono in due argomentazioni: che l’aumento ricadrà sulle fasce meno abbienti della cittadinanza, e che il provvedimento prepara il terreno alla privatizzazione del trasporto pubblico milanese.

Soprattutto questa è meno ovvia della prima, ma va a colpire un punto che a lungo termine rischia di essere cruciale. La privatizzazione di parti importanti del patrimonio pubblico comunale milanese è sempre stato un sogno semiproibito di Sala. Durante le primarie che avrebbero condotto alla campagna elettorale del 2016, risultata nella sua elezione a sindaco, Beppe Sala aveva proposto di vendere alcune quote di SEA — la società che gestisce gli aeroporti milanesi — per finanziare la ristrutturazione delle case popolari di proprietà del Comune. Abbiamo parlato della questione con il Comitato ATM pubblica, un comitato di cittadini che da circa due anni e mezzo — dunque da poco dopo l’insediamento della giunta Sala — si occupa di monitorare e denunciare le spinte privatizzatrici dell’amministrazione, o di una parte di essa. 

“Pensiamo che questo aumento non abbia senso. O meglio, ha senso in quanto prepara alla privatizzazione di ATM,” ci riferisce Marco Schiaffino, un membro del comitato. “Questa cosa è un incentivo ai privati ad entrare in Milano Next.”

Milano Next è un progetto reso pubblico alla fine dello scorso maggio, che consiste in una cordata di imprese pubbliche e private che intendono prendersi carico della gestione dei trasporti milanesi. In questo consorzio entreranno ATM e A2A, ma anche aziende quotate in borsa come Hitachi, Conscon Italia, IGP deco — la concessionaria che mette le pubblicità sulle metro — FS con Basitalia. “Milano Next dovrebbe essere un consorzio temporaneo di aziende — temporaneo di 15 anni,” sottolinea Schiaffino.

Questo consorzio si presenterà nel 2020 alla gara pubblica europea con cui il Comune di Milano deciderà a chi affrontare il proprio sistema di trasporti. Milano Next, nelle intenzioni di chi la sta imbastendo, dovrebbe rappresentare una candidatura sufficientemente solida da impedire che qualche altra azienda — magari straniera — vinca la gara e si “appropri” del sistema milanese. Una cosa che ha già fatto ATM a Copenhagen ad esempio, dove i trasporti sono gestiti dall’azienda nostrana. 

“Noi siamo nati 2 anni e mezzo fa,” ci racconta Schiaffino, “proprio quando si è parlato per la prima volta di messa a gara.” Alla fine del 2017 infatti la scelta messa a gara/affidamento in house era già entrata nel dibattito pubblico, ma la questione è stata risolta con un semplice rinvio fino, appunto, al 2020. “Da allora c’è stata una vera e propria escalation: in quell’occasione si era detto che l’affidamento sarebbe stato fatto in house, poi che ci sarebbe stata la gara ma che sicuramente l’avrebbe vinta ATM.” Ora si è arrivati alla proposta di Milano Next, appunto: un organismo del quale ATM farebbe parte ma che avrebbe come fine ultimo la produzione di utili per i privati — i 50 milioni di utili previsti in più con l’aumento delle tariffe, infatti, potrebbero andare in parte nelle loro tasche.

“Precisiamo bene una cosa: questa messa a gara non è obbligatoria,” sottolinea Schiaffino. Il comune può scegliere anche di affidare i propri servizi con la modalità in house direttamente ad ATM, senza gettare il fiore all’occhiello della propria gestione municipale nell’oceano del meraviglioso libero mercato, che così tanti benefici ha portato in tutti i paesi del mondo. Questa scelta, però, significherebbe tanto per cominciare un taglio del 15% dei fondi statali. Tutti i governi italiani degli ultimi anni, infatti, sono stati estremamente favorevoli verso le privatizzazioni.

Sembra in sostanza che sia i vertici della politica cittadina che di quella nazionale ed europea abbiano tracciato le linee per la privatizzazione del trasporto pubblico meneghino. È interessante a questo punto notare che quando i privati sono intervenuti in modo rilevante in questo ambito, hanno quasi sempre raggiunto risultati scadenti: basti pensare a M4 ed M5, affidate a consorzi privati tramite il controverso meccanismo del project financing, che sono andate incontro a costi aumentati e a difetti di progettazione — che nel caso della M4 hanno superato la soglia del ridicolo, come per la mancata progettazione di interscambi degni di questo nome con le altre linee.

Il Comune ha giustificato l’aumento del biglietto con la riduzione dei fondi statali e l’incremento del trasporto pubblico milanese negli ultimi anni, con M4 e M5. “Però, se non fossero state pagate con il project financing, i costi di queste opere ad esempio non sarebbero lievitati,” sostiene Schiaffino. O, quantomeno, non in questo modo.

“Se gli aumenti del biglietto fossero dovuti a una vera esigenza, ok. Ma in questo caso lo scopo sembra essere fare più utili e aprire così la strada alla privatizzazione,” conclude Schiaffino. “Noi invece vogliamo che ATM torni a essere neanche una SPA, ma un’azienda speciale, e che la città si adegui alle cose più avanzate d’Europa: rendiamo gratis il trasporto pubblico e usiamo il gettito delle imposte per finanziarlo.”

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