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Siamo circondati da serate al limite del copia-incolla in cui si espone in bella vista la scaletta con i pezzi a mo’ di menù delle feste: si promettono Thegiornalisti, LIBERATO e Canova, possibilmente sempre nella solita sequenza.

Dal Tunnel Club all’Arci Ohibò tutte propongono, sostanzialmente, una playlist con i pezzi più famosi della scena itpop sbocciata in Italia negli ultimi anni. Da Calcutta a Gazzelle, dai Thegiornalisti a Carl Brave le scalette di queste serate sono tutte molto simili, ricalcano le programmazioni radiofoniche più recenti (con incursioni nell’indie internazionale) e non sembrano voler guardare oltre quello che già ascoltiamo e sorbiamo, consapevolmente o no, tutti i giorni.

Si chiamano ITPOP CLUB? • Sì Ah! • Linoleum Indie Party, This is Indie, TI AMO – la festa, Goganga Crash Night, WOW Canta indie. Canta male.Top of the indie (qui l’indie – o itpop, scegliete voi – si risuona dal vivo) e via dicendo. Cambiano i nomi ma non la proposta. A Milano – bisognerebbe indagare se queste serate proliferano anche altrove – siamo circondati da locali che, con tempismi diversi e modalità in stile all you can eat (paghi l’ingresso e fai indigestione di hit radiofoniche) hanno deciso di manifestare platealmente – in maniera più o meno sincera, più o meno in ritardo rispetto al loro pubblico di riferimento – il loro amore per la scena itpop italiana.

Il tentativo è quello di attrarre a sé una fetta di pubblico proponendo dj-set in cui la ricerca musicale passa quasi sempre in secondo piano rispetto alla riproduzione prevedibile di una serie di tormentoni. Le motivazioni sono semplici: l’itpop, che chiamarlo pop e basta a noi suona ancora avvilente, occupa ormai i piani alti delle classifiche di vendita dei dischi. Spopola tra i ventenni, domina le playlist virali e appare, oggi, sempre più frequentemente, nei canali di diffusione mainstream. Vuoi per i riferimenti già accettati dal pubblico e “approvati” dal gotha discografico – la ripresa dei ‘70 e ‘80 ha sicuramente aiutato molte persone a digerire la nuova ondata musicale – vuoi per il carattere per lo più innocuo dei testi (amori, amori e ancora amori, a volte nemmeno così diversi dagli affanni romantico-piacioni di un Biagio Antonacci, per dire), l’itpop è stato compreso e assimilato dal mondo dello spettacolo, che è passato in fretta dall’indifferenza al plauso compiaciuto, convincendo anche i meno attenti della bontà di questo ricambio musicale.

Di questa nostra stupida storia d’amore (semicit.) – quella fra i locali e l’itpop – non dobbiamo quindi sorprenderci: è frutto anche questa di un’attenzione mediatica negli ultimi mesi sempre più spinta. Quella che, in un solo anno, ha fatto rimbalzare agilmente dai club ai palazzetti artisti come Calcutta e Gazzelle. Le loro canzoni, così come quelle di Canova, Ex-Otago, Lo Stato Sociale, Coma Cose, per citare altri nomi “nuovi”, si sono fatte strada anche tra i non appassionati di musica, coloro che non hanno necessariamente vissuto le origini di questo successo – i localini con venti persone, i primi video apparsi su YouTube, le interviste ai media locali – ma che adesso comprano “Punk” su Amazon o si trovano a canticchiare per casa con un certo trasporto lo sai che la tachipirina 500 se ne prendi due diventa 1000, senza che gli dispiaccia e anzi, sicuri che in fondo, se la ascoltano tutti, non debba essere poi così male. Sull’onda della nuova moda musicale ci si è spinti a serate che promettono poca fantasia ma che in compenso assicurano un caldo senso di omologazione, proprio come garantiscono, molto più in basso nella scala della tollerabilità umana, le tristemente popolari (provinciali) serate latino-americane.

Ma c’è chi è arrivato prima…

Nel 2014 Davide Ragazzoni e Carlo Alberto Crippa, non si sa se avvertendo il cambiamento imminente o semplicemente perché avevano avuto un’idea brillante ed erano decisi a realizzarla, si sono inventati Linoleum, una serata milanese inizialmente ospitata dal Rock’n’Roll, dalle parti della Stazione Centrale, ora spostatasi in pianta stabile al Rocket. Linoleum, tuttora sicuramente apprezzata  – tanto che viene esportata anche al di fuori dell’hinterland milanese – univa in un format a suo tempo fresco e innovativo le atmosfere del concerto e del dj-set. La serata, ora portata avanti da Ragazzoni assieme a Edoardo Romano, Daniela Lapegna, Margherita Grechi, Il Faro Indie e tanti altri, ha sospinto il ricambio della scena musicale quando l’itpop ancora non era una categoria chiaramente definita, non era di tutti e ancora non rappresentava un genere “comodo” e replicabile in serie, offrendo un palco a band e artisti che oggi occupano palcoscenici più importanti e si rivolgono a platee più ampie.

