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Il successo del progetto FREE — no future without remembrance, che ieri pomeriggio ha portato in Darsena più di 500 spettatori, dimostra che la memoria della Shoah sa essere attuale.

Nel corso del pomeriggio di ieri, sfidando il freddo, più di 500 persone si sono fermate davanti alla grande bolla trasparente allestita in Darsena dal progetto FREE, per ascoltare le letture di Marta Marangoni e Renato Sarti, tratte dalle testimonianze di mogli e figlie di deportati italiani nei campi di concentramento nazisti.

L’installazione, curata da Giovanni Jussi della compagnia “Twof2 + Das Collectiv,” ha attirato l’attenzione e l’interesse dei passanti. Dentro la bolla, oltre al performer — unito agli spettatori solo attraverso il collegamento silenzioso delle cuffie — c’era la barca arancione di Relation-Ship, “scialuppa di salvataggio per le relazioni umane” ideata dall’artista Chiara Colombi. Difficile non pensare alle tragedie che continuano a susseguirsi nel Mediterraneo: un modo per ricordare ancora una volta che la memoria non appartiene soltanto al passato, ma anche e soprattutto al presente.

A rendere possibile la buona riuscita della giornata è stato anche il lavoro di più di 50 volontari giovani e giovanissimi — la generazione a cui si rivolgono soprattutto le attività del progetto FREE — coinvolti attraverso i centri di aggregazione giovanile, le scuole superiori e le università.

“C’è una parte della popolazione che è completamente disinteressata,” ci racconta Gabriel, 20 anni, studente di Giurisprudenza alla Bocconi. “Primo Levi diceva che c’è bisogno di un vocabolario nuovo per parlare di temi come l’Olocausto: noi cerchiamo di dare una risposta in questo senso, cercando di creare un vocabolario nuovo con queste azioni, e fornirlo anche alle altre persone che magari attualmente magari non ne hanno consapevolezza.”

“Per risvegliare l’interesse delle persone serve anche avvicinarsi a loro,” aggiunge Dalise, 19 anni, studente di grafica pubblicitaria. Ai ragazzi non sfugge l’importanza più che mai attuale della memoria delle atrocità avvenute durante la Seconda guerra mondiale, anche come strumento di lettura di ciò che accade oggi. “Siamo ragazzi di diverse provenienze, italiani e non, che interagiscono gli uni con gli altri,” spiega Mary 22 anni, lavoratrice e volontaria in un centro di aggregazione giovanile. “Oltre a ricordare ciò che è stato, vediamo da un altro punto di vista quello che succede oggi: come dice il nome del progetto, non c’è futuro senza memoria. I giovani vengono visti come la generazione pigra — invece siamo attivi, e siamo il futuro. Se cresciamo con la consapevolezza che siamo una sola razza umana, e non razze diverse, nel futuro magari avremo meno indifferenza e saremo più accoglienti verso il prossimo.”

Dalise, Mary e Gabriel

L’entusiasmo dei volontari dimostra che, mentre i testimoni diretti della Seconda guerra mondiale e della Shoah ancora viventi sono sempre meno, il passaggio della memoria tra una generazione e l’altra sta funzionando. “È un passaggio difficile,” sottolinea Lucia Tubaro di ANED, tra i partner del progetto. “Per questo cerchiamo di coinvolgere non solo i testimoni diretti, ma anche i familiari — i figli e i nipoti — per trasmettere empatia e immedesimazione. Ma diciamo anche che tutti dobbiamo farci testimoni.”

Lo stesso segnale positivo, mentre ovunque in Europa sembrano risorgere i razzismi e i nazionalismi, lo danno le centinaia di nuovi iscritti all’Anpi che si sono registrati dallo scorso autunno. “C’è una situazione di grande difficoltà, con la deriva razzista, xenofoba e antisemita, i provvedimenti del nostro governo a trazione leghista, la chiusura dei porti e il respingimento di chi cerca un rifugio sulle nostre coste,” commenta Roberto Cenati, presidente Anpi della Provincia di Milano. “L’Anpi rappresenta un’associazione che vuole rilanciare nella società i valori della pace, della solidarietà e della democrazia e quindi in molti, soprattutto giovani, si stanno rivolgendo a noi.”

“Il Giorno della memoria” — aggiunge — “non dovrebbe riguardare solo il 27 gennaio, ma anche gli altri 364 giorni. Come ha detto spesso Liliana Segre, dopo la fine della Seconda guerra mondiale c’era il pudore della gente che si ricordava dei campi di sterminio e di ciò che il nazifascismo aveva causato. Ora queste barriere sembrano saltate, il pudore e il ritegno non ci sono più. È per questo che il Giorno della memoria acquista un valore anche maggiore che in passato.”


Tutte le foto di Elena Buzzo.

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