E chi è arrivato dopo.

Le serate milanesi nate negli ultimi mesi ribadiscono a loro modo l’efficacia di quell’esperienza. Ma avere un riferimento giusto e alcuni buoni ingredienti non basta per oltrepassare la soglia del già sentito. E così ci troviamo sommersi da inviti a eventi poco fantasiosi sponsorizzati con la solita copertina photoshoppata col primo piano puntato sul faccione assonnato di Calcutta, a volte sostituito dal caschetto ordinato – a là Liam Gallagher – di Gazzelle, altrimenti tipicamente imbronciato e poco bbritish.

Siamo circondati e infastiditi da serate al limite del copia-incolla in cui si espone in bella vista la scaletta con i pezzi a mo’ di menù delle feste: si promettono Thegiornalisti, LIBERATO e Canova, possibilmente sempre nella solita sequenza e senza la speranza di un climax, leggi disco a sorpresa – sia mai che poi uno scopra una canzone che non sente già dieci volte al giorno. Si affoga in una melassa vacua fatta di immaginari triti e ritriti (che talvolta strizzano l’occhio alle serie tv) a cui vengono mescolate apparizioni di fulminati del mondo musicale riciclati a nane bianche ancora appariscenti, ma pronte a dissolversi silenziosamente con il riflusso di questa moda.

Ogni settimana, complice la quantità di itpop che già ascoltiamo per conto nostro, rimaniamo intrappolati nella filter bubble di post pubblicizzati con cui un locale fino a quel momento ignorato – o noto per altre serate – è ora improvvisamente orgoglioso di rivendicare il proprio attaccamento all’itpop, l’altro ieri sconosciuto ma ora trending topic per acclamazione popolar-giovanile e quindi sposato in fretta e furia, immaginiamo dopo una scappatella su YouTube a controllare l’autore di quel pezzo che dice ‘puttana’ nel ritornello. O semplicemente perché sbandierare l’ovvio rende molto di più di una serata retrospettiva sulla carriera artistica di Francesco Bianconi. 

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Se decidiamo di uscire di casa per smontare il castello di preconcetti negativi che ci fanno dubitare di questi eventi perdiamo tempo, ma se non altro, tornando, possiamo brindare alla decadenza come farebbe un giornalista dal dolcevita infeltrito – l’aggettivo suggerisce anche delle generalità precise – che ciclicamente se la prende con le cosiddette, malefiche, onnipresenti, nuove generazioni. Vedremmo coi nostri occhi passerelle di aspiranti poser rivestit* di glitter, influencer schiavi del following e comparse nelle vesti noleggiate del dj che annunciano singoli premendo play e gesticolando sopra a una console professionale – lei sì – aizzando l’urlo a squarciagola del ritornello di Vita Sociale. Invocano la musica pe’ scopa’ senza preoccuparsi quasi di mixare i pezzi, proponendoli in sequenza, come se fosse una playlist, anzi proprio come quella playlist virale che già ascoltiamo tutti i giorni su Spotify senza che ci costi una tessera o un drink sovrapprezzo – se poi fosse proprio quella non ci sorprenderebbe nemmeno così tanto.

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E allora qualcuno potrebbe anche chiedersi che cosa possano offrire queste serate se non la solita colonna sonora da supermercato, una dose media di divertimento e la foto taggata nel cesso di turno o in un angolo ricavato ad arte per shooting improvvisati.

Oppure potremmo lasciarci lobotomizzare da un refrain estivo tipo sotto il sole sotto il sole di Riccione convincendoci che anche se è inverno va bene così, siamo nel posto giusto al momento giusto, questa è la serata migliore perché ci vanno tutti e perché anni fa “capivamo” e ascoltavamo sognanti i Thegiornalisti before they were cool e questo è sia il momento giusto per rivendicare la nostra formidabile capacità di anticipare i tempi, sia l’ultima occasione per non lasciare a Fazio l’eredità di Niccolò Contessa e tutto quello che è venuto prima di “Evergreen”.

Insomma divertiamoci, se possibile, ma non crediamo di assistere a qualcosa di pionieristico: cosa succederà dopo l’itpop, evidentemente, al momento sono in pochi a volerlo scoprire.

